Caterina non è solo fantasia, Leonardo aveva una modella cremonese, era la cortigiana raffigurata nella "Gioconda nuda"
Caterina da Cremona, prima modella, e poi amica di Leonardo da Vinci interpretata da Matilda de Angelis nella mini serie Tv “Leonardo”, è un personaggio di fantasia. Il produttore Luca Bernabei ha ammesso di essersi ispirato “a fonti vere, ma poi gli sceneggiatori hanno avuto la necessità di inventare qualcosa su una vita che ha molti punti oscuri. La storia di Caterina da Cremona, ad esempio, è vera perchè ci sono dei contratti in cui Leonardo la chiedeva come modella. Noi abbiamo pensato che lei fosse la sua musa ispiratrice e abbiamo tessuto nella trama vera alcuni elementi di finzione”. In realtà chi cercasse notizie su Caterina non le troverebbe mai. Troverebbe, però, il nome di un’altra modella, anch’essa cremonese, storicamente documentata, che in comune con la nostra ha non solo l’origine ma anche il destino di cortigiana.
Leonardo da Vinci, contrariamente a quanto vorrebbe una certa maldicenza popolare, non era per nulla indifferente al fascino femminile. Anzi smessi i panni del pittore spesso indossava quelli più prosaici del libertino, trascorrendo il resto della giornata con una giovane prostituta cremonese. Ne era talmente invaghito che pensò bene di ritrarla in una versione meno nota e più scollacciata della Gioconda più conosciuta, appunto la cosiddetta “Gioconda nuda” una delle quali conservata oggi all’Accademia Carrara di Bergamo e considerata fino al tardo Seicento il ritratto di una meretrice. Il vago ed enigmatico sorriso della Gioconda “vera” lascia qui spazio ad un ammiccamento che il non più giovane Leonardo doveva ben conoscere e replicare in più di una versione. Ad ispirarlo in un modello poi seguito anche da Giulio Romano e Raffaello fu proprio la bella cremonese che esercitava il mestiere più antico del mondo. A squarciare il velo su questo Leonardo meno conosciuto è stato qualche anno fa Carlo Pedretti, uno dei maggiori esperti della vita e delle opere di Leonardo, scomparso nel 2018. Il pesante interrogativo sui gusti sessuali di Leonardo si era già posto secoli addietro a Giuseppe Bossi, il segretario dell’Accademia di Brera, amico del Canova e di Carlo Porta, a cui era stato dato l’incarico di realizzare una copia del Cenacolo in grandezza naturale destinata ad essere riprodotta in mosaico per la chiesa degli Italiani di Vienna. Rovistando tra le sue carte pubblicate nel 1982, Pedretti qualche anno fa ha rinvenuto una noticina che, in poche parole, sementisce qualsiasi illazione sul maestro: “Che Leonardo amasse i piaceri – scriveva Bossi in quella noticina di due secoli prima – lo prova una sua nota riguardante una cortigiana chiamata Cremona, nota comunicatami da persone autorevole”. Imbarazzato dalla scoperta il povero Bossi per attenuare i toni aggiungeva: “Nè sarebbe stato possibile, ch’egli sì a fondo avesse conosciuto gl’uomini, e l’umana natura per rappresentarla senza, col lungo praticarla, tingersi alquanto delle umane debolezze. Ciò è avvenuto a tutti i più grandi e profondi conoscitori degli uomini: nè credo possibile senza ciò nominarli, o imitarli sia scrivendo che dipingendo” In realtà in nessuno degli scritti autografi di Leonardo vi è traccia di questa donna, ma nulla vieta di pensare che la persona autorevole che informa Bossi della cosa potesse essere a conoscenza di qualche manoscritto dell’Ambrosiana andato perduto in seguito alle spogliazioni napoleoniche. D’altra parte il nome della donna “Cremona” non lascia dubbi nè sulla sua origine, nè tantomeno sulla sua attività, svolta con ogni probabilità a Roma, dove poteva avere il fascino del prodotto importato.
Qui Leonardo vi giunse quando ormai aveva più di sessant’anni, accolto dal fratello del papa Giuliano de’ Medici nel Belvedere Vaticano ed accompagnato dai suoi due assistenti tedeschi con cui aveva spesso discussioni. Questi due avevano allestito nelle stanze a loro disposizione una sorta di laboratorio per lavorare gli specchi che sarebbero serviti al maestro per i suoi esperimenti sullo sfruttamento dell’energia solare. Ma, osserva maliziosamente Carlo Pedretti, l’uso di quelle attrezzature sarebbe stato in realtà molto più prosaico e meno scientifico. La cosa era perfettamente comprensibile vista l’aria libertina che si respirava nella capitale, dove Raffaello e Giulio Romano si prodigavano nel rappresentare artisticamente quelle scene erotiche che poi sarebbero andate a illustrare i sonetti lussuriosi di Pietro Aretino. Ma un particolare in quelle scene che illustrano le performances della cortigiana ha attirato l’attenzione di Pedretti: l’uso di una acconciatura raffinata di ascendenza classica che farebbe pensare ad una parrucca. E proprio una parrucca di questo tipo Leonardo mise in testa alla sua “Leida” alla cui ideazione stava senz’altro lavorando durante il suo soggiorno romano: “Questa – scriveva il maestro – si pò levare e porre senza guastarsi”, come se l’avesse fatta provare alla sua modella. Una parrucca del tutto simile possiede anche la “Gioconda nuda”, un soggetto proprio pensato a Roma e ripetuto in un’infinita serie di copie e versioni. Proprio quello conservato oggi all’Accademia Carrara di Bergamo nel 1664, quando ancora si trovava al museo Settala di Milano, era catalogato come il ritratto di una meretrice eseguito da Leonardo: “Mulier, creditur meretrix, opus magni illius pictoris Leonardo a Vincio”. Come se non bastasse un’altra versione dello stesso soggetto a cui si sono senza dubbio ispirati Raffaello e Giulio Romano cone le loro “fornarine”, realizzata da un artista della scuola di Fontainebleau e conservata al museo di Digione, rappresenta la nostra cortigiana nell’atto di portarsi una mano al petto tenendo tra le dita un medaglione ovale nel quale si sarebbe riconosciuto il profilo di Leonardo con un’iscrizione che reca la data del 1501.
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