11 maggio 2024

L’uomo nell’era degli algoritmi. Appassionante intervento di padre Benanti su etica e IA

«La legge algoritmica ha bisogno di una forma di etica: l’algoretica, perché l’algoritmo non è conoscibile, universale e generale». Una considerazione alla quale padre Paolo Benanti è arrivato al termine del suo denso e lucido intervento, pensato per celebrare a Cremona la Giornata mondiale per le comunicazioni sociali, venerdì presso il Campus Santa Monica dell’Università Cattolica. 

Dov’è il sapiente? Intelligenze artificiali tra algoritmi e libertà era il titolo dell’appuntamento promosso dall’Ufficio comunicazioni della Diocesi di Cremona e dall’Università Cattolica con il mensile Riflessi Magazine, a conclusione del ciclo di conferenze che il Centro pastorale della Cattolica di Cremona, insieme al corso di laurea magistrale in Imprenditoria e innovazione digitale, hanno promosso per offrire un approfondimento sul tema delle Intelligenze Artificiali da più prospettive.

Gremito da una platea eterogenea che andava dagli studenti universitari, alle autorità civili, militari e religiose, ai rappresentanti del mondo della comunicazione e dell’imprenditoria, il chiostro ha tenuto il fiato sospeso per poco più di un’ora davanti a una riflessione sulle IA che ha spaziato da concetti di fisica, a quelli di matematica, filosofia ed etica. La serata, presentata dal coordinatore della redazione di Riflessi Magazine Filippo Gilardi, è stata introdotta da don Maurizio Compiani assistente del Campus per il quale «l’IA apre una nuova comprensione del mondo», della sua complessità «ridefinendo le concezioni di base della cultura occidentale» e portando gli uomini di oggi, come san Paolo davanti alla cultura ellenistica, a domandarsi: «Chi è il sapiente?».

Scegliendo un approccio etico, Benanti, uno dei massimi esperti di IA in Italia e nel mondo, è partito con una serie di esempi per dimostrare che «il software ha il potere di definire la realtà» perché la fruibilità degli oggetti è sempre più spesso decisa da chi li programma.

Partendo dagli anni Cinquanta con Claude Shannon e Norbert Wiener, i padri della cibernetica, il francescano ha indagato le radici storiche dell’interazione tra uomo e macchina tramite lo scambio di informazioni. Oggi «l’Intelligenza Artificiale è quel modo di programmare per cui l’uomo fornisce i fini e la macchina sceglie i mezzi per compierli». E questo pone un problema di libertà che già Wiener aveva intuito e che il filosofo tedesco Heidegger nel 1967 aveva teorizzato individuando due problematiche: «Se posso controllare la realtà, che cosa mi interessa capirla?» e «se si pongono uomo e macchina sullo stesso livello, chi controlla chi?».

La tecnologia nel frattempo è evoluta con la nascita del transistor e dei computer centralizzati. Il movimento Hippy del 1970, arrivato anche nella Silicon Valley, ha contribuito a «sgretolare il potere computazionale del computer e distribuirlo a tutti» facendo nascere così il personal computer. Solo nel 2010 arriva sul mercato lo smartphone che «è potenza computazionale che sta sempre con noi».

Di fatto il rapporto tra uomo e macchine intelligenti è evoluto anche grazie a eventi storici come la Primavera araba o la pandemia che ha «ingoiato alcuni processi fisici» trasformando le relazioni interpersonali, che per diversi mesi sono state più digitali che reali.

A questo punto del discorso si sono intrecciate le questioni dell’identità dell’uomo, delle sue emozioni e del rischio che la macchina possa influenzarne comportamenti e scelte. Sulla scorta di Jhon Rawls, Benanti nota come servirebbe una legge «conoscibile, universale e generale». Ma l’algoritmo non può essere nessuna di queste cose: «Non è conoscibile, non è universale perché profila e non è generale perché obbedisce solo al padrone del server». Dunque «la pseudo legge algoritmica – ha continuato Benanti –, perché non vada contro quello spazio pubblico che abbiamo conquistato con il sacrificio, ha bisogno di essere addomesticata, ha bisogno di quella forma di etica che noi chiamiamo algoretica». Tante dunque le domande aperte a cui l’uomo è chiamato rispondere.

E a proposito di domande sul palco, a fine intervento, sono saliti quattro giovani universitari che hanno interpellato Benanti su come l’IA influenzerà le discipline oggetto dei loro studi e le professioni future. Paradossalmente, secondo l’esperto, saranno più a rischio di sostituzione da parte delle macchine i lavori «relativi ai compiti cognitivi più alti», quelli meglio pagati e oggi svolti dalla classe media. Tante altre le suggestioni che hanno spaziato dalla creatività all’estetica per toccare il delicato tema della cura degli altri.

A suggellare la serata il breve saluto di Annamaria Fellegara, preside della facoltà di Economia e Giurisprudenza del Campus della Cattolica di Cremona, che ha definito l’intervento del francescano perfettamente in linea con «le lezioni americane di Calvino per la leggerezza, la rapidità e l’esattezza». La professoressa ha chiuso sottolineando «la complessità del fenomeno dell’IA che ci confronta con i nostri limiti e con il desiderio di non perdere la fiducia nelle nuove generazioni e per l’essere umano che continua ad appassionarci».

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