10 settembre 2024

Gli annunci infiniti per il ponte Verdi tra San Daniele Po e Polesine-Zibello e Roccabianca sempre a rischio. Tempi lunghi. La storia del viadotto

E’ arrivata anche a ridosso del ponte “Giuseppe Verdi” parte della grande quantità di legnami, dettiti e rifiuti portata dalla piena ordinaria del Grande fiume di pochi fa.  Il Po ha trascinato verso valle una enorme “isola” di legna e rifiuti, di cui si è ampiamente scritto e di cui si possono vedere le immagini qui https://cremonasera.it/cronaca/allarme-rifiuti-una-grande-isola-di-detriti-di-oltre-200-metri-in-transito-sul-fiume-po-le-incredibili-immagini-della-protezione-civile-che-ne-stanno-monitorando-il-percorso.  A ridosso di quel grande “malato” che è il ponte “Verdi”,  che divide (sarebbe bene scrivere collega e unisce ma, vista la situazione in cui versano le infrastrutture sul fiume si possono usare solo termini come “divide” e “allontana”) Emilia e Lombardia, Parmense e Cremonese, nel tratto compreso tra i Comuni di San Daniele Po, Polesine Zibello e Roccabianca,  già da tempo erano accumulati, contro le pile in alveo, abbondanti quantità di legnami e detriti. Trasportati ed accumulati, soprattutto, dalle piene ordinarie che si sono susseguite in primavera; una situazione più volte evidenziata da cremonasera.it ma anche da altre testate sia online che cartacee e da televisioni locali, sempre accompagnata dal disarmante ed incommentabile silenzio di chi, invece, avrebbe dovuto dare risposte circa la sicurezza del viadotto. Risposte che, senza voler essere arroganti, erano semplicemente dovute (ed urgenti) ai lettori che, giusto ricordarlo, sono sempre anche contribuenti ed elettori (purtroppo spesso smemorati). Ora, dopo la piena ordinaria dello scorso fine settimana, legnami, detriti e rifiuti (il segno chiaro e fin tropo evidente di quanti incivili ci sono in giro) sono ulteriormente aumentati, a ridosso delle pile che sostengono il “Verdi”. Con la speranza (visto che non è dato avere risposte si può solo parlare di speranza) che la pressione esercitata da questi materiali non causi ulteriori problemi ad un ponte che ne ha già a sufficienza e sul quale sono attesi i lavori di sistemazione e messa in sicurezza (che, giusto ricordarlo, a febbraio 2022 erano stati annunciati, con tanto di conferenza stampa, per l’estate 2023). A proposito di questi interventi nel corso della presentazione pubblica che si è tenuta a Ragazzola a fine agosto, è stato detto che l’avvio dei lavori è imminente (si era annunciato settembre 2024, e come recita un vecchio detto, chi vivrà vedrà). Gli interventi comporteranno una spesa di 20 milioni di euro (interamente stanziati dallo Stato) e questo, di fatto, permetterà di allungare la vita dell’infrastruttura di qualche decennio (gli amministratori locali avevano più volte proposto e richiesto la costruzione di un nuovo ponte ma in quel di Roma l’idea non ha fatto breccia e, quindi, si preferisce spendere 20 milioni per un ponte che avrà solo qualche decennio di vita in più come spiegato dagli addetti ai lavori). Il primo mese sarà impiegato per installare il campo base, tracciare le piste per i mezzi di cantiere e per sistemare il traffico veicolare. Trascorso il primo mese inizierà il consolidamento del lato est, la parte su cui posa la strada, con lavori che dovrebbero proseguire per cinque mesi. Ci si sposterà poi sul lato opposto tra marzo e agosto 2025. Quindi la ristrutturazione si concentrerà poi sulla base del ponte e sui piloni tra maggio e dicembre 2025 (questi tempi sono quelli scritti sul cosiddetto crono programma) e, secondo le previsioni, il tutto dovrebbe essere completato per gennaio 2026. La preoccupazione, più che legittima e comprensibile di molti lavoratori, riguarda le annunciate chiusure totali che, inizialmente, erano state annunciate per l’estate 2025 facendo sollevare le polemiche del mondo agricolo (e non solo). Polemiche e segnalazioni che hanno prodotto un lavoro di concertazione tra Enti ed hanno portato a decidere che la chiusura sarà invernale e non estiva, con l’obiettivo di ridurre il più possibile i disagi per le popolazioni e per i lavoratori dell’una e dell’altra sponda del Po. Ora non resta che attendere i fatti e, magari, andare anche a ripercorrere pagine di storia locale che restano epiche. Il “Verdi”, che quest’anno taglia il traguardo dei 44 anni di vita (venne inaugurato nel 1980) ha infatti una storia bella e importante alle spalle; una storia fatta di grandi contese tra comuni, con “in campo” anche storici parroci (di quelli che probabilmente, in qualche modo, hanno a loro volta ispirato la penna superlativa di Giovannino Guareschi) come don Celso Ghiozzi di Zibello (che si battè con tutte le forze per far gettare un solido ponte tra le due sponde) e don Martino Aletti di Isola Pescaroli. Rivalità, contese e gelosie a parte, era evidente la necessità di un collegamento tra le due sponde del fiume ed il risultato, alla fine, ormai quasi mezzo secolo fa, è stato raggiunto. E questo è quello che, comunque, conta.

Ma la storia del viadotto ha, tra le sue “pieghe” tante altre storie, meno note, di notevole interesse. Ad esempio in quanti sanno che il vecchio ponte di barche di Cremona, in buona parte, finì al Porto Vecchio di Zibello? In quanti sanno che si era pensato anche alla realizzazione di un ponte di barche tra le due sponde, a poca distanza dalla zona in cui oggi sorge il “Verdi”?

Tutte storie e vicende ben note a Gaetano Mistura, per tre mandati, in passato, sindaco di Zibello, custode tenace, attento, puntuale e prezioso della storia locale. Nel corso della sua vita, Mistura, tuttora molto attivo nella tutela e nella divulgazione della storia locale ha sempre attentamente conservato e custodito tutte le memorie locali. Consapevole (con piena ragione) che ogni fatto, anche quello apparentemente più semplice, può essere un domani prezioso per ripercorrere la storia dei nostri territori. Alla fine ha messo insieme una miniera di storia, più che preziosa, che è e deve restare un patrimonio di questi territori del medio Po.

Perché il passato del ponte è storia che riguarda, indistintamente, l’una e l’altra sponda del Po.

“Quanto al ponte – scrive l’ex sindaco in una recente memoria - quando venne inaugurato quello attuale (1980) molto si scrisse anche in relazione al viscerale antagonismo che anni addietro, tra il 1948 e il 1952, si scatenò tra il comune di Zibello e quello di Roccabianca, che ambivano entrambi ad averlo sul proprio territorio. Nel 1987, a mia volta avevo scritto per POV, un bollettino parrocchiale voluto e sostenuto da Don Paride Godi (storico e indimenticato parroco di Pieveottoville), un breve pezzo nel quale, vergando il ‘de profundis’ del vagheggiato progetto di un ponte di barche sul Po nella nostra zona, avevo avuto modo di sottolineare l’impegno di don Ghiozzi affinché l’opera trovasse la sua realizzazione in comune di Zibello. La diatriba, senza esclusione di colpi, era, come detto, tra i due comuni di Zibello e di Roccabianca. Quando scrissi il pezzo per POV avevo svolto una accurata ricerca per capire come si era svolta tutta la vicenda della quale ancora in quegli anni (eravamo nel 1987 ed il nuovo ponte era stato inaugurato nel 1980) si ricordavano gli accesi contrasti. Nell’occasione avevo letto tutte le delibere di Giunta e di Consiglio del comune di Zibello che trattavano l’argomento ed anche articoli di stampa, e ancora una pubblicazione scritta ad hoc per celebrare l’evento. Ho letto anche, ricordo, un trafiletto di giornale in cui si parlava dell’impegno di don Celso a favore del ponte a Zibello, ma da nessuna parte colsi che il sacerdote fosse schierato a favore dell’opera che avrebbe voluto a Zibello piuttosto che a Pieve. In ogni caso allora avevo dato atto a don Celso Ghiozzi di essere stato lasciato troppo solo nell’impari lotta, con gli accesi contorni politici, che vedeva contrapposti i due comuni. Troppo forte era la contesa e don Ghiozzi, che pure si fece autorevole interprete delle ragioni di Zibello, si trovò vaso di terracotta fra vasi di ferro, per dirla col Manzoni. Questo è quanto mi è dato a sapere. Ribadisco: la disputa aveva forti, ma molto forti connotazioni politiche (ricordate i film di Peppone e don Camillo? Ebbene quelli erano i tempi, quei film non sono una favola, la realtà era quella). Quando poi nel 1950 la Democrazia Cristiana a Zibello conquistò il comune, con Manfredi sindaco e Roccabianca si confermò socialcomunista con in testa il sindaco socialista Tonna, lo scontro si fece ancor più aspro ed ognuno dei due enti mise in campo ogni sua risorsa per avere la meglio. Erano dunque i territori comunali a contendersi la struttura.

Zibello alla fine ebbe partita vinta e acquistò, per 600.000 lire, il materiale dismesso del ponte di barche di Cremona, che rimase accatastato per un paio d’anni in prossimità del porto vecchio, luogo nel quale si pensava di allestire il manufatto, anche per la ragione che lì esisteva già la via di accesso o, almeno, quella che poteva diventare la via di accesso (strada Al porto)”.

Di quel “materiale dismesso” si è purtroppo persa traccia e, con ogni probabilità è finito, distrutto, tra le acque del fiume. Di certo, come si può leggere anche in una lapide marmorea sistemata sulla chiesetta di San Luigi Gonzaga a Zibello (per volere del compianto dottor Giuseppe Riccardi, a lungo medico condotto del paese) è noto che nel 1948, a Zibello, si costituì il “Comitato del ponte di chiatte” con lo scopo, ovviamente, di costruirne uno. Lo componevano Giuseppe Usberti (presidente), Giuseppe Cavalieri (vicepresidente), Pietro Accarini (sindaco, membro di diritto), Teredo Alinovi, Alberto Assali, don Celso Ghiozzi, Pietro Merli, Giuseppe Concari, Aurelio Manfredi, Giovanni Tragni, Biagio Riccardi (cassiere), Con la sottoscrizione di 1.048.050 lire acquistò il ponte di chiatte di Cremona e due barconi di cemento. Il sindaco assicurò l’appoggio materiale e morale del consiglio. Sembrò cosa fatta, ma così non fu. Il sindaco Accarini si recò tre volte a Roma per chiedere aiuti. Ma alla fine emerse l’impossibilità di formare il consorzio fra i comuni interessati, così come si evidenziò il costo di manutenzione troppo elevato rispetto all’esiguità dei fondi. Alla fine il comitato rinunciò all’impresa e restituì ad ognuno il suo per poi sciogliersi.

Tornando alle memorie di Gaetano Mistura, l’ex sindaco aggiunge: “Una cosa credo che ancor oggi possa far sorridere ed è che il ponte verrà realizzato trent’anni dopo, ma dove? A Ragazzola, in comune di Roccabianca (con la via di accesso per metà in territorio di Pieveottoville). La “vexata questio” Zibello – Roccabianca ebbe fine, con buona pace di tutti e forse questa soluzione se la sarebbe fatta andar bene anche don Celso. A questo punto mi viene da fare una riflessione un po’ nostalgica e del tutto personale sul valore che avrebbe potuto avere il ponte di barche. Costruito all’’inizio del boom, quando l’impulso socio-economico aveva ben altra spinta, il ponte forse avrebbe potuto lasciare segni più tangibili in termini di sviluppo. Va considerato però che si trattava di una struttura anacronistica. Quando ormai i trasporti non erano più costituiti da carriaggi trainati da cavalli e buoi e il traffico veicolare era in vertiginoso aumento e ben più pesante. Un ponte di barche, con costi di manutenzione e di mantenimento spropositati, sarebbe stato decisamente fuori dal tempo (basti pensare che per il suo funzionamento quotidiano erano necessari sei pontieri di giorno e due di notte). E’ questa, in sintesi, la vera ragione per la quale l’idea del ponte di barche fu lasciata cadere, vendendo all’asta nel 1952 il ferro di risulta come ferro vecchio. Un’ultima riflessione: nei primi anni ’50 tutti i ponti di barche furono ricostruiti in cemento, v. Casalmaggiore, Guastalla, Boretto ecc., ci fosse stato anche da noi un ponte di barche (e questa era la prospettiva dei nostri amministratori), forse ne avremmo avuto uno in cemento anche noi quando poteva veramente servire e rappresentare un fattore di promozione e di sviluppo territoriale, ma, come si sa, la storia non si fa né con i se né con i ma. La conclusione che si può trarre da questa storia è tuttavia un’altra. Ed è che i paesi collegati, con il nuovo ponte hanno tratto scarsi benefici, sia al di qua, che al di là del Po. E’ come se il ponte passasse sopra la testa delle popolazioni residenti senza lasciare traccia. In questi luoghi l’economia modesta era e modesta è rimasta. Lo dimostra lo spopolamento continuo, una espansione urbanistica irrilevante, pochi o nulli i commerci. Si, se vogliamo, tragitti più brevi per raggiungere Cremona e i centri delle due pianure, la cremonese e la parmense e, complessivamente una migliorata mobilità nei due entroterra. Da noi, poi, una nuova strada provinciale, la provinciale 10 di Cremona (la quale però si tronca in modo incoerente a Santa Croce), che ha eliminato il transito sull’argine maestro, oltre la rinnovata strada per Soragna – Fidenza, ma secondo mie valutazioni personali, troppo poco! Valutando tuttavia l’opera in termini più diffusi, come è anche giusto fare, non si può sottovalutare il suo valore strategico e riconoscere che essa risolve problemi di portata più ampia come i collegamenti sulla direttrice Parma- Brescia, l’intersezione con l’Autosole e l’Autocisa, oltre che con le altre vie di grande comunicazione dell’Alta Italia e questo in termini generali è giusto considerarlo. Da ultimo – prosegue - mi piace ricordare, affinché non se ne perda la memoria, la genesi del “Ponte Verdi”. La sentii raccontare personalmente dall’allora Presidente della Provincia Geom. Sensini che, in una riunione conviviale, riferì come fu che riprese corpo l’idea di un ponte nella nostra Bassa. Era in programma una visita a Parma dell’On. Lauricella, Ministro dei Lavori Pubblici. Generalmente in situazioni del genere le Amministrazioni pubbliche locali cercano di approfittarne per avanzare richieste per questioni urgenti e di interesse dei propri territori. Probabilmente nei cassetti dell’Amministrazione provinciale giaceva ancora la vecchia idea di un ponte sul Po e le circostanze potevano essere favorevoli per riesumarla. Fu quindi elaborato un progetto di massima che venne presentato al Ministro, il quale, fatti i debiti passaggi istituzionali, lo ritenne meritevole di accoglimento e assicurò un finanziamento di 800 milioni, che diventerà poi di un miliardo, finanziamento che non si poteva perdere! Deponevano a favore del progetto a) l’esigenza abbastanza evidente di collegare la bassa bresciana e cremonese con l’Autosole (il raccordo Fiorenzuola-Cremona sarebbe arrivato ben più tardi; b) il fatto che sull’intero corso del Po l’intervallo fra due ponti è mediamente di 15 – 20 Km, mentre da noi tra quello di Cremona e quello di Casalmaggiore era di 45 km. Con il nuovo ponte la distanza tra i due manufatti si sarebbe dimezzata, riportando l’intervallo medio pressoché uguale agli altri. Non v’è dubbio che quest’ultima ragione oggi ha un valore decisivo. Si pensi se per raggiungere Cremona si dovesse transitare ancora sul ponte di ferro o passare da Casalmaggiore verso la bassa lombarda, una follia. L’ubicazione sul fiume fu invece determinata non da scelte campanilistiche come avvenne per il ponte di barche, ma dal fatto che quello in cui giace il ponte è il punto dove il letto del fiume è più stretto. Il progetto originario prevedeva l’impalcato solo sull’alveo. E’ evidente che laddove l’impalcato fosse stato più breve, minori sarebbero stati i costi per la sua realizzazione. La strada per raggiungere il viadotto invece sarebbe stata realizzata a raso in tutta l’area golenale. Il rischio delle esondazioni fece però considerare l’opportunità di una sopraelevata, almeno nella parte di golena aperta. Questo comportò maggiori oneri e il reperimento di nuove risorse, che a sua volta comportò un ritardo nell’inizio dei lavori (la Provincia di Parma che era quella più esposta poiché il viadotto era tutto in golena parmense si indebitò a tal punto che per diversi anni non poté far fronte alle manutenzioni e agli interventi sulle strade della montagna con tutti i dissesti che ivi si manifestano). Il viadotto fu quindi realizzato, in sponda cremonese (dove non c’è golena), ancorandolo all’argine maestro e in sponda parmense ancorandolo all’argine di comprensorio, con una strada a raso in golena protetta per raggiungere l’argine maestro. Con i suoi 3663 metri è il ponte più lungo d’Italia. Costò quasi sei miliardi e comportò quattro anni di lavoro”.

Quarantaquattro anni dopo, aggiunge chi scrive queste righe, le condizioni del viadotto sono quelle che tutti conosciamo. Tra il 1976 (anno d’inizio lavori) e il 1980 gli interventi vennero terminati, con una spesa appunto di sei miliardi delle care, vecchie e “venerate” lire. Ci sono voluti più anni per sistemarlo, con spese altrettanto considerevoli. E non è finita. Perché, come annunciato ci saranno nuovi lavori di messa in sicurezza annunciati come imminenti e, solo per quelli, ci vorranno 20milioni non di lire, ma di euro (e chi vuole faccia pure la sue proporzioni) già finanziati dal Ministero. Per una storia che continua a essere scritta, in un’Italia molto diversa da allora.

Eremita del Po

 

Paolo Panni


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commenti


Pierpa

10 settembre 2024 11:37

Niente paura, ci penserà Salvini dopo il ponte di Messina, il ponte Olbia Civitavecchia, il ponte Ancona Dubrovnik e il ponte di Pasqua.

Pierpa

10 settembre 2024 14:46

Se fossero sufficienti annunci, chiacchiere e aria fritta questo ponte (?) avrebbe già una campata aggiuntiva tra Lisbona e New York.