20 maggio 2024

Documenti americani desecretati. Giugno 1945, a Vipiteno vennero rintracciati i macchinari dell'Armaguerra. Il tentativo (inutile) di riportarli a Cremona per far ripartire la produzione di armi

Arrivando dalla Castelleonese dominava l'ingresso in città, lo dominava perché, proprio sul margine esterno tra i campi di granoturco e di frumento della città di Cremona, la industria Armaguerra si profilava chiaramente, e in parte si profila ancora pur senza i campi che la circondavano, occupando una vasta area con il suo stabilimento.

La storia, triste dal punto di vista industriale, di quella che è stata una perla dell'ingegneria meccanica in Italia ha visto il suo progressivo decadimento dalla fine della Seconda guerra Mondiale, un decadimento accelerato da scelte miopi e a volte guidate più da un interesse immediato che neanche da quello rivolto al lungo periodo. La Armaguerra, con i suoi macchinari, con il talento dei suoi lavoratori e con i suoi uffici di ricerca e sviluppo aveva un valore enorme, un valore che faceva gola a tutti, un valore che, in poche parole, aveva dato lustro alla città di Cremona.

Durante l'ultimo conflitto mondiale l'industria cremonese venne letteralmente smembrata, i macchinari vennero, in buona parte, smontati e trasferiti con la forza altrove, l'azienda, al pari di una preda di guerra, venne praticamente resa inoperativa soprattutto dai tedeschi che si impossessarono trasferendo, con una violenza inaudita, tutto ciò che faceva parte dell'azienda.

Nell'aprile del 1945 gli Alleati, una volta preso il controllo della città, volevano fare chiarezza sul destino di quella parte della storia industriale cremonese, le loro decisioni non avevano nulla di particolarmente romantico per il futuro di Cremona ma, molto più pragmaticamente, l'Armaguerra la conoscevano bene per i brevetti e la qualità dei loro prodotti.

“I tedeschi hanno preso i macchinari dell'Armaguerra e li hanno portati in un bunker segreto sul lago di Garda” era la frase che veniva ripetuta come un mantra agli ufficiali alleati che arrivavano in città, frase che aveva un senso logico ma che non era totalmente vera visti i documenti alleati desecretati.

Per decenni si è dato per scontato che la capacità produttiva della industria cremonese fosse finita sulle rive del lago, in realtà il grosso dei macchinari della Armaguerra era finito a Vipiteno, più esattamente alla caserma Gondar dove i tedeschi, dalla fine del 1944, stavano cercando di approntare una linea di produzione per i loro fucili sulla falsariga di quelli di fabbricazione italiana. Nel disperato tentativo di riuscire a cambiare il corso di una guerra che sembrava ormai definito i macchinari della Armaguerra dovevano, secondo la logica tedesca, sopperire alla carenze in materia di armi e colmare il vuoto con gli armamenti degli Alleati che non sembravano soffrire limiti produttivi. In realtà, al di fuori della sua storica sede e lontano dai i suoi lavoratori più qualificati, i macchinari requisiti ebbero un impatto minimo rispetto alle aspettative, così come non furono di grosso aiuto quei pochi apparati produttivi sequestrati Cremona e poi abbandonati a Campione del Garda.

Nel giugno del 1945 il Governo Alleato ricevette una lettera dalla direzione della industria cremonese, la lettera era, purtroppo, quasi un disperato tentativo di recuperare quei macchinari di via Castelleone che avevano dato lustro alla industria cremonese. Dopo una visita della dirigenza alla caserma Gondar l'ing. Maurizio Delleani, direttore tecnico della Armaguerra, chiarì agli Alleati che i macchinari erano in condizioni pressoché perfette o con risibili problematiche e propose di far rientrare gli stessi nella sede cremonese per far ripartire la produzione. La precisione della missiva indirizzata al Comando Alleato era incontestabile, la chiarezza su come riorganizzare il lavoro a Cremona altrettanto; la Armaguerra poteva tornare a ridare lustro alla industria nazionale con solo con un minimo sforzo, quello di far rientrare i suoi macchinari, dato che le idee e le persone per portarle avanti erano già tutte dentro quelle strutture che dominavano l'arrivo in città dalla Castelleonese.

Per facilitare la ripartenza e velocizzare il trasferimento del materiale da Vipiteno a Cremona l'azienda mise a disposizione i 4 autocarri di proprietà rimasti, di cui uno con rimorchio, oltre alle persone che si sarebbero occupate del “trasloco”. Quattro autocarri non bastavano per caricare la enorme mole di macchinari presenti, e la Direzione chiese al Governo cittadino di fare un piccolo sforzo offrendo qualche altro automezzo e la benzina necessaria per i viaggi. Una volta tornati in possesso del necessario per poter lavorare l'Armaguerra avrebbe liquidato i costi di questo sforzo nel giro di 30 giorni, a conferma della bontà del lavoro che si svolgeva in quegli edifici.

La richiesta cadde nel vuoto, quasi come un sacco di patate privato del suo contenuto, gli Alleati non considerarono utile il ritorno al lavoro per le maestranze cremonesi e arrivarono a bloccare i conti correnti dell'impresa per valutare eventuali epurazioni da effettuare dentro l'azienda, la missiva di giugno, forse con la consapevolezza che quelle macchine non sarebbero mai tornate in città, si appellava anche ad un – quasi disperato – tentativo di poter riconvertire la produzione in altri prodotti in base alle necessità post belliche. Il tono della lettera è quasi drammatico, venendo a mancare la spina dorsale della produzione industriale la dirigenza aveva ben chiaro nella testa che l'Armaguerra non avrebbe avuto continuità produttiva e, infatti, verrà costretta a chiudere le posizioni lavorative in poco tempo dopo aver tentato di riconvertire i pochi macchinari rimasti verso la produzione di piccoli motori. Il 1948 rappresenterà la fine di una epopea industriale e tecnologica invidiata in quasi tutto il mondo, una fine ingloriosa nata dalla volontà di smembrare una realtà eccezionale quasi più per perfidia che neanche per reale necessità, per poi lasciare terra bruciata in quella parte della città di Cremona. 

Marco Bragazzi


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