In arrivo un nuovo film su Giuseppe Verdi in versione piacentina con la regia di Pupi Avati
Una di quelle storie o, meglio, leggende di paese vuole che in Piazza Verdi a Busseto il Maestro sia ritratto seduto perché, l’avessero raffigurato in piedi, se ne sarebbe andato. Chiaramente questo è ciò che dicono i vicini d’oltre Ongina, i piacentini, per sbeffeggiare i concittadini del Cigno, ricordando loro che Giuseppe Verdi davvero, a un certo momento della sua vita, se ne andò da Busseto e, varcato il torrente Ongina che anche allora segnava il confine fra la provincia di Parma e quella di Piacenza, si trasferì con la moglie Giuseppina Strepponi in quel di Sant’Agata, frazione di Villanova sull’Arda, terra piacentina. Ora, di fronte al perdurare dell’incertezza sulla sorte della villa che il Maestro fece costruire e che oggi rappresenta l’unico vero monumento verdiano, appare poca cosa la disputa, innescata diversi anni addietro dall’avvocato Corrado Sforza Fogliani con la pubblicazione del volume “Giuseppe Verdi, il grande gentleman del piacentino” scritto dalla studiosa americana Mary Jane Phillips-Matz. Ma, a riaccendere il fuoco sulla “piacentinità” del Cigno arrivano due “pezzi da 90” del cinema italiano: il produttore Giorgio Leopardi e il regista Pupi Avati. La notizia compare un poco in sordina a conclusione del “Festival del cinema in pellicola” che si è tenuto proprio in quel di Piacenza: Paolo Baldini (giornalista del Corriere della Sera) ha anche accennato al progetto di Giorgio Leopardi di produrre un docufilm su Giuseppe Verdi con la voce narrante di Francesco Pannofino. «Questa è una terra verdiana – ha osservato Pupi Avati – e avere qui un produttore come Giorgio che sta seguendo questo progetto è per voi una grande fortuna. Parte della sceneggiatura si ispira al magnifico testo di Marco Corradi “Verdi non è di Parma” (sostenuto dalla Banca di Piacenza e nato da un’idea di Corrado Sforza Fogliani, ndr). Non potevamo certo sottrarci e porteremo la nostra competenza in quella che considero una cartolina d’amore e di riconoscenza verso questo grande maestro della musica italiana. Mi auguro che Piacenza tutta adotti questo film».
Parole pesanti quelle del regista di “Lei mi parla ancora”, parole che davvero echeggiano i titoli dei film e degli sceneggiati dedicati negli anni al Maestro Verdi: dal primo film muto del 1913 di Giuseppe De Liguoro con Egisto Cecchi e Olga Fleuriel, al “Giuseppe Verdi” di Carmine Gallone, con Fosco Giachetti e Gaby Morlay uscito nel 1938; dall’omonimo “Giuseppe Verdi” diretto da Raffaello Matarazzo nel 1953, con Pierre Cressoy e Gaby Andrè, al cortometraggio del ’58 di e con Silvana Pampanini, al “Giuseppe Verdi” del 1982 per la regia di Renato Castellani con Giampiero Albertini ed Eva Christian, al film diretto e interpretato da Francesco Barilli nel 2000. E gli sceneggiati: il primo del 1963 di Manlio Cancogni, con Sergio Fantoni e Valeria Valeri e il vero e proprio “Kolossal” del 1982 di Renato Castellani, con Ronald Pickup e Carla Fracci con molte scene girate a Cremona e il Teatro Ponchielli trasformato nella Scala.
Dunque, sarebbe alle viste un nuovo film incentrato sul fatto che Verdi non sia di Parma, come afferma nel suo libro l’avvocato Corradi che, comunque, nell’elencare le cariche pubbliche del Maestro, consigliere provinciale di Piacenza e comunale a Villanova, “dimentica” l’elezione a deputato, nel primo parlamento italiano, per il collegio di Borgo San Donnino, oggi Fidenza: inequivocabilmente in provincia di Parma.
Querelle su Verdi piacentino o parmense a parte, forse un nuovo film – e un film assolutamente d’autore – sul Maestro potrebbe dare una bella spinta alla soluzione del problema “Villa Sant’Agata”, della quale si parla e si scrive sempre meno, come dell’ospedale “Verdi” di Villanova. Se si spengono i riflettori il rischio è che nell’indifferenza nessuno si accorga che le cose non vanno nel modo sperato. Ben venga, quindi, un film con tutto ciò che comporterà: riprese nei luoghi del Cigno, compresa la Villa, troupe che si muovono sul territorio (di qua o di là dall’Ongina importa poco), attori e attrici fra la gente, registi, produttori e sceneggiatori di nuovo nella terra di Verdi. Che anche questo sia un segno? Di lassù il “Mago” e la “Peppina” seguono di certo la cosa con attenzione e chissà che questo nuovo lungometraggio non riscuota il successo che ebbe, nel racconto “La banda”, la “Canzone del Po”. Ecco cosa scriveva Guareschi; «Incominciarono a venir su, da dietro l’argine, le note della “Canzone del Po”: mezzogiorno; l’assolato e immobile pomeriggio; la sera, la notte con la nostalgica serenata della luna. Il canto del gallo, l’alba, poi la sparata dell’allodola. C’era, dentro quel clarino che suonava ai piedi dell’argine, tutta l’animaccia del marchese (fondatore della banda ndr.), tutta l’animaccia del Falchetto (nuovo direttore e clarinettista ndr.), tutta l’animaccia di quella porca gente che vive là, in quella fetta di terra fra il monte e il fiume. E l’allodola saliva diritta nel cielo lasciandosi dietro una scia di note acute, come un sottile filo d’argento. E, arrivata all’ultima nota, si fermava facendola tintinnare. E allora, dal basso, la cornetta dava l’allarme, e trombe e tromboni partivano allo sbaraglio: e gagliardo, generoso, fremente, si levava l’inno trionfale del fiume. E pareva che, lì sull’argine, ci fosse a dirigere la banda Giuseppe Verdi di persona, con la faccia raggrinzita dalla solita smorfia malgarbata della gente che ha un cuore grande come questo piccolo mondo».
Nella foto lo sceneggiato "Giuseppe Verdi" girato anche a Cremona
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commenti
Mara,Rita D'Alessandro
18 ottobre 2023 09:31
Concordo
Sono innamorata persa di Verdi