25 gennaio 2023

Liutprando da Cremona, il vescovo dimenticato che aveva affascinato il premio Nobel William Yeats

William Yeats era uno scrittore irlandese che, con pieno merito, vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1923. Tra le sue amicizie più care vi era anche Augusta Gregory, quella stessa Augusta che, il 14 aprile 1889, si sedette davanti alla Loggia dei Militi in piazza del Duomo e rappresentò quella piazza, compresa la signora con il carretto, con colori e pennelli. Yeats aveva una fissa per i grandi scrittori del passato, una fissa talmente sentita da divorare opere su opere e dedicare ad alcuni di loro alcune di quelle poesie che lo porteranno a vincere il premio Nobel. Il tavolo dei ricevimenti a Costantinopoli, nell'estate dell'anno 968 era rettangolare, a capotavola sedeva l'imperatore bizantino Niceforo Foca, militare e stratega di livello con tutta la sua corte seduta lungo la tavola mentre, in fondo, relegato quasi a ospite indesiderato, si era accomodato, con il titolo di vescovo di Cremona dal 961, Liutprando da Cremona. Liutprando da Cremona è praticamente nessuno all'interno di quella città che lo ha “incoronato” del cognome ma, come capita fin troppo spesso, il profilo di questa persona è qualcosa di sconvolgente. Liutprando da Cremona non era a Costantinopoli tanto per fare una gita fuori porta, era l'ambasciatore dell'imperatore Ottone I detto il Grande, re degli Italici e imperatore dei Romani: la sua missione consisteva nel cercare un accordo di collaborazione con i bizantini, verosimilmente tramite un matrimonio del figlio di Ottone con una principessa del Regno di Bisanzio. Ovviamente Liutprando era un ambasciatore con l'incarico di osservatore e spia il quale, realisticamente, doveva più che altro analizzare e descrivere la corte imperiale bizantina per far capire ad Ottone di quali potenzialità, in caso di attacco, disponesse l'esercito bizantino. Quella sera pioveva a dirotto e l'ambasciatore venne lasciato fuori da palazzo insieme a tutta la delegazione, quando gli venne permesso di entrare il resto dei suoi accompagnatori venne lasciato alla porta tanto per fargli capire, alla svelta, che Niceforo non aveva dubbi sulla natura dell'incarico del vescovo di Cremona. L'ambasciata a Costantinopoli del 968 fu un disastro per Liutprando il quale, nei quattro mesi circa passati alla corte dell'Imperatore dei bizantini, dovette subire angherie di tutti i tipi che lo costrinsero a fuggire dalla capitale. Ma il profilo di informatore non era il vero talento di quel cittadino cremonese acquisito, Liutprando era sagace ed un attento osservatore, tornato alla corte di Ottone non mancherà di scrivere un resoconto al vetriolo, le Lettere da Costantinopoli, sulla corte bizantina e sul suo imperatore. Niceforo viene descritto come basso, brutto, con un volto da “suino” e poco incline all'igiene, era forte di una volgarità repellente quasi come i piatti destinati ai commensali che erano farciti di aglio, olio e salse di pesce a dir poco disgustose. Il vino sapeva di pece e gli altri invitati, tutti in posizione più favorevole a tavola rispetto all'ambasciatore, erano fin peggio di Niceforo, persone di una volgarità unica i quali, secondo Liutprando, erano perfettamente a loro agio nel contesto di quella cena. Il resoconto dell'ambasciata cozzava con l'immagine della corte bizantina di allora, la quale veniva raccontata come fonte di grande cultura ed elegante sfarzo; ma l'esperienza di Liutprando, che si alzò e se ne andò durante l'incontro, descrive in maniera feroce una realtà ben diversa. Liutprando non era nuovo a “fughe” dalle corti imperiali, prima di approdare in Sassonia da Ottone era già stato a Bisanzio, nel 949, ospite dell'imperatore Costantino VII, su mandato di Berengario II, ai tempi re d'Italia. Probabilmente le portate e l'atteggiamento di Costantino si rivelarono ben più consone nei confronti di un ambasciatore, ma il carattere di Liutprando, chiuso e poco incline agli scherzi, gli creeranno non pochi problemi al suo ritorno in Italia da Berengario. I problemi dovevano essere veramente grossi perché dopo il suo ritorno Liutprando fu costretto alla fuga e a rifugiarsi sotto l'ala protettrice di Ottone il Grande. Sarà stata la sua capacità di analisi e di osservazione ma la penna del vescovo cremonese era tagliente più da qualsiasi lama e, durante il suo soggiorno in Sassonia, darà alla luce un resoconto, La Restituzione, dove racconta la sua esperienza alla corte di Berengario. In una sorta di “pan per focaccia” il racconto di Liutprando è da incorniciare, il re d'Italia viene descritto come feroce, sanguinario e misogino, poco incline a colloquiare e al confronto però, quasi peggio di lui, appare la moglie Vilma, una sorta di pessima figura reale che acutizzava il già basso profilo del Re che viveva nella sua capitale a Pavia. Yeats aveva letto le opere di Liutprando e lui, come molti altri grandi scrittori, era rimasto folgorato dalla incredibile capacità narrativa per un uomo vissuto nel X secolo. Liutprando da Cremona scrive come un romanziere provetto anche se descrive, in una sorta di biografia, la storia di un secolo di vicissitudini e piccolezze che risiedevano nelle corti dei vari imperi. Sagace, acuto e tremendamente realistico Liutprando da Cremona scruta l'ambiente europeo del X secolo e analizza i grandi uomini suoi contemporanei nelle loro piccolezze, sia mentali che umane. I suoi scritti fotografano un periodo di grandi cambiamenti, di lotte intestine e di tentativi di mediazione tra i vari potentati di allora, una fotografia a volte impietosa tanto da sembrare eccessiva. Negli archivi di tutto il mondo il nome di quel vescovo cremonese nato circa nel 920 compare in maniera prepotente, spesso ricordato o come ispiratore di grandi scrittori, tenuto in grande considerazione da autori di eccezionale profilo è stato, ma non solo lui, dimenticato a Cremona. 

Marco Bragazzi


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