5 giugno 2021

Giallo a Sant'Agata: le tavole dedicate alla Santa erano in realtà due. Guazzoni: nel 1623 la reliquia in marmo era affiancata all'altra dipinta

La tavola di S. Agata diventa un giallo intrigante. E se le tavole fossero in realtà due? Una quella che conosciamo, dipinta sul finire del Duecento o agli inizi del secolo successivo con la Madonna e il Bambino sulla fronte e le storie della santa catanese sul retro, e l’altra, una tavoletta marmorea, raffigurata in un affresco di Giulio Campi del 1537 mentre un angelo la depone sotto il capo della vergine siciliana. Ed allora, dov’è finita la seconda di cui si perdono le tracce intorno alla metà del Seicento, ma che la diocesi di Catania ha rivendicato con forza fino a qualche anno fa, ritenendo fosse incastonata nell'altra? Il mistero è stato rispolverato dallo storico dell’arte Valerio Guazzoni nel corso di una conferenza della Società Storica Cremonese dedicata alle arti a Cremona e in Lombardia al tempi di Dante. Guazzoni non ha dubbi: a Cremona c’era una reliquia della santa siciliana ed era proprio quella tavoletta marmorea, portata in città probabilmente tra il X e l’XI secolo insieme ad altre dei “Corpi Santi”. E’ ricordata da Sicardo, ma soprattutto è citata ancora in un documento del 1623, presente nello stesso altare della chiesa a fianco della tavola dipinta. Poi se ne sono perse le tracce ed è iniziata la confusione. Potrebbe essere stata incastonata nei muri della chiesa, ma le ricerche fino ad ora effettuate non hanno fornito alcun esito. Oppure, peggio ancora, potrebbe essere stata venduta.

Non è la prima volta che il dipinto è al centro di una discussione di questo genere. Anzi, sono millecinquecento anni che si consuma un silenzioso, ma costante, braccio di ferro tra due diocesi e due regioni per la proprietà di una preziosa reliquia che sarebbe incapsulata all'interno della tavola stessa. La reliquia, in effetti, c’è, ma non è la tavoletta marmorea, conosciuta a Catania come “La tavola dell’angelo”. Don Achille Bonazzi, che ha condotto nel 2013 indagini approfondite in occasione del restauro della tavola, ha rinvenuto un foro di circa 3 centimetri di diametro, praticato in epoca antica in corrispondenza del manto della Vergine, ma non in linea con la struttura fibrosa del legno, in cui è stata fatta passare un piccola ampolla contenente alcune gocce di sangue, prima che venisse nuovamente chiuso.

Guglielmo Durando, vescovo di Mende in Linguadoca morto nel 1296, è stato un grande giurista e trattatista che per lungo tempo ha soggiornato in Italia, prima per gli studi di diritto a Modena e Bologna, poi in qualità di rettore, nelle Marche e in Romagna, per difendere gli interessi del papato dagli attacchi delle famiglie ghibelline. Proprio lui, nel suo trattato di liturgia, il Rationale divinorum officiorum, ci informa che ai suoi tempi era ancora viva l'eco delle vicende dei martirio di S. Agata e rilevava che la martire, dopo aver subito tante torture, era morta in carcere e che al momento della sepoltura un angelo avrebbe posto accanto alla sua testa una tavoletta in cui c'era scritto MSSHDEPL, cioè “mentem sanctam spontaneam, honorem Deo et patriae liberationem” (mente santa spontanea, onore per Dio e liberazione della patria). Da questo sarebbe invalsa la consuetudine di celebrare ogni anno una processione. Guglielmo Durando non cita espressamente i luoghi in cui si teneva questa processione anche se è facile supporre che inizialmente quel rito, divenuto così notorio e tradizionale, si celebrasse a Catania, dove quella tavoletta, anche se unita all'immagine di sant'Agata, trovava il suo significato più profondo. Non a caso le otto iniziali (M.S.S.H.D.E.P.L.), hanno avuto una notevole diffusione nel corso dei secoli, tanto da essere riprodotte in diversi luoghi di Catania. La frase per intero è riportata sulla tavola posizionata sulla mano sinistra del busto reliquiario del 1376; le iniziali invece si trovano riportate sulla porta sinistra della cattedrale, sulla tavoletta posta in cima all’obelisco egizio dell’elefante, sulla campana del duomo, sul prospetto della chiesa di Sant’Agata alla Badia ed in altri luoghi della città. La processione è documentata anche a Cremona. Lo scrive Antonio Campi nel 1585: “Quella Tavola con somma veneratione si porta ne' grandi incendii, contra i quali si è trovata sovente esser singolar rimedio: portasi anche questa tavola a tempi nostri processionalmente ogni anno intorno la Città alli 5 di febraro giorno solenne per la festa di Sant'Agata”. 

Da quanto tempo vi si svolgeva? La diffusione del culto della martire catanese si fa risalire probabilmente a un’iniziativa della regina longobarda Teodolinda, che tra il VI e il VII secolo, allo scopo di formare una classe dirigente favorevole al cattolicesimo, decise di titolare molte chiese del regno a santi e martiri cristiani, tra cui Agata, diffondendone così il culto in territori anche molto lontani da quelli di origine. Questo è confermato anche dalla tradizione secondo cui nel 568, in occasione della invasione dei Longobardi, un prete avrebbe trafugato la tavoletta da Catania portandola a Cremona. Il vescovo Sicardo, morto nel 1215, spiega nel “Mitrale” di avere appreso da una precedente relazione che quella tavoletta era stata collocata in una piccola chiesa, costruita in onore di S Agata presso la Porta “Pertusia” per essere poi trasferita nella nuova basilica, edificata a partire dal 1077 ed affidata alle cura dei Canonici Lateranensi a nome della Sede Apostolica. La testimonianza di tale avvenimento è confermata anche da un privilegio, concesso in quel tempo da Enrico IV, in cui si dice che lo stesso imperatore volle gratificare i cremonesi perché nel costruire quella basilica avevano dichiarato di averlo fatto per l'onore di Dio e per la incolumità del sacro Romano Impero; ed è confermata anche dal papa Urbano II nel 1090 in occasione dell'incarico, che egli diede ai Canonici Lateranensi di amministrare a nome della Sede Apostolica quella basilica. Se dobbiamo prestar fede alla tradizione siciliana il prete che avrebbe portato la tavoletta a Cremona, sarebbe stato testimone del culto con cui i catanesi la circondavano, e quindi avrebbe diffuso anche a Cremona l'usanza di portare in processione la tavoletta in giro per la città al chiarore di tanti lumi accesi e col concorso della folla dei fedeli, specialmente donne, che per l'occasione avrebbero iniziato  a nutrire particolare devozione verso la santa martire. Vale la pena osservare che in altre città dell'Italia settentrionale sono in uso processioni in onore della santa siciliana nella ricorrenza del 5 febbraio. Ad esempio a Santhià in provincia di Vercelli, a Genova nel quartiere di San Fruttuoso di Terralba, vicino al Bisagno, il primo febbraio si tiene la Fiera di S. Agata. In una piccola frazione di Lecco, Tremenico, si celebra ogni anno la festa di S. Agata con tanto di processione, testimoniata fin dall'XI secolo, così anche a Tezze Arzignano (frazione del comune di Arzignano, in provincia di Vicenza), e così pure ad Ossuccio, frazione di Tremezzina, un comune sul lago di Como. 

Per millenni pertanto la tavola è stata ritenuta solo un prezioso reliquiario e, come tale, oggetto di una particolare venerazione. Anche il gesuita e storico belga Jean Bolland, che raccolse l'informazione da un certo padre Giulio Mazzarino, riporta negli “Acta Sanctorum”, pubblicati a far tempo dal 1643, la notizia tramandata oralmente che la tavoletta di Cremona era di marmo bianchissimo. Nel 1575 San Carlo Borromeo, in visita pastorale alla basilica nel 1575, nel disporre la ricognizione delle reliquie, si limitò solo a pregare e a venerare la tavola, senza ordinare di aprirla. E per secoli è stata come tale contesa e al centro di una vera a propria guerra delle reliquie che ha opposto, almeno fino agli Cinquanta del secolo scorso, Cremona a Catania, terra d'origine della martire cristiana Agata. 

Nel 1760 il Capitolo della Cattedrale e il civico Senato di Catania scrissero all'allora vescovo di Cremona Ignazio Maria Fraganeschi, per indurlo a voler effettuare finalmente una ricognizione della preziosa tavoletta di sant'Agata, per averne una relazione. Ma il vescovo fu lapidario: il popolo cremonese non era assolutamente disponibile che la cassetta venisse manomessa, per evitare che i catanesi avanzassero un'eventuale pretesa per la restituzione del presumibile furto di quella tavoletta. Il vescovo cremonese non fece altro che agire come il suo predecessore Nicola Sfondrati, divenuto poi papa Gregorio XIV. In realtà la convinzione che la tavola dipinta potesse essere una teca contenente la piccola lastra di marmo si era diffusa a partire dalla ricognizione del vescovo Omobono Offredi, fatta propria dallo stesso parroco Giuseppe Maria Bonafossa, che nel 1798 scriveva che scuotendo la tavola questa risuonava come se al suo interno nascondesse qualcosa. 

Un altro tentativo fece monsignor Salvatore Romeo scrivendo nel 1922 all'abate di sant'Agata Agostino Desirelli, ma non ottenne altra risposta che un sommario accenno dell'iter storico e una descrizione della tavoletta, con l'esplicita aggiunta che non si poteva prevedere altro: «perché il sacro deposito essendo stato trasportato da Catania a Cremona incassato, come di presente si trova e inchiodato in tavola dipinta, non essendo stato mai disserrato, nessuna memoria certa c'è della sua forma, né delle sue qualità».

Dunque la tavola è sempre stata ritenuta un reliquiario fino a quando nel 1925 venne “riscoperta” da Ugo Gualazzini, che giunse alla conclusione che la Tavola di S. Agata non era, comunque, quella che la tradizione vuole fosse stata posta da un angelo sotto le spoglie della Vergine catanese, dal momento che la leggenda dell'identità delle due tavole sarebbe nata solo nel XVII secolo ad opera di Giuseppe Bresciani e che la tavola non avrebbe avuto con la Sicilia altro che relazioni ideali. L'esaltazione della santa e delle sue virtù sarebbe inoltre un fatto legato alla propaganda antiereticale che fu particolarmente intensa in Cremona nel secolo XI e in quelli seguenti.  La tavola, come i cristalli che la proteggevano, era del tutto annerita per il depositarsi secolare del fumo delle candele, al punto che, almeno fino a tutto il Settecento, si pensava fosse una lastra marmorea. Ridotta così in condizioni di totale illeggibilità, ci si può spiegare anche come si sia potuto ignorarne il significato artistico per tanti secoli. Fu soltanto l'operazione “abusiva” di aprire i cristalli che la racchiudevano, a rivelare la presenza dei dipinti sulla tavola di legno e ad avviare il prezioso cimelio verso la celebrità. Ci volle un anno perchè il restauratore Mauro Pelliccioli riuscisse a riportare in vita la tavola, pazientemente consolidata e ripulita, nella pienezza dei suoi valori. Il legno, com'è noto, è dipinto su entrambe le facce: da una parte raffigura la Madonna con il Bambino e, al di sopra, in proporzioni assai più ridotte, la scena della Pentecoste. Dall'altra parte racconta, distribuiti in quattro fasce, episodi della vita e del martirio di S. Agata: il bordo è costituito da un fregio che svolge sui quattro lati un motivo di piccoli archi continui, in cui Vittorio Sgarbi ha voluto vedere un motivo derivato dall'arte islamica. Sempre Sgarbi ne attribuisce l'esecuzione all'opera di un artista lombardo, attivo verso il 1294-1295, sensibile alla cultura toscana, ma orientato verso quella corrente realistica che da Wiligelmo arriva sino ai Campi e a Caravaggio. Il suo valore artistico, peraltro, è una scoperta recente di Roberto Longhi. Nel 1951, un ultimo tentativo per ottenere delucidazioni era stato fatto dal sacerdote Giuseppe Consoli, cui da Cremona fu inviata una risposta sorprendentemente quasi identica a quella fornita nel 1922 ad una precedente richiesta di don Salvatore Romeo. Cosa difficilmente spiegabile, perchè nel frattempo vi era stato sulla tavola il primo intervento restaurativo che avrebbe dovuto dirimere la questione, non nota certamente ai più, ma sicuramente ben conosciuta dai diretti interessati. Anche l'esame radiografico eseguito nel 1979 non ha dato una risposta definitiva: la tavola non avrebbe al suo interno una lastra marmorea ma solo “un indecifrabile corpo opaco, della forma di una monetina, appena sopra la testa della Madonna”. Eppure il fatto che la tavola di Sant'Agata sia dipinta su entrambi i lati, che sia stata venerata e portata in processione non come una semplice effigie, che rechi il misterioso monogramma MSSHDEPL scolpito secondo la tradizione sull'angelica tavoletta marmorea, depone a favore che possa trattarsi di una teca.

Ancora nel 2002 il vescovo di Catania monsignor Santo D'Arrigo era convinto che i cremonesi si fossero impossessati di quella reliquia da 14 secoli e sperava che, dopo tante insistenze, si decidessero finalmente ad “aprire la cassetta contenente la preziosa lapide elogiativa di sant'Agata, con tutte le possibili precauzioni, cautele e garanzie che essi potrebbero esigere: la verità e il coraggio non nuocerà ad alcuno”. Ma la tavola, come hanno dimostrato le indagini condotte da don Achille Bonazzi, è un pezzo di legno unico, dipinto su entrambi i lati, ma unico. Dunque, non vi è nulla da aprire. Anche la delegazione catanese giunta a Cremona in quegli anni dovette ammetterlo. Per oltre due secoli anche loro si sono lasciati ingannare. Ma allora, e torniamo al punto di partenza,  se la tavola dipinta non la contiene, dov’è finita la tavoletta dell’Angelo?

 

Fabrizio Loffi


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commenti


Vitto Fode

10 agosto 2021 17:30

Voci di sagrestia avvertono che assisteremo alla moltiplicazione delle Tavole!