Cento opere dell' "autentico falsario" cremonese Alceo Dossena in mostra dal 3 ottobre al 9 gennaio al Mart di Rovereto
Il Mart di Rovereto dal 3 ottobre e fino al 9 gennaio dedica una grande rassegna al cremonese Alceo Dossena (1878-1937), "autentico falsario" e autore di una ricca produzione di opere scultoree realizzate nello stile e con le tecniche dei maestri antichi e rinascimentali. Alla sua mano, infatti, si deve l'esecuzione di veri e propri capolavori capaci di ingannare l'occhio dei più esperti, che li attribuirono a Donatello, Simone Martini, Giovanni e Nino Pisano, Andrea del Verrocchio e ad altri celebri artisti del passato. Oltre cento opere provenienti da collezioni pubbliche (anche dal nostro museo) e private presentano la più vasta selezione di opere di Dossena finora esposta al pubblico. Una mostra straordinaria voluta da Vittorio Sgarbi e curata da Dario Del Bufalo e Marco Horak, piacentino e perito del Tribunale di là del Po che qualche anno fa dedicò un libro straordinario al grande scultore cremonese. Sgarbi, in occasione della mostra sul Premio Cremona al Museo Civico di Cremona, disse che gli sarebbe piaciuto curare una mostra di Dossena nella sua città visto sempre con grande distacco dai cremonesi. Poi la scelta di realizzarla al Mart di Rovereto, evidentemente i trentini sono stati più svelti di noi.
L'11 ottobre del 1937 Alceo Dossena spirava, in una anonima corsia dell'ospedale San Giacomo di Roma. Era stato uno dei più brillanti artisti nella Cremona degli anni Venti ed era assurto a notorietà internazionale grazie alla sua irripetibile capacità di produrre opere false di qualunque secolo e di qualunque stile, quindi facilmente attribuili poi, da mercanti, senza scrupoli agli scultori più famosi. Tra le sue imitazioni più famose appaiono piccole statuette etrusche, opere dell'Alto Medioevo, del Trecento lombardo o del Quattrocento Toscano. Le sue sculture avevano annichilito e tratto in inganno i più famosi critici d'arte ed antiquari, collezionisti ed esperti. I musei di mezzo mondo (soprattutto in Inghilterra e in America) si erano accaparrati le sue creazioni contendendosi a suon di migliaia di dollari capolavori "autentici" usciti dalla sua povera bottega romana, ma di volta in volta attribuiti a Donatello o a Simone Martini, al Vecchietta o a Mino da Fiesole, a Giovanni Pisano. Persino al Canova venne attribuita una testa di Maria Luigia scolpita dall'artista cremonese. Capolavori veri e propri che portarono nelle tasche di chi seppe sfruttare la sua incredibile vena, cifre astronomiche. Al Metropolitan di New York finì un caminetto in stile Gaspare Pedone (simile a quello della Sala Giunta di palazzo comunale) ma fatto da Dossena. Altre opere finirono al Cleveland Museum, all'univerità di Pittsburgh, al Boston Museum o al Fogg Art di Cambridge.
Solo nel 1928 il gigantesco imbroglio di cui lo scultore era stato vittima, più che ideatore, venne alla luce. Dossena finì a processo e nonostante fosse antifascista lo difese appassionatamente in aula facendolo assolvere nientemeno che Roberto Farinacci. Dossena era la vittima di gente senza scrupoli, non l'ideatore della truffa. Da lì si scoprì come nacque "il giro". Un gioielliere e antiquario romano, tale Fasoli, che aveva avuto occasione di acquistare una madonnina da un oste al quale Dossena l'aveva ceduta in cambio di un piccolo prestito, aveva intuito le enormi capacità dello scultore e l'aveva convinto a lavorare esclusivamente per lui. Le statue commisisonate, a detta del Fasoli, avrebero dovuto decorare una Cattedrale che si stava erigendo in Sud America in stile rinascimentale italiano e sarebbe stato bene avessero una patina ed il sapore dell'antico. Da lì partì il grande traffico.
Alceo Dossena era a nato a Cremona l'8 dicembre 1878 in una casa in zona porta Romana. Il papà faceva il facchino. Fin da piccolo Alceo mostrò una grande inclinazione per l'arte e venne iscritto, dopo le elementari, a quella straordinaria scuola d'arte che era l'Ala Ponzone Cimino. Prima il corso per decoratore, poi quello di scalpellino che non riuscì a terminare perchè venne espulso, come ancora risulta dai registri della scuola cremonese. Il motivo non è precisato nel verbale ma in città iniziò a circolare voce di un episodio (confermato qualche anno fa anche dal nipote Ercole Priori che da lui apprese la scultura nel suo laboratorio romano di via Margutta). Appena dodicenne realizzò a casa una piccola statua di Venere e altre piccole opere ma nessuno, nè i suoi insegnanti nè i suoi compagni, credevano nelle sue abilità. Alceo staccò un braccio da quella piccola statua e pregò i suoi compagni di tenerla nascosta sotto terra per qualche giorno, per poi consegnarla a scuola fingendo di averla trovata scavando da qualche parte. La statua venne variamente datata e valutata dagli insegnanti e anche da un archeologo. Statua romana? Etrusca? Le ipotesi fiorirono, finchè Alceo trasse dalla sua borsa il braccio mancante per dimostrare che era stata opera sua e gli altri erano tutti "somari". Da lì l'esplusione. Due anni dopo si iscrisse al corso di marmista ma solo come esterno. Ma la sua capacità artistica venne affinata nella bottega di Alessandro Monti. Poi si trasferì a Parma e quindi a Roma. E da lì le sue opere falsamente antiche finirono in molti musei di tutto il mondo come autentici. Con la scoperta della truffa fiorirono anche le leggende su come faceva ad anticare la materia, il marmo soprattutto, delle sue opere d'arte. Agli inizi del Novecento esistevano in città (ma anche a Parma) i famosi "vespasiani" ora completamente scomparsi e sostituiti da impianti igienici più razionali. I "vespasiani in marmo" in quegli anni venivano sostituiti con altri in graniglia e ceramica a scorrimento d'acqua contiua. Quelli dismessi erano perlopiù vecchi marmi già utilizzati e corrosi dagli acidi ammoniacali di parecchie generazioni e quindi era quanto occorreva per creare bassorilievi e frammenti che presentavano tutti i caratteri dell'antichità. Ovviamente è solo una leggenda, in realtà Dossena aveva scoperto uno straordinario metodo per invecchiare i materiali.
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