John Hersey (americano) e Miodrag Pavlovic (serbo), due Nobel sfiorati raccontando Cremona
Omobono Stradivari era un liutaio. Omobono viveva a Cremona nel 1699, faceva violini, girava per piazza del Duomo, passava da San Domenico o da Sant'Agata per dire una piccola preghiera. Ogni tanto di fermava nella Locanda del Pescatore, proprio di fianco a Palazzo Comunale per mangiare un po' di mostarda cremonese e qualche spicchio di formaggio Grana. Era un liutaio sagace, usava il dialetto quando voleva far capire che le persone che incontrava gli andavano strette e lo apostrofava con tre semplici parole L'è en secàtur. Aveva un nome importante a Cremona perché si chiamava Omobono come il patrono della città e di cognome faceva Stradivari come l'altro cittadino cremonese, quello che si chiamava Antonio e che era un liutaio anche lui; ma Antonio era un bravo uomo, una specie di babbo, che tanti anni prima l'aveva aiutato a capire come fare buoni violini.
Omobono li conosceva tutti i liutai, c'erano i Ruggeri che ogni tanto incrociava in pieno centro, a bottega da loro c'era un certo Paolo Mandelli che ricadeva nella categoria di quelli descritti con le famose tre parole mentre quel ragazzino giovane, brillante e sveglio che era a bottega da Antonio aveva un nome anche più simpatico, almeno secondo Omobono, perché si chiamava Carlo Bergonzi. A casa Omobono aveva sua moglie, la Antonia, che lo aspettava; una brava persona l'Antonia, anche lei non si tirava indietro quando c'era da fare una battuta o quando parlava di un secàtur, per cui Omobono decide di costruire e dedicarle un violino, un violino particolare e unico che verrà chiamato “Antonietta”, un violino destinato a passare dalle mani dei grandi violinisti fino ad arrivare nel 1989 sull'isola di Martha's Vineyard, lembo di terra tra New York e Boston. Dentro quello strumento viene raccontata la storia della musica e della liuteria, una storia che spesso viaggia sugli stessi binari. Nel 1699, però, Omobono mica sapeva dove era New York ma sapeva che il suono di Antonietta avrebbe superato i secoli per diventare addirittura un'opera teatrale che parte da Cremona e si sposta, con dovizia di particolari, in mezzo mondo.
Sapeva fare violini Omobono così come sapeva che il suo nome arrivava da quel Omobono Tucenghi che aveva abitato in città tanti anni prima, Sant'Omobono viveva in una città maestosa, dove la bellezza dei mattoni rossi degli edifici e del cotto sui tetti lasciava senza fiato. San Omobono era uomo del Medioevo cremonese, un uomo buono e altruista, un uomo che girava per una città dove la forza e la dinamica di un fiume avevano dato origine a ricchezza e prestigio. Era una città densa di quei colori che il Medioevo sapeva offrire, quel rosso che si stagliava da lontano e quei riflessi del marmo che si alternava ai mattoni nelle piazze, quelle piazze nate anche grazie al commercio soprattutto lungo il fiume aveva creato una società nuova, diversa, capace di trasformare la città in un punto di riferimento per tutta Europa. Dentro quegli edifici e quelle chiese dotate di un portamento unico studiavano, leggevano e scrivevano persone eccezionali, persone che sapevano guardare avanti, persone che avevano capito l'importanza di trasmettere valori e messaggi. La città era divisa in quegli anni e i rapporti tra i cittadini si allontanavano, a volte in modo violento, per poi riconciliarsi quando bisognava fare un fronte comune verso problemi comuni. “L'Entrata a Cremona” era garantita da quelle quattro porte che lasciavano intravedere la bellezza del Medioevo cremonese e che chiarivano di come, negli anni di guerre e pestilenze, i cremonesi lavoravano lo stesso per sviluppare il bene comune, quello della città dove abitavano. John Hersey ha in testa l'elmetto da soldato statunitense, ha circa 30 anni ed è alla guida di una Jeep. Siamo nel 1945 e John, ad aprile, entra nella città di Cremona seguendo con i suoi commilitoni la liberazione del Nord Italia. Non combatteva John, era un corrispondente di guerra che a soli 5 anni aveva cominciato a suonare il violino e che nel 1945 fece di tutto per poter visitare la città della liuteria per eccellenza. L'aveva studiata e conosciuta attraverso i libri ma, nella città sul Po appena liberata, aveva imparato a capirla e ad ascoltarla, perfino nelle frasi dialettali. Divenne uno scrittore famoso John anzi, famosissimo, tanto che Ernest Hemingway correva in libreria a comprare i suoi lavori appena pubblicati. “Antonietta” è il suo ultimo lavoro prima della sua scomparsa nel 1993, un romanzo con l'impostazione di un'opera teatrale che parte da Piazza del Duomo nel 1699 e arriva sull'isola di Martha's Vineyard nel 1989.
Nel 1945 Hersey vincerà il premio Pulitzer con il suo articolo Hiroshima dedicato agli sconvolgenti effetti del bombardamento atomico sulla città giapponese.
Miodrag Pavlovic è scomparso nel 2014, è stato uno scrittore serbo ed è considerato come uno dei più influenti scrittori del XX secolo, ha vinto premi letterari in tutto il mondo ed ha vissuto le catastrofi della Seconda guerra Mondiale nella sua Novi Sad quando era un ragazzino.
Negli anni '80 una sua raccolta di poesie dal titolo “Entrata a Cremona” racconta le sue emozioni legate ai drammi legati alla guerra, la dedica alla città di Cremona arriva dal fatto che Miodrag, dopo la laurea in medicina a Belgrado, ha sempre raccontato il Medioevo europeo che aveva in Cremona il fulcro di decenni di storia, non solo architettonica, ma anche in materia letteraria. Cosa accomuna Hersey e Pavlovic?
Cremona sotto diversi aspetti ma, soprattutto, il fatto che entrambi non hanno vinto il premio Nobel per la letteratura per un soffio, John nel 1958 e Miodrag per ben due volte negli anni '90.
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