Due artisti cremonesi e due chiese gemelle. Una famiglia dal passato radicato nell'ordine templare. Tante coincidenze, un'unica direzione: il Santo Graal
Tracce del leggendario Santo Graal nella Bassa Emiliana tra le province di Parma e Piacenza, a due passi da Cremona? Con artisti cremonesi ad intrecciarsi nella enigmatica vicenda? Una domanda ricca di fascino, di certo sufficiente, da sola, a stuzzicare la curiosità dei lettori invogliandoli ad andare oltre, per scoprirne di più. Un interrogativo stimolante e singolare, d’interesse per chi è sempre alla ricerca di nuovi misteri e di nuove pieghe della storia, ma, non certo per fugare i dubbi di scettici e storici. Giusto e doveroso quindi premettere subito che nessuno sta ipotizzando, neppure lontanamente, che il Santo Graal sia finito, anche solo di “passaggio”, nella pianura emiliana. Ci sono tuttavia alcuni aspetti tanto misteriosi quanto curiosi, che non possono passare inosservati e che lasciano aperti alcuni interrogativi, anche affascinanti. Ci sarebbe da aprire, innanzitutto, un’ampia parentesi sul Graal e qui va premesso che, a conti fatti, ad oggi, nessuno sa realmente che cosa sia, se è qualcosa di semplicemente leggendario o se è accompagnato da qualche verità storica e, ancora di più, nessuno sa dove si trovi. Basta una rapidissima ricerca sul web per trovare una serie di luoghi, in Italia e nel mondo, accreditati come possibili custodi del Graal.
Tutte ipotesi, più o meno fondate, più o meno sostenute da vicende storiche, ma pur sempre ipotesi. Già la domanda “che cos’è il Graal?” sarebbe sufficiente a richiedere pagine e pagine di scritti, che risparmiamo ai lettori limitandoci a un brevissimo sunto. La teoria, da sempre, più accreditata vuole che si tratti della coppa, oppure del piatto o del vaso, utilizzata da Gesù durante l’Ultima Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue di Cristo durante la crocifissione. Questa, appunto, l’ipotesi più quotata, ma non certo la sola. C’è chi sostiene che il Graal non sia altro che la Sindone custodita, come noto, a Torino; ma c’è anche chi ritiene sia il simbolo della discendenza di Gesù. Ipotesi, questa, sostenuta da chi ritiene che Maria Maddalena fosse la moglie di Gesù, dal quale avrebbe avuto un figlio e, dopo il martirio di Cristo sarebbe fuggita in Normandia dando vita alla dinastia dei merovingi. Il Santo Graal non sarebbe quindi una coppa in cui fu raccolto il sangue di Cristo, ma una persona, Maria Maddalena, la vera "coppa" che ha tenuto in sé il sang réal, in francese antico il "sangue reale", da cui "Santo Graal", cioè i figli che Gesù Cristo le aveva dato.
La tomba perduta della Maddalena sarebbe dunque il vero Santo Graal. Secondo questa teoria, fatta propria da Dan Brown nei due romanzi “ll codice Da Vinci“ e “Angeli e demoni”, Cristo aveva affidato una Chiesa che avrebbe dovuto proclamare la priorità del principio femminile non a San Pietro ma a sua moglie, Maria Maddalena, e che non aveva mai preteso di essere Dio. In questo senso, la Cappella del Corpo di Cristo nella Cattedrale di Cremona ripercorrerebbe in realtà la vicenda di Maria Maddalena fino a prenderne la stessa dedicazione. Per chi desidera approfondire questi temi si consiglia la lettura di questo articolo (CLICCA QUI).
Il Sacro Graal inteso come oggetto sarebbe molto legato, comunque, al cristianesimo. Ma è altrettanto vero che c’è chi sostiene che sia divenuto un simbolo cristiano, pur avendo tuttavia origini molto più antiche, originate per altro da leggende di diverse culture. Altri sostengono che sarebbe una pietra preziosissima, probabilmente caduta dal cielo, dai poteri straordinari, addirittura capace di donare l’immortalità. Nel tempo il Graal ha originato numerose suggestioni letterarie e cinematografiche, le tesi si sono moltiplicate, le discussioni anche. Fatto sta che, ad oggi, nessuno sa che cosa sia realmente né dove sia finito. Uno dei più grandi, suggestivi e curiosi misteri di sempre. Ma cosa centra, fatte queste doverose premesse, la Bassa Emiliana, a due passi dal Cremonese, con il leggendario Sacro Graal? Probabilmente poco o nulla. Ma alcuni curiosi interrogativi restano e riguardano due chiese pressoché contemporanee, poste a pochi chilometri l’una dall’altra, entrambe fondate dalla nobile famiglia dei Pallavicino che, tra i suoi esponenti, ebbe anche appassionati e cultori di leggende e vantò nientemeno che un cavaliere templare, Guido Pallavicino, sepolto nell’antica Abbazia cistercense di San Bernardo, a Fontevivo.
È noto che, spesso e volentieri, la vicenda del Graal viene associata a quella dei cavalieri Templari. Le due chiese in questione sono l’Insigne chiesa collegiata di san Bartolomeo Apostolo in Busseto e la Basilica di Santa Maria delle Grazie e San Lorenzo in Cortemaggiore. La prima, quella di Busseto, riedificata tra il 1437 ed il 1450 (all’epoca di Orlando Pallavicino il Magnifico) in luogo della precedente (documentata come più piccola) fondata nel 1336 da Uberto V Pallavicino. La seconda, quella di Cortemaggiore, iniziata nel 1481 per volere di Gian Lodovico e Rolando II Pallavicino. Quindi pressoché contemporanee, distanti appena 12 chilometri l’una dall’altra. Entrambe caratterizzate dalla presenza di raffigurazioni del Preziosissimo Sangue: a Busseto una tavola dipinta e a Cortemaggiore un affresco.
In ambedue i casi il Cristo viene raffigurato in posizione eretta mentre dal suo corpo si sprigiona il sangue che finisce in un calice posto ai suoi piedi. Calice semplicemente dipinto a Cortemaggiore, mentre a Busseto è fissato sull’antica tavola lignea su cui è dipinto il Cristo ed è impreziosito da una evidente lamina in argento, senza dubbio a voler esaltare questo oggetto. Perché esaltarlo? Un semplice fatto di devozione popolare? Una grazia ricevuta? O ci sono altri motivi per volerlo mettere in evidenza? C’è da dire che la rappresentazione del Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo, per un certo periodo della storia, è stata assai in voga. Infatti il sangue versato da Gesù per la salvezza dell’umanità fu oggetto di culto fin dai primo secoli dell’era cristiana, ma la devozione si intensificò a partire dall’XI secolo, specialmente in relazione alla diffusione della leggenda del Sacro Graal.
In particolare la devozione verso il Preziosissimo Sangue ebbe una importante diffusione nel Cinquecento, soprattutto nel Nord Italia. Ed è stato nel Cinquecento che il tema è stato dibattuto, teologicamente e iconograficamente. Ad oggi è del tutto ignoto l’autore che ha dipinto il Redentore sulla tavola di Busseto. C’è stato chi ha ipotizzato una attribuzione al cremonese Tommaso Aleni, detto il Fadino (autore, doveroso ricordarlo, della spettacolare “Ultima Cena”che si trova nel refettorio del convento domenicano di San Sigismondo ed è copia, forse addirittura la prima, del famoso Cenacolo Vinciano) ma questa ipotesi sembra poco probabile. Ignoto è anche il nome di chi ha inserito la lamina d’argento sul calice. Curioso poi il fatto che la tavola dipinta sia stata posizionata sulla prima colonna di destra, entrando, in chiesa mentre sulla prima colonna di sinistra è raffigurato un affresco della Madonna col Bambino.
A Cortemaggiore, l’affresco del Redentore si trova invece sulla pilastrata absidale di destra e, su quella di sinistra, guarda caso, spicca un’altra Madonna col Bambino. È solo una coincidenza che, nelle due chiese “pallaviciniane” il Preziosissimo Sangue e la Madonna col Bambino siano stati rappresentati nelle due estremità opposte delle chiese? Oppure un significato nascosto va a collegare le due chiese con le rispettive opere? Venendo all’immagine del Preziosissimo Sangue di Busseto, quella appunto dipinta su una tavola, oggi il tutto si presenta molto scuro, il che non favorisce né le attribuzioni né datazioni precise. Da notare il fatto che il Cristo è ricoperto del solo perizoma e porta una mano al petto indicando il cuore infiammato. Sorprende inoltre il fatto che non pochi testi di storia locale, dedicati alla collegiata, non facciano alcun cenno di questa tavola e, men che meno, del calice in argento. Non si è nemmeno a conoscenza della provenienza di questa tavola. È stata fatta per la collegiata di San Bartolomeo o proviene da un altro luogo? Domande che, al momento non trovano alcuna risposta.
Sulla colonna opposta si trova invece, come già anticipato, una Madonna col Bambino, affresco quattrocentesco di scuola senz’altro lombarda. È dipinta nella rappresentazione iconografica della Madonna del Divino Soccorso in cui la Vergine compare con una veste bianca e un manto rosso trapunto di stelle dorate. Sorregge in grembo il Bambino che, come lei, è coronato ed è rappresentato nell’atto di poppare. Passando invece al Cristo Risorto rappresentato sulla pilastrata di destra (rispetto all’altare maggiore) della basilica di Cortemaggiore, si tratta di un frammento d’affresco cinquecentesco, di scuola lombarda. C’è chi ipotizza possa essere opera del cremonese Andrea Mainardi detto il Chiaveghino (nacque a Cremona nel 1550 circa e vi morì il 28 febbraio 1617) che a Cortemaggiore così come a Busseto ebbe modo di lavorare. Nell’affresco è raffigurato in piedi (come a Busseto) con il calice a fianco del piede destro (esattamente come a Busseto) all’interno del quale finiscono le abbondanti quantità di sangue. Quattrocentesco è invece l’affresco della Madonna col Bambino che si conserva sulla pilastrata opposta. Sicuramente di scuola lombarda (quasi certamente cremonese), rappresenta la Madonna avvolta in un manto che sorregge il Bambino nudo, ma con indosso una collana e bracciali in corallo rosso.
A pochi metri di distanza un altro luogo, mistico, ricco di fascino e di mistero, vale a dire la cripta nella quale campeggia l’affresco del Cristo Risorgente, definito anche il “Cristo miracoloso”, tornato alla luce nel 1761 durante i lavori per la realizzazione della cripta. Datato 1522, opera di Antonietto dè Renzi, venne ritrovato in maniera del tutto fortunosa, durante appunto la realizzazione della cripta. L’evento colpì, e non poco, l’opinione pubblica che iniziò a chiamare, quello in oggetto, il “Cristo miracoloso”, rimasto per decenni sepolto sotto cumuli di terra, riscoperto in quel modo imprevisto. Su quella che poteva essere la sua funzione originaria le tesi degli storici si dividono. Per alcuni era posto sopra l’ingresso dell’area in cui venivano tumulati i sacerdoti; per altri sormontava, invece, il tabernacolo dove, durante il Triduo Pasquale, venivano custodite le particola. Una immagine, comunque, particolare che vede raffigurato il Cristo mentre sorge dal sepolcro, con le croce imbandierata alle spalle e le braccia allargate, richiamando così alla Misericordia divina che, come scrisse il sommo poeta Dante Alighieri “Ha sì gran braccia che prende ciò che si rivolge a lei”.
Da evidenziare che anche nel “casino di campagna” dei Pallavicino si trova una immagine del Cristo Risorto (raffigurato mentre esce dal sepolcro, con a fianco la Madonna in trono e le mani, però, incrociate), datata 1519, opera a sua volta di Antonietto dè Renzi e pure in diverse abitazioni del paese si conservano non poche immagini del Cristo che risorge dal sepolcro. Questo è dovuto al clamore che ebbe il ritrovamento del 1761 oppure altri significati, ad oggi celati dal mistero, accompagnano questa particolare iconografia religiosa che ricorre nel borgo piacentino? Misteri e domande irrisolte, dunque, che si rincorrono in questa linea di pianura divisa dall’Ongina e dall’Arda, ma unita dalla storia che trova le sue radici nelle vicende della nobile famiglia dei Pallavicino. In questo senso va ricordato che nella divisione dei feudi di Rolando il Magnifico, Busseto e Cortemaggiore toccarono, in comune, a Gian Lodovico e a Pallavicino Pallavicino. I loro rapporti, tuttavia, non erano idilliaci e, così, si divisero il territorio e, a Gian Lodovico, toccò, nel 1479, Cortemaggiore dove si trasferì seguito, per altro, da parecchi abitanti di Busseto. Nacque così il nuovo ramo di Cortemaggiore e da subito iniziò la costruzione della fortezza, progetta da Maffeo Carretto da Como.
Gian Lodovico morì due anni più tardi, nel 1481 e gli successe così il figlio Rolando II, che alcuni storici tuttavia citano come Orlando. Fu lui a portare avanti i lavori del castello e della cinta muraria e ad avviare la realizzazione dell’odierna basilica di Santa Maria delle Grazie e San Lorenzo. Una storia, quella della famiglia Pallavicino, che andando indietro nei secoli incrocia anche quella, come anticipato, di Guido Pallavicino, del ramo di Pellegrino Parmense, celebre cavaliere templare, vicerè di Tessalonica, sepolto nell’Abbazia di San Bernardo a Fontevivo di cui era benefattore (motivo questo che spiega la sua sepoltura in un edificio sacro), in una tomba posta nelle immediate vicinanze dell’altare maggiore, sulla cui lastra frontale compare l’immagine dello stesso cavaliere, vestito della sua armatura, per altro caratterizzata da svariati simboli esoterici. Guido Pallavicino poteva forse essere a conoscenza di particolari, non secondari, riguardanti la vicenda del Sacro Graal? E’ noto che numerosi sono, a tutt’oggi, i misteri, e le leggende, che accompagnano la storia dei cavalieri Templari, soprattutto quelli legati proprio al Sacro Graal. Misteri irrisolti che i cavalieri si sono portati nella tomba. E’ assai probabile che questo possa essere accaduto anche per Guido Pallavicino.
La domanda, allora è: vi sono fatti o vicende, non passati alla storia, che tuttavia in qualche modo si sono tramandati, nei secoli, all’interno della nobile famiglia Pallavicino arrivando così anche ad esponenti di altri rami? Interrogativi, anche questi, a cui è ben difficile poter dare una risposta. Se dunque, come affermato fin dall’inizio, è a dir poco improbabile che la storia del Sacro Graal possa anche solo sfiorare quella di Busseto e Cortemaggiore, è altrettanto vero che tanti interrogativi restano. Perché rappresentare in due chiese vicine, contemporanee, due immagini del Preziosissimo Sangue con il calice, quasi nascosto, ai piedi di Cristo? Perché evidenziare quello di Busseto con una lamina in argento? Perché queste immagini sono state poste all’inizio e alla fine delle due chiese? Che cosa ha “tramandato” la vicenda storica di un importante cavaliere templare quale è stato Guido Pallavicino, attraverso i secoli, verso i suoi discendenti? Di quali misteri è stata custode la nobile famiglia? Tutti interrogativi avvolti dal mistero che lasciano aperta una storia ricca di fascino.
Eremita del Po
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Rosella
21 marzo 2025 01:00
Tutti fuggono il dolore e le difficoltà: la "Via della Croce" è una via controcorrente, che nel 'quattrocento, quando si affermano movimenti spirituali che predicano di vivere "SEQUELA CRISTI"( secondo l'esempio di Gesù), diventa protagonista di una particolare iconografia della Passione di Cristo, declinabile in vari significati.
Il"CRISTO IN PIETÀ"( fermoimmagine di Busseto), la figura del Cristo a mezzobusto che viene fuori dal sepolcro, mostrando le ferite"OSTENSIO VULNERAM", circondato dagli strumenti della passione "ARMA CRISTI"(la croce, le fruste, i chiodi...).
"L'UOMO DEI DOLORI VIVENTE", Cristo a figura intera piagato ma vivo o "L'UOMO DEI DOLORI EUCARISTICO" con la raffigurazione del calice che raccoglie il sangue sgorgante dal costato.
In questo viaggio tra mistero e arte, Panni ci invita ad entrare nelle nostre Chiese, luoghi accessibili ed inclusivi, per scoprire e "OSSERVARE" quei tesori di natura religiosa,
figli di quella specifica comunità, che in essi si riconosce per storia e tradizione. L'opera d'arte è "un oggetto trasportabile", i musei ne sono pieni, il suo contesto culturale no; perdendo il contesto per cui è stata pensata, l'opera si disconnette da quei valori storici, artistici, devozionali che esprime e per i quali era stata realizzata.