Al Ponchielli una buona Juditha Triumphans riporta in scena il genio di Vivaldi nell’unica sua opera giunta ai giorni nostri. Applausi per cast, costumi e regia
Secondo appuntamento con la stagione d’Opera del teatro Ponchielli di Cremona. Dopo il Flauto Magico, è la volta di un titolo vivaldiano: Juditha Triumphans. Unico di quattro oratori in latino il cui manoscritto è giunto completo ai giorni nostri. Coprodotta con il Teatro Verdi di Pisa, quest’opera che raramente si può apprezzare nelle stagioni dei teatri di tradizione trova nel linguaggio musicale la cifra inconfondibile del Prete Rosso. Commissionata per celebrare la vittoria della Repubblica di Venezia sui Turchi e la difesa vittoriosa dell'isola di Corfù, l’opera fu interpretata interamente dalle cosiddette Figlie di Choro, le musiciste (tutte donne) ospiti dell’Ospedale della Pietà. Vivaldi concepisce Juditha per tentare di risollevare lo spirito dei veneziani in un periodo di guerra nel quale Venezia è messa alla prova. Un vero e proprio tour de force vocale che mette in mostra l’intera gamma delle straordinarie capacità delle Figlie di Choro e del genio vivaldiano.
Come non sarà sfuggito al pubblico cremonese, in realtà anche tutti i ruoli solistici sono affidati a cantanti di sesso femminile, esattamente come nella prima rappresentazione del 1716.
Nel ruolo eponimo troviamo il contralto Sonia Prina che trova una sua dimensione interpretativa staticamente efficace nella gestualità, ma che propone una Giuditta vocalmente in difficoltà sia sulle colorature che, talvolta, sui fiati facendosi trovare in ritardo sull’orchestra tra una frase e l’altra, ricorrendo anche a saltare alcuni frammenti di frase per respirare. A proprio agio nei fraseggi comodi, dipinge una Giuditta comunque decisa e combattiva. L’Abra di Miriam Carsana è sicura ed espressiva affrontando con buona verve sopratutto gli essenziali recitativi. L’Holofernes proposto da Francesca Ascioti è denso, marcato, proprio come lo descrive il libretto. Per lei un’ottima prova, gioia per le orecchie, con una grande attenzione alla prassi esecutiva ed un suono dosato uniformemente in tutto il registro.
Molto bene l’eunuco Vagaus interpretato da Shakèd Bar che ha mostrato un bel timbro tondo e potente oltre che una sapiente gestione delle colorature. Per lei folti applausi e "Brava!" a fine recita.
Federica Moi nei panni di Ozias presenta un bel colore denso di armonici particolarmente interessanti nel registro grave. Qualche scollamento buca-palco non ha compromesso la prova positiva della compagine di palcoscenico, seppure alcune risoluzioni di cadenze anticipate rispetto all'orchestra abbiano fatto storcere qualche naso in sala.
In “vece” delle Figlie di Choro le brave artiste del Coro Archè, preparate da Marco Bargagna, compatte e vocalmente efficaci nel difficile compito di proporre la polifonia priva delle gamme vocali maschili. Una recita davvero maiuscola per loro. La regia di Deda Cristina Colonna è plastica, a tratti didascalica, ma davvero piacevole da vedere anche per chi è neofita. Le scene sono essenziali e tutto l’allestimento è caratterizzato da tulle bianchi usati sia per delimitare gli spazi scenici alzandosi ed abbassandosi, ad evocare tende, a celare parzialmente lo sfondo. Le scene ed i bellissimi costumi in stile settecentesco sono firmati da Manuela Gasperoni mentre le luci sono realizzate da Michele Della Mea. Ottima la prova di Orchestra Auser Musici che ha personalità e suono compatto, con particolare menzione per gli strumenti antichi come la viola d’amore e il chalumeaux. Carlo Ipata tiene le redini di uno spettacolo ben fatto e godibile, pur non facendo parte del grande repertorio. Il direttore trova nell’uso sapiente delle dinamiche la vera via per portare all’ultima pagina questa partitura senza mai annoiare. Una particolare cura del polso nei brani più serrati, mai affrettati come talvolta si sente da qualche direttore modaiolo, è stata la chiave del successo della sua direzione musicale. Particolare menzione alla gestione del palcoscenico, dove Ipata riesce a tenere ben salde le soliste e, sopratutto, le coriste piazzate in alcuni casi piuttosto arretrate sul palco con le ovvie difficoltà che questa scelta registica avrebbe potuto provocare. Nel complesso al Ponchielli si è svolto un bello spettacolo, con un buon assieme ed una messa in scena convincente. Data la rarità con la quale quest’opera viene rappresentata, meritava certamente di essere vista. Domenica pomeriggio si replica.
foto Gianpaolo Guarneri/Studio B12
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Monica
21 ottobre 2023 06:29
Mi spiace , ma penso che sia la più brutta opera che ho visto recentemente, ….voci ed interpretazioni ..inesistenti …!!!!!!!!!…..