Cremona e le occasioni perdute: così trent'anni fa abbiamo perso il Museo delle civiltà precolombiane e il recupero di San Francesco
Cremona la città delle occasioni perdute. E ne abbiamo viste passare tante e sfilarsi in questi anni: dal museo dei pianoforti (finito a Bologna) alla collezione di pianoforti Anelli (arrivati a Crema), dal Premio Severino Gazzelloni di flauto (rifiutato dicendo "noi siamo città della liuteria non altro") a tutto l'archivio storico del Quartetto Cetra e tanto altro. La rassegna che si apre domani al Filo sul cinema Archeologico (leggi qui)con il film della cremonese Petra Paola Lucini sull'archeologo bresciano Giuseppe Orefici (il più grande studioso mondiale delle civiltà precolombiane) e gli scavi di Nasca (Perù), riporta alla mente un'altra occasione persa malamente dalla nostra città: avere in Italia il più grande museo delle civiltà precolombiane dell'America Latina.
Le casse con gli strepitosi reperti erano già qui, a Cremona, custoditi negli scantinati del museo civico, frutto di un lascito liberale di Ugo Canepa, industriale biellese grande collezionista di pezzi delle civiltà perdute. Era stata individuata anche la sede del museo (San Francesco nel vecchio ospedale). Giuseppe Orefici fu più volte nella nostra città offrendosi di legare il suo nome a quel museo che doveva sorgere sotto il Torrazzo. Tutto perduto, finito a Rimini nel magnifico "Museo degli Sguardi" dedicato alle antiche civiltà extraeuropee. Si trova a Villa Alvarado è un edificio di fronte al Santuario della Beata Vergine delle Grazie sul colle di Covignano, appena fuori Rimini. Il suo nome probabilmente non dirà nulla ai cremonesi. La villa fu costruita dal nobile spagnolo don Giovanni De Alvarado, prima Cavaliere dell’Ordine di San Giacomo e segretario in Italia di Carlo V, poi Terziario francescano, per ritirarvisi in preghiera e dedicarsi ad opere di carità nei confronti dei più poveri. Dal 1928 la villa ha ospitato un museo, “Il museo delle Grazie”. Trent’anni prima, alla grande Esposizione Internazionale di Torino del 1898, era stata allestita una sezione dedicata al lavoro svolto dai Padri Francescani nelle loro missioni. Da qui l’idea di far nascere un museo analogo anche in quella casa.
Oggi quel museo, dopo il restauro dell’edificio, ha assunto un altro nome. E’ diventato appunto il “Museo degli sguardi”: gli sguardi attoniti e stupiti dei primi missionari che scoprivano il Nuovo Mondo, degli esploratori che varcavano i confini dell’ignoto, degli europei che si confrontavano con civiltà di cui non avevano supposto la raffinata bellezza. A calamitare gli “sguardi” dei visitatori sono una serie straordinaria di manufatti precolombiani di eccezionale bellezza che coprono un arco di oltre mille anni di arte e comprendono terrecotte, tessuti, gioielli.
"Coll.Canepa” è un’etichetta che si ripete ossessivamente e per chi ha seguito giornalisticamente trent'anni fa le cose di casa nostra ricorda benissimo. Quella collezione era già qui ed ha preso il largo per colpa di una sciagurata campagna di stampa abilmente orchestrata ed avvelenata da presunti dubbi di illegalità. Un sogno che Cremona si è rifiutata di sognare, pur avendone avuta l’occasione trent'anni fa. Miopia, scarsa fantasia e ipocrisia. Quale che sia stata la causa, ci siamo lasciati sfuggire l’occasione più grande che sia mai capitata da queste parti. Quei reperti, che oggi i turisti ammirano a Rimini, costituiscono in realtà solo una pallida testimonianza di quanto è stato deposto sotto il Torrazzo per quasi sei anni in attesa che il Comune decidesse se accettare o meno la proposta che quell’anziano industriale biellese, deluso dalla propria città, gli aveva rivolto. Poi, nell’aprile del 1995, stanco di attendere, Ugo Canepa decise di regalare parte della sua raccolta a Rimini, dove insieme alle collezioni di Dinz Rialto, del Museo Missionario francescano e di Bruno Frusconi, andò a costituire l’ossatura del museo etnografico. In Romagna è mai venuto in mente di dubitare dell’importazione illecita di quei pezzi, come invece è successo a Cremona. La collezione di Canepa è stata donata ai musei comunali di Rimini solo nel 2005, dopo lo scioglimento della Fondazione Caterina Fileppo, nata con lo scopo di realizzare a Cremona il museo delle civiltà extraeuropee.
Il collezionista biellese, dopo alcuni viaggi compiuti a decorrere dagli anni Sessanta, aveva sviluppato curiosità ed interesse prevalentemente per il mondo precolombiano. Aveva raccolto così una notevole quantità di materiali archeologici ed etnografici. Oggi la raccolta riminese, nonostante la perdita di molti pezzi, dovuta sia a divisioni ereditarie che ad una donazione di altro materiale alle collezioni del castello sforzesco di Milano, costituisce ugualmente una delle più importanti collezioni archeologiche precolombiane europee, di eccezionale valore storico- artistico ed antropologico, e permette un interessante ed articolato excursus sulle principali culture del Messico, Costa Rica, Panama, Colombia, Ecuador e Perù dal I millennio a.C. al II millennio d. C.. La collezione è costituita da manufatti di vari materiali prodotti da culture e civiltà anticamente disseminate nel continente americano prima dell’arrivo dei conquistadores spagnoli nel XVI secolo. Le opere donate, preziose e rare testimonianze di popoli sopraffatti e sterminati, parlano di grandi imperi scomparsi, di grandi popoli che spesso non avevano forme di scrittura e di cultura che sono riuscite, nonostante tutto, a sopravvivere all’occidentalizzazione delle Americhe. Nella collezione Canepa sono presentii, ad esempio, ariballos in terracotta degli Inca del Perù, ovvero anfore usate per il trasporto in spalla di liquidi, tessuti multicolori peruviani e originali in metallo che permettevano di mettere in “contatto” l’uomo con gli dei poichè l’oro, l’argento e il rame erano ritenuti rispettivamente il sudore del dio Sole, le lacrime della dea Luna, la rugiada della dea Terra.
Alcune di queste opere sono state esposte in passato per diverse mostre etnografiche a cura del Museo delle culture extraeuropee “Dinz Rialto”. Una prima esposizione con le opere di Canepa è stata organizzata nel 1995 sempre a Rimini, cui ha fatto seguito nel 1999 la mostra “Memorie d’Oriente” e nel 2001 la mostra “Inca. L’impero del Sole e i regni preincaici”.
La “Fondazione Caterina Fileppo”, sciolta dalla regione nella primavera del 2007, aveva tra gli scopi istituzionali la creazione a Cremona, nel complesso comunale di San Francesco (area del vecchio ospedale), del più grande centro internazionale delle Culture extraeuropee dopo quello di Berlino.
Alla Fondazione erano infatti già stati donati dall’industriale biellese Ugo Canepa cento reperti di archeologia mediterranea (fenici, greci ed etruschi), un centinaio di pezzi di archeologia indiana e africana e 650 straordinari reperti precolombiani che coprivano quasi quattromila anni di storia e provenivano dal Perù, dalla Colombia, da Costarica, da Panama, dal Nicaragua e dal Guatemala. Tutti i pezzi erano già stati donati, repertati e consegnati nel 1990. Qualche mese dopo i reperti diventavano duemila, per una valore di diversi miliardi di vecchie lire. Motore dell’iniziativa era il più grande archeologo e ricercatore delle antiche civiltà peruviane, quel Giuseppe Orefici che solo alcuni anni fa aveva fatto retrodatare di ottocento anni la civiltà Nazca, in Perù. Orefici, bresciano, da tempo conosceva Ugo Canepa, industriale biellese e il più grande collezionista italiano di antichità andine. Essendo ormai avanti con gli anni, Canepa voleva legare il suo nome e quello della madre ad una fondazione che potesse realizzare il suo sogno: un museo delle culture extraeuropee. Di fronte ai tentennamenti dell’amministrazione di Biella, forse spaventata dalla necessità di trovare in fretta un ambiente adeguato e in imbarazzo per le interrogazioni presentate da un consigliere verde sulla provenienza dubbia dei reperti andini; scartata la soluzione del museo in castello Sforzesco a Milano dove la sua collezione sarebbe stata una delle tante, Canepa aveva chiesto ad Orefici di trovare una nuova collocazione per lo straordinario museo che aveva nella sua villa e nei forzieri delle banche biellesi.
Giuseppe Orefici, che a Cremona aveva tenuto numerose conferenze, aveva in città un carissimo amico, il geometra Giuseppe Ghizzoni, imprenditore, consigliere comunale del Pri e socio fondatore dell’Archeoclub. Orefici e Ghizzoni portarono Canepa a Cremona. L’industriale biellese venne ricevuto dal sindaco Zaffanella. Restò ammaliato dalla bellezza della città, si commosse al suono dei violini della collezione civica. Canepa e Orefici visitarono anche l’ ipotetica sede del museo: la chiesa di San Francesco, l’ampia struttura delle sue navate, gli scantinati, i locali accessori. Sulla base delle piantine consegnate dall’ufficio tecnico comunale, in poco tempo Orefici ed il suo gruppo di tecnici studiarono la sistemazione delle collezioni, il centro studi precolombiani, la scuola di restauro, i laboratori e la scuola internazionale di archeologia.
Insomma tutto lasciava presagire che l’operazione cremonese potesse in fretta arrivare a compimento. Si accelerarono i passi formali. Il 20 giugno 1989 Canepa donava buona parte delle sue collezioni ad una fondazione appositamente costituita presso il notaio milanese Di Maio. La dotò anche di 300 milioni di lire per i primi lavori di sistemazione del complesso di San Francesco.
Ma un consigliere regionale Verde inoltrò una interrogazione per conoscere le modalità con le quali Canepa era venuto in possesso dei reperti precolombiani. La stessa cosa fecero alcuni parlamentari verdi a Roma. Ugo Canepa decise allora di dare in deposito la prima tranche di oggetti a patto che i cremonesi si fossero impegnati a realizzare il museo entro un anno. I reperti, circa 1200 pezzi della prima donazione, arrivarono effettivamente in città e finirono in deposito al museo civico. In Santa Maria della Pietà venne allestita una mostra con parte degli straordinari oggetti d’arte precolombiana. La Regione, attraverso il presidente Carlo Giovenzana, approvò la Fondazione promettendo anche finanziamenti per il centro studi.
Ma a Cremona partì una assurda e pretestuosa campagna di stampa contro il museo, sulla base della solita voce su importazione illegale di beni archeologici.
L’anno passò e Canepa, ancora una volta assolto dall’accusa di importazione illegale di reperti, diede l’addio a Cremona. L’industriale venne, ancora una volta, completamente scagionato dall’accusa di importazione illegale di reperti. Tutti i pezzi precolombiani che aveva acquistato erano rigorosamente documentati e certificati. Erano stati acquistati alla galleria Mermoz o da Seyman a Parigi, alla casa d’aste Mazzoleni di Milano o da un collezionista romano. I reperti restarono fino al 1995 depositati nella nostra città. Poi nell’aprile dello stesso anno partirono per Rimini, che stanziò subito un miliardo e 800 milioni per allestire il museo.
Così perdemmo anche il più grande museo delle civiltà precolombiane in Italia.
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commenti
Emanuele Bettini
2 luglio 2024 10:05
Ebbene sì...tante occasioni perdute....ricordo anche la rivista internazionale "Si scrive" che dirigevo a Cremona . La pubblicazione, sostenuta dalla Amministrazione Provinciale, fu soppressa per una decisione politica. Collaborava o università italiane e straniere. Autori a livello di Nobel...ecc.ecc. Mario Luzi, Alberto Bevilacqua, Silvio Ramat...Columbia University....il tutto faceva riferimento al PEN International di cui sono ancora Segretario Generale per l'Italia. Qualcosa è stato riproposto dalla Universitas Sancti Ciryill di Malta...poveri noi...qui ci si distingue sempre...
Pasquino
3 luglio 2024 04:17
Ma i geni di Cremona come questi o come quelli che ci hanno fatto perdere la collezione Scala o che ci hanno costruito l'inceneritore e la pensilina o hanno venduto.le farmacie o la aem perche' circolano ancora e magari hanno anche un futuro politico invece di essere presi a calci in .....? Cremonesi !