30 luglio 2023

Ecco come trascorrevano le estati i bimbi cremonesi di un secolo fa nelle colonie climatiche di Cremona e Casalmaggiore in un vecchio filmato dell'Istituto Luce del 1932

Un vecchio filmato muto del 1932 dell'Istituto Luce mostra alcuni momenti della vita dei bambini ospiti delle colonie di Cremona e di Casalmaggiore durante l'estate. Le sequenze mostrano i  bambini che assistono all'alza bandiera della mattina e fanno il saluto fascista, il momento della colazione sulla terrazza della colonia, poi gli esercizi ginnici. Di seguito i balilla ospiti della colonia di Cremona accolgono le autorità in visita, poi marciano lungo le rive del fiume passando davanti al padiglione elioterapico, orgoglio dell'edificio fluviale già prima del riammodernamento del 1936, fanno esercizi di ginnastica sotto gli alberi, poi l'inquadratura si sposta su una veduta del fiume.

Le colonie climatiche si diffusero in modo capillare a Cremona, dove un opuscolo pubblicato dall’Ente Opere Assistenziali asserisce che esistono ben 114 colonie elioterapiche, campestri e fluviali, sparse in tutta la provincia. In realtà già dalla fine dell'Ottocento, grazie agli interventi di Pericle Sacchi, Felice Celli e Ulisse Bonadei, si erano diffuse a Cremona le idee del medico fiorentino Giuseppe Barellai sui benefici delle cure climatiche marine e dell'elioterapia nella prevenzione di malattie causa di mortalità: le più temute erano la tubercolosi, il vaiolo, la difterite, i linfatismi e la scrofola che, colpendo il sistema linfatico, produceva le cosiddette “scrofole”, una serie di rigonfiamenti ghiandolari. Due delle prime colonie climatiche cremonesi nascono proprio in questi anni: l'Istituto marino degli scrofolosi a Cesenatico nel 1864, la colonia marina casalasca di Forte dei Marmi nel 1876, la colonia alpina di San Colombano nel 1888, la colonia della Società cremonese contro la tubercolosi a Vestone nel 1900 e quella dell'ospizio cremasco di Finalpia nel 1913. L'ospizio di Cesenatico venne in seguito messo a disposizione, fino al maggio 1920, degli oltre centocinquanta bambini viennesi accolti a Cremona in seguito alla gara di solidarietà su iniziativa del sindaco milanese Emilio Caldara, originario di Soresina. L'Organizzazione e gestione delle colonie erano in mano a banche, opere pie e singoli benefattori religiosi o laici, e il carattere privato e lo scopo caritatevole restarono prevalenti fino agli anni Venti del Novecento.

Il primo conflitto mondiale rese impossibile tuttavia trasferire i bambini bisognosi di cure climatiche. Per questo motivo a Cremona venne creata la prima colonia fluviale nell’agosto del 1915, le “Colonie del Po Regina Margherita di Savoia” dove l’elioterapia viene applicata grazie alle risorse offerte dall’ambiente, le acque del Po, le spiagge sabbiose, i pioppeti ed i prati. Fu l’avvento del fascismo a mutare questo stato di cose in modo radicale. Nel corso degli anni Venti il fascismo affidò la gestione delle colonie alle federazioni locali del Partito nazionale fascista, all’Opera nazionale Balilla, l’organizzazione legata al ministero dell’Educazione che inquadrava i bambini e i ragazzi, maschi e femmine, dai 6 ai 18 anni, e all’Opera nazionale maternità e infanzia per l’assistenza alle madri e ai bambini. Verso la metà degli anni Trenta le colonie di vacanza furono riorganizzate secondo le linee di un maggiore accentramento che riguardò l’intero sistema fascista, nel quadro della costruzione dello stato totalitario e della massima organizzazione del consenso per le quali era necessario porre sotto il controllo dello stato e del partito ogni aspetto della vita politica, economica e sociale italiana. L’educazione dell’infanzia, principale veicolo per la creazione dell’“uomo nuovo fascista” e dei futuri soldati per le guerre del fascismo, ricevette una particolare attenzione sia nel campo della scuola sia in quello dell’organizzazione delle attività ricreative e assistenziali quali le colonie di vacanza. Nel 1937 esse, come tutte le organizzazioni e le strutture destinate all’infanzia, furono affidate alla Gioventù italiana del Littorio (Gil), dipendente dal Pnf, che collaborava per la gestione delle colonie con i presidi sanitari locali e con le prefetture. Negli anni Trenta e sino al 1942 crebbero in modo evidente sia il numero delle colonie di vacanza che quello dei bambini ospitati.

Le prime colonie apparvero come strutture smontabili in legno, solo tra il 1936 e il 1938 viene realizzata la maggior parte di quelle in muratura. Sono in legno su basamenti in calcestruzzo le colonie di Piadena, Dovera, Spino d'Adda e Robecco d'Oglio. Nel 1936 nascono le colonie di Castelleone, Palazzo Pignano, Rivarolo del re e Vescovato realizzate dall'ingegnere Carlo Gaudenzi; vengono completate quelle di Gadesco-Pieve Delmona, Sesto Cremonese e Persico Dosimo. Altre nel frattempo sono sorte a Pandino, Rivolta d'Adda e Drizzona. Tra il 1937 ed il 1938 si dotano di una colonia climatica anche Sospiro e Scandolara Ravara.  La colonia climatica durante il regime fascista cessa di essere la sede di attività strettamente terapeutiche, erede dell’ospizio infantile ottocentesco, per divenire soprattutto la palestra per la formazione fisica e spirituale dell’uomo nuovo del fascismo. Il regime, avendo intuito le potenzialità propagandistiche di questi organismi, associò all’idea di difesa della razza, la concreta possibilità di intervenire con una precoce impronta militare e fascista nell’educazione dell’infanzia e della gioventù. Nel 1930 Cremona rivendica la propria supremazia in campo assistenziale istituendo la “Federazione delle colonie” con il compito di disciplinare l’attività di tali enti mentre il regime fascista impone la formazione dell’Ente Opere Assistenziali in ogni provincia. 

Il carattere di eccezionalità della situazione cremonese è confermato dal numero di comuni che parteciparono al II Convegno nazionale delle colonie fluviali nel 1932, tenutosi presso la “Colonia Regina Margherita di Savoia e Balilla Roberto Farinacci” in riva al Po. L’organizzazione delle colonie si basava su principi precisi. Innanzi tutto la scelta del luogo, che non doveva essere lontano dal centro abitato, ma fuori dalla cerchia di vie abitate, lontano da via battute, esposto alla luce del sole per tutto l’arco della giornata, riparato dai venti, dalla polvere e dal fumo, ricco di vegetazione. 

Utile la vicinanza di qualche baracca dove ripararsi da eventuali intemperie e durante le ore più calde. Necessaria la presenza di un pozzo per l’approvvigionamento di acqua, la sistemazione di latrine da campo e la delimitazione dei confini della colonia con rete metallica o filo spinato. 

La selezione dei coloni doveva essere eseguita da medici competenti, in particolare le colonie fluviali erano più indicate per i gracili, gli anemici, i linfatici, i predisposti alla tubercolosi ereditaria e al contagio tubercolare familiare. 

La direzione sanitaria e l’organizzazione della colonia dovevano essere affidate ad un medico che fosse esperto di elioterapia e si dedicasse con passione a tale attività. 

La stagione ideale doveva andare da maggio ad ottobre, ma la preferita era da luglio a settembre, in corrispondenza delle vacanze scolastiche. 

L’elioterapia doveva essere fatta in maniera progressiva, da pochi minuti ad un massimo di tre ore divise equamente tra mattina e pomeriggio, preferibilmente dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 17, al bagno di sole doveva sempre seguire l’immersione nel fiume per dieci o al massimo quindici minuti. Si dovevano praticare metodicamente esercizi di ginnastica respiratoria. 

Il regime dava molta importanza all’educazione spirituale, tale da influire sulla formazione dei bambini, secondo la pedagogia fascista, che prevedeva un impegno serio e ordinato lontano da frivolezze. 

Nel 1939 la città inaugurò, alla presenza del segretario del partito Achille Starace, la nuova colonia in calcestruzzo “Regina Margherita di Savoia e Balilla Roberto Farinacci”, realizzata su progetto dell’ingegnere Carlo Gaudenzi. 

Per poter accedere al soggiorno coloniale, i bambini e le bambine dovevano essere vaccinati almeno contro le malattie più difficili da curare, mentre i più grandi dovevano aver fatto il richiamo, onde evitare il diffondersi di tali malattie nelle strutture ad altri bambini.
I Segretari federali, a partire dagli anni ’30, inviarono una serie di lettere agli organi direttivi delle strutture elioterapiche contenenti indicazioni precise, come la prescrizione dei locali, le diete alimentari o gli aspetti igienici: le colonie elioterapiche, per il regime, dovevano essere condotte con uniformità in un ambiente sano, confortevole, di sana propaganda fascista, di educazione igienica e di elevazione morale.
Diversa era l’educazione all’interno della colonia in quanto, a parte le due tranches giornaliere di due ore di indottrinamento politico ed il saluto romano all’alza-ammaina bandiera, il resto dell’attività di colonia era diviso in base al sesso: ai bambini venivano impartiti esercizi ginnico-fisici di carattere paramilitare e nozioni di laboratorio manuale per essere pronti un domani a lavorare ed entrare a far parte di un forte ed intrepido esercito che avrebbe difeso l’”italica Patria”, mentre alle bambine venivano impartiti corsi di economia domestica e di cucito, soprattutto.
Punto di riferimento nella colonia elioterapica erano le “signorine vigilatrici”, ragazze di età compresa tra i 18 e i 30 anni, iscritte ai Fasci femminili locali. Queste erano in rapporto di 1 a 30 con i coloni, dovevano essere ben istruite tecnicamente nonché essere predisposte all'indole materna. La loro iscrizione obbligatoria al Partito permetteva loro di insegnare la politica fascista, soffermandosi con attenzione particolare sulla biografia del Duce e su tutto ciò che ha fatto e farà per la Nazione, per l’”italica gioventù” e per i destini del Paese per un domani migliore, spiegando le opere compiute e quelle che saranno fatte dal fascismo. La lingua parlata dalle “signorine vigilatrici” era l’italiano, poiché la maggior parte dei bambini, se non tutti, si esprimeva in dialetto.
Anna Maria Gobbi Belcredi, giornalista della rivista del Touring Club Italiano “Le vie d'Italia”, sosteneva che «non vi è nulla di più bello, di più santo al mondo del procurare un po’ di gioia a un bambino, nonché assisterlo, curarlo fisicamente e moralmente, vederlo rifiorire grazie al loro dono di aria, di luce e di salute dandogli ciò che veniva riservato ai bambini più fortunati». Il lavoro delle “signorine vigilatrici”, che dedicavano completamente le vacanze estive ed il tempo libero all’attività di istruttrice di colonia, era «una nobile missione che dava loro una gioia che andava a compensare le fatiche e le preoccupazioni» in una «scuola […] di maternità volontaria […] e […] sorgente inesauribile di poesia».
Al suo interno la colonia disponeva, di solito, di un ampio refettorio; servizi igienici; infermeria; piccoli ambulatori per la cura, ad esempio, di escoriazioni.
Figura rilevante era quella del medico, il quale aveva il compito di vigilare attentamente dal punto di vista igienico-sanitario e rilevare gli effetti del soggiorno nello sviluppo fisico dei Balilla e delle Piccole italiane. Anna Maria Gobbi Belcredi definiva la figura del medico all’interno della colonia quasi inutile, in quanto «c’era poco o nulla da fare per il dottore [che] constatava il miglioramento dei piccoli: aumento di peso, bel colorito, occhio vivo, tanta allegria».
In puro stile fascista, la ripetitività del gesto caratterizzava la giornata all’interno delle colonie: appena giunti nella struttura, i piccoli coloni si posizionavano intorno all’asta che sorreggeva il tricolore nazionale e salutavano “romanamente” la sua “salita al cielo”. Nelle “diurne” si susseguivano la ginnastica respiratoria, la visita medica, l’indottrinamento politico-fascista, i giochi e le cure elioterapiche, il pranzo nel refettorio, la ricreazione post-pranzo (ore 13:30–ore 15), la seconda tranche di indottrinamento politico, i giochi e le cure, la doccia (nel caso di immersioni in piscina), il saluto all’ammaina bandiera ed il ritorno a casa; nelle “permanenti” (le colonie marine) le attività in più rispetto alle altre erano la sveglia collettiva, compresa tra le ore 6:30 e le 7:00 (a seconda del regolamento interno alla colonia), la pulizia all’interno della camera e quella personale, la passeggiata in riva al mare marciando, la cena in refettorio e il “post-cena”, la preghiera serale ed il ritorno in camera.
I momenti clou dell’attività all’interno della colonia marina erano la “terapia dell’acqua” e la “terapia del sole”, la balneoterapia e l’elioterapia. Praticati nelle “marine”, per ovvi motivi, i bagni d’acqua avvenivano dopo quelli d’aria e consistevano in immersioni di circa venti minuti nell’acqua del mare, considerata la panacea di tutti i mali.
Con modalità diverse erano compiuti i bagni di sole: nelle “marine” era fatta mediante l’esposizione totale del corpo stando sdraiati su delle stuoie per circa un’ora, mentre nelle altre colonie l’elioterapia consisteva nello stare all’aria aperta svolgendo gli esercizi ginnici o anche il semplice correre all’interno della struttura, dimenticando tutti i problemi di salute. La continua inaugurazione di colonie elioterapiche in Italia fu il segno dello sforzo del fascismo di fornire alla popolazione servizi in grado di preservare l’”italianità”.
Le colonie climatiche fasciste non prevedevano discriminazioni sociali, visto che al suo interno si incontravano sia i figli delle famiglie più disagiate delle città, e quelli della medio-alta borghesia. Si possono individuare vari difetti delle colonie. In primis, all’interno delle strutture, venivano azzerate le individualità e le personalità dei piccoli ospiti, visto che al suo interno era difficile la vita, sembrava di stare in una caserma dato il numero eccessivo di controlli sanitari effettuati, l'indottrinamento politico quotidiano, impartito severamente dalle assistenti, senza contare che la separazione fra bambini e bambine rendeva la nostalgia di casa, ed il distacco dalle madri, ancora più intenso, soprattutto nelle “marine”: la precisione dei tempi che scandivano la giornata delle colonie, l’obbligo di indossare divise uguali, il numero di riconoscimento della biancheria intima e le camerate enormi resero le “provvide” strutture fasciste un luogo di spersonalizzazione.

Vedi il filmato dell'Istituto Luce del 1932:

https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL3000051322/1/le-colonie-climatiche-fluviali-sul-po-e-sul-ticino-estate-1932-x.html?startPage=40

 

Fabrizio Loffi


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Gianni

30 luglio 2023 12:44

Bellissime esperienze, sane, etiche e di comunità!

michele de crecchio

30 luglio 2023 14:53

Sarebbe bello riuscire a recuperare un interessantissimo, quanto vetusto, filmato che era conservato in comune dalla signora Sanipoli, a suo tempo segretaria dell'Ente Asili. In tale filmato (risalente all'epoca del Sindaco socialista Botti!) e riscoperto per iniziativa dell'indimenticabile assessore Gianfranco Lazzari, durante il secondo mandato amministrativo dell'ottimo sindaco Zanoni, veniva documentata l'attività di una delle primissime "colonie estive", attività che si svolgeva a Cremona sullo spiaggione di Po, con i ragazzi ospitati sotto semplici tettoie realizzate in legno. Di quel filmato ricordo, in particolare, la sfilata dei ragazzi che, incolonnati, raggiungevano la spiaggia percorrendo a piedi la via del Sale, allora contornata da filari di gelsi, sotto l'occhio compiaciuto del baffuto sindaco Botti, di professione tipografo.