10 luglio 2025

Cremona, 10 luglio 1944. La cronaca del bombardamento sul periodico parrocchiale "La squilla" di Sant'Agata. Tra i primi ad accorrere il parroco monsignor Astori

Il 10 luglio 1944, 81 anni fa, cadevano le bombe degli alleati sulla nostra città provocando parecchi morti: si contarono ben 119 vittime, 82 furono i feriti.  Oggi ricordiamo quella tragica giornata proponendo uno scritto di Giorgio Bonali del 2010 con il quale raccontava la cronaca di quei momenti attraverso i documenti dell'archvio parrocchiale di Sant'Agata. 

Quel lunedì era cominciato abbastanza presto per i cremonesi: tutti cercavano di muoversi il mattino prima del gran caldo previsto per una giornata di luglio.

I negozi di Porta Milano erano affollati di massaie che cercavano di acquistare gli alimenti freschi disponibili, sfruttando i bollini della tessera annonaria; Luigi, detto Luisòon per la sua stazza robusta, attraversava il piazzale per recarsi all’oratorio di S.Luca, con la speranza di incontrare qualche amico e poter organizzare una partitella di calcio in quei giorni di vacanza scolastica; Enrico, il cassiere della Stazione chiamato familiarmente Rìco dai colleghi, stava ulti- mando i conteggi per il versamento del denaro in banca ed aveva la scrivania coperta dai vari mucchietti dei biglietti di banca di diversa pezzatura; la giovane signorina Antonia, da pochi giorni al lavoro nel suo ufficio in centro, stava impostando dei registri legati alla campagna di trebbiatura del grano; all’Orfanotrofio gli educatori intrattenevano in aula i tanti ragazzi che non erano ancora tornati a casa per le vacanze; monsignor Astori, parroco di S.Agata, era seduto nel suo studio probabilmente intento ad inviare a qualche parrocchiana, sfollata presso i parenti in campagna, notizie giunte dal Vaticano di suo marito prigioniero.

Cronaca dell’incursione

“Alle 10,20 l’allarme: eravamo quasi abituati agli allarmi, ma subito dopo il rumore cupo degli apparecchi, il sibilo e lo schianto orrendo delle bombe dirompenti.”

Così inizia la “cronaca dopo l’incursione”, pubblicata dal periodico parrocchiale “La squilla di S.Agata” nel numero d’agosto ‘44, che prosegue: “Le prime caddero in casa Sospiri nell’interno sull’ala destra. Le case colpite cadono paurosamente; un fumo denso ed una polvere irrespirabile avvolgono ogni cosa; pietre e mattoni vengono proiettati anche lontano ad aumentare la rovina. Pochi istanti e vasti pacifici quartieri di abitazioni civili, dove ognuno attende al proprio lavoro, dove donne accudiscono alle faccende di casa, dove infermi giacciono nel letto, dove bimbi innocenti giocano inconsci e sereni, tutto, uomini e cose, viene sconvolto, dilaniato, schiantato. Che orrore quest’aspetto della guerra moderna!”

La sequenza di foto che un ignoto fotografo dilettante ha scattato subito dopo e che l’amico Arnaldo Maggi ci ha fornito, credo possa rendere al massimo l’idea della devastazione che si presentava ai cremonesi.

Testimonianze dirette

Nel frattempo i testimoni diretti dei quali abbiamo raccolto i ricordi, cercavano di trovare un rifugio.

Così Luigi, dopo un veloce ritorno a casa per scendere nel rifugio, appena suonato il cessato allarme, uscì a camminare nel polverone e vide i tanti morti e, soprattutto, il violento saccheggio nelle povere case distrutte; il cassiere Enrico, invitato dai colleghi ferrovieri a rifugiarsi nel “solito” campo del quartiere S.Ambrogio, dovette rinunciare per poter avere il tempo di chiudere il denaro nella cassaforte: non immaginava certo che questo ritardo sarebbe stato la sua salvezza.

Le bombe stavano già cadendo ed Enrico non se la sentì di attraversare il fascio di binari per raggiungere i colleghi; decise di correre con la sua bicicletta verso il rifugio delle scuole elementari di via Palestro, senza potervi giungere in tempo; si fermò, all’altezza di un mucchio di sabbia presso il muro di recinzione che faceva angolo con viale Trento Trieste, appoggiò la sua Bianchi nera, con appesa alla canna la borsa contenente il pasto di mezzogiorno, e si buttò steso sul mucchio di sabbia mentre uno spezzone colpiva un autocarro pieno di soldati tedeschi che stava svoltando dal viale in via Palestro; in un primo momento di pausa del bombardamento si alzò per correre nel rifugio e ricorda come, dove aveva visto il camion tedesco, era rimasto solo un grande buco: forse vi erano coinvolti i tredici soldati tedeschi dichiarati morti sotto il bombardamento.

Uscito dal rifugio dopo il cessato allarme, troverà in terra, “delicatamente” appoggiata al muretto, la sua borsa col pasto ma non la bicicletta.

La signorina Antonia ricorda lo spavento provato nello scendere al rifugio del suo posto di lavoro, sentendo tremare il palazzo per le bombe che cadevano ed al buio, essendo venuta a mancare completamente la luce: più tardi, quando suo padre verrà a prenderla per riportarla a casa, passando nelle vicinanze di piazza porta Milano, intravide il disastro.

All’orfanotrofio gli allievi vennero fatti scendere subito nelle cantine-rifugio dove i ragazzi si abbracciavano stretti fra di loro per vincere la paura provocata dai violenti scoppi estremamente vicini.

E monsignor Astori? Sarà ricordato come uno dei protagonisti del soccorso ai suoi parrocchiani sepolti sotto le macerie.

Monsignor Astori e i parrocchiani sepolti

 Riprendiamo, da La squilla, la cronaca:”Tra i primi ad accorrere sui luoghi del disastro appena cessato lo sgancio delle bombe, fra un fumo ed una polvere irrespirabile, furono i Sacerdoti delle Parrocchie colpite: la nostra, più gravemente di tutte, S.Ilario, S.Ambrogio, come i buoni Padri Barnabiti che, salvi per miracolo, spalancarono il convento ad accogliere uomini e cose delle abitazioni vicine”.

Dall’articolo di fondo dello stesso periodico dal titolo “La parola del Parroco”, riprendiamo un ampio stralcio della testimonianza diretta di monsignor Guido Astori: “Abbiamo provato anche noi direttamente uno degli aspetti più tragici e più orrendi della guerra moderna, in cui i progressi tecnici hanno portato a distruggere barbaramente in pochi istanti interi quartieri di abitazioni, a dilaniare ed uccidere cittadini inermi ed innocenti. Forse mai come ora abbiamo sentito l’orrore di una guerra che viene condotta con questi sistemi, e lo spavento di una povera civiltà materialista ed esaltatrice della violenza, che ci ha condotto a queste tragiche conseguenze”.

Prosegue Monsignor Astori: “Chiniamo la fronte nel dolore e in umile espiazione dinnanzi agli imperscrutabili giudizi di Dio che, se permette queste stragi, le permette certo ancora per disegno di salvezza per questa povera umanità, che si è allontanata troppo da Lui ed ha presuntuosamente creduto di costruire la sua grandezza senza il rispetto della legge divina....Dalla sventura cittadina, che s’unisce alle tante e grandi sventure della Patria, speriamo che si sappia trarre un ammonimento: è un’ora tremenda per la nostra Patria, ma l’ora del dolore deve unirci, non dividerci; ci deve spingere non alle maledizioni o alle bestemmie che non giovano, ma alla preghiera, alla carità larga, al lavoro fecondo per ricostruire dopo tante distruzioni, alla concordia nel rispetto reciproco, anche se vi sono divergenze d’idee, per riaffermare quell’unità spirituale, in cui la Patria deve trovare la prima fonte della sua rinascita. E il Signore sia con noi nel dolore e nella prova”.

Pastore in cerca di gregge

Con queste parole forti e incisive, tenuto conto anche del tempo in cui sono state scritte, il Parroco di S.Agata comunicò le sue impressioni ed il suo giudizio su quanto avvenuto a tutte le famiglie della parrocchia, anche a quelle sfollate, nei limiti del possibile: infatti, sempre sullo stesso numero del giornale parroc- chiale, un altro articolo, dal titolo significativo di “Pastore in cerca di gregge”, presenta la situazione che si è venuta a creare in parrocchia e in città.

"Che alto silenzio, che desolata solitudine regna nelle vie della nostra città! I pochi e silenziosi passanti vanno frettolosi, come incalzati dal cupo urlo della sirena che non dà pace. E gli oratori? Che stringimento di cuore! Dove tutto era chiasso e correre giovanile oggi par regno di morte e pensate che persino il cortile dei giovani, do- ve si combattevano le sudatissime partite al pallone, va timidamente vestendosi di verdi gramigne, benché su di esso sia passato qualcosa di più del famoso cavallo di Attila.

Ma dove soprattutto grava e tormenta questo deserto è nella chiesa. Non un fanciullo è rimasto! I vuoti banchi che hanno conosciuta la preghiera e l’irrequietezza dei nostri bimbi, paiono anch’essi, sgomenti, domandarsi il perché e fino a quando tanta dispersione. E i sacerdoti, i pastori, che cosa faranno con un gregge così sparuto? Come stare lontani da coloro cui hanno consacrato vita, sogni e speranze? “

Dopo aver tracciato questo drammatico quadro della situazione in parrocchia, monsignor Astori da buon alpino, presenta la coraggiosa soluzione:”E’ inconcepibile un pastore lontano dalle pecore, ed ecco allora i sacerdoti che visitano i loro fedeli. E’ il Parroco che giunge nel paese di sfollamento e chiede se qualcuno dei suoi è lì, in questo nuovo, provvisorio ovile.”

E quando ce ne sono “quale espressione di meraviglia e di gioia sapendo che il Parroco ha inforcato la bicicletta, ha fatto non pochi chilometri proprio per vedere i suoi parrocchiani, per dare e sentire notizie, per dire loro quelle sacre parole che scendono in fondo al cuore, che possono destare una lagrima, ma che accendono sempre più vivace la speranza e insegnano ad amare e soffrire. Deve essere davvero grande la gioia che invade il cuore sacerdotale quando può far capire ai suoi fedeli che egli li ha nel cuore, che egli li segue, che egli sa il l ro pianto segreto, che egli comprende la loro piccola e grande tragedia. Mai come in questi giorni noi abbiamo sentito chi sia e che cosa sia il sacerdote, quest’uomo che ha abbandonato tutto per amare tutti, che parla di speranza in tanta disperazione, di amore in tanto odio. Sì, per il nostro esacerbato cuore, per la nostra tragica esistenza c’è bisogno di chi spanda speranza e amore, c’è bisogno di chi faccia luce in tanto buio, di chi richiami agli uomini, fatti feroci più dei lupi, che chi davvero vince è sempre l’amore”.

Segue, su La squilla, il lungo elenco dei paesi già visitati dal Parroco e dai suoi Vicari per incontrare i fedeli sfollati.

La testimonianza di monsignor Piazzi

Nell’archivio di S.Agata esiste un imponente registro sul quale la benemerita parrocchiana Lorenzina Orsi ha trascritto, con elegante grafia, gli avvenimenti che hanno toccato nei secoli la parrocchia.

In particolare, per quanto riguarda il tragico bombardamento di Porta Milano, troviamo il racconto che trascriviamo integralmente: “Tutti allora sapevano che, in quel tragico 10 luglio 1944, monsignor Astori era stato l’immagine vivente del dolore e dell’amore, con una pala in mano, sulle distruzioni che colpirono la parrocchia di S.Agata, durante lo spaventoso bombardamento, senza cibo e senza sosta, animato solo dalla speranza di salvare una vita umana, di ridonare alla luce un volto. Una preziosa testimonianza postuma del compianto Vescovo di Bergamo, mons. Giuseppe Piazzi, illumina di un’altra luce quella tragica giornata. Monsignor Piazzi era allora parroco di Sant’Ilario. "Appena cessato il furioso bombardamento aereo, che causò grande devastazione, egli imme- diatamente corse fra le rovine, per confortare ed aiutare gli scampati. Con lui erano accorsi anche altri sacerdoti e medici e volonterosi cittadini. Tra questi vi era mons. Astori, il dottor Carlo Gualazzini e il suo infermiere. Durante la febbrile opera di ricupero dei feriti, avvenne un secondo sorvolo di aerei. Tutti temevano che si ripetesse il bombardamento e cercarono rifugio, in modo di evitare, se del caso, nuove stragi. I soli che rimasero tra le macerie, imperterriti, per la cura dei feriti, furono mons. Astori, il dottor Gualazzini e il suo infermiere. Monsignor Piazzi, a gran voce, li invitò a ritirarsi ed essi risposero che dovevano soccorrere persone che stavano per morire”.

Il racconto continua: “Due mesi dopo, alla stessa ora, il dottor Gualazzini periva per bombardamento nei pressi dell’Ospedale di Vienna, dove si era portato in una missione di pace e di bontà. Nel confortare i parenti del medico scomparso, mons. Piazzi precisò che il 10 luglio, dato il rifiuto di ritirarsi e di ripararsi, egli impartì a mons. Astori, al dottor Gualazzini e al suo infermiere, l’assoluzione IN ARTICULO MORTIS, perché aveva pienamente intuito come eroicamente i tre fossero ligi al proprio dovere, fino ad affrontare la morte”.

Giorgio Bonali


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commenti


Michele de Crecchio

10 luglio 2025 23:42

"Casa Sospiri", citata all'inizio della emozionante memoria, era la denominazione allora corrente tra noi residenti nel quartiere di San Luca ed era usata per indicare quello che da tempo ci siamo, più opportunamente, riabituati a chiamare "palazzo Stanga Rossi di San Secondo" e, cioè, il monumentale edificio posto all'angolo tra il corso Garibaldi e il vicolo Buclerina (vicolo da tempo chiuso da un cancello in ferro), la facciata del quale edificio è ben nota a tutti i cremonesi, soprattutto per i singolari "grifoni" in ferro che ne adornano la gronda.
Mio padre (miracolosamente già reduce dalla sciagurata campagna di Russia) e mia madre (allora incinta da otto mesi proprio di chi sta scrivendo questa nota) si salvarono entrambi dal terribile bombardamento perché, da un paio di ore, si erano già portati nei rispettivi, e ben lontani, luoghi di lavoro. Dell'alloggio, da loro e da non molto tempo preso in locazione, nella casa Alvergna, edificata in viale Trento e Trieste, sul lato opposto alla chiesa di San Luca, al termine del bombardamento, era rimasta in piedi, in pratica, quasi la sola facciata. Anni dopo mio padre ricordava ancora commosso la solidarietà delle non poche donne residenti nel quartiere che aveva trovato schierate davanti alla casa al fine di evitare che qualche "sciacallo" potesse rubare qualcuna delle pur poche cose di pregio travolte dall'evento. In effetti, la mia futura madre, quella mattina aveva proprio dimenticato l'anello di "fede nuziale" sulla banchina di un caminetto che, miracolosamente, era rimasto incastrato in una delle poche murature che, sia pure in precario equilibrio, erano ancora in piedi. In tale posizione l'anello fu poi ritrovato, e correttamente restituito alla sua sbadata proprietaria, proprio da uno degli onesti muratori incaricati, credo nei giorni successivi, di "mettere in sicurezza", per quanto possibile, le poche strutture superstiti.