21 giugno 2024

Monteverdi con la "Selva Morale e Spirituale" e le arti fiorenti di William Christie per una serata speciale e un grande pubblico in San Marcellino

Se un giorno dovesse capitarvi di fare un viaggio nella Loira di sicuro non dovreste farvi mancare una visita a Thiré, località in cui si trovano i Jardins du Bâtiment, meraviglioso luogo dell’anima che ha preso forma da un sogno di William Christie, clavicembalista, musicologo e direttore d’orchestra che si è esibito ieri sera a Cremona, nell’ambito della quarantunesima edizione del Monteverdi Festival, alla guida del suo prestigioso ensemble Les Arts Florissants. Di questo luogo incantato lo stesso Christie racconta: “questo giardino è un ‘pastiche’, porta il chiaro segno della mia personalità, e comprende una collezione di cose che secondo me stanno bene insieme, sono armoniche. In giardino, come con la musica, non si è mai soli”. E scorrendo le immagini delle volute eleganti delle siepi all’italiana, i volumi che alternano in una sublime armonia pieni e vuoti, le fughe prospettiche e le macchie di colore degli arbusti in fiore risulta chiarissima l’importanza e il legame inscindibile tra ciò che fiorisce, in natura come in musica, nell’orizzonte creativo di questo importante precursore delle esecuzioni ormai comunemente denominate “HIP”, locuzione che per i non addetti ai lavori sta per  “historical informated performance”, ovvero un modo di eseguire la musica attraverso il recupero della prassi esecutiva storica, fedele allo stile dell’epoca in cui il brano è stato composto. L'approccio filologico diventa così strumento d'interpretazione per qualsiasi musica intorno a cui esista materiale documentale, contestualizzandone la ragion d'essere e designandola quale testimone della cultura che l'ha generata. Negli ultimi decenni questa attitudine ha preso piede fino a divenire una vera e propria ‘fazione’ con cui chiunque si occupi di cose musicali deve fare i conti.

William Christie di questa corrente, come dicevamo, è stato un pioniere in tempi in cui la tendenza era ancora poco diffusa, e si erge oggi come una delle massime autorità a livello internazionale. Nel concerto di Cremona il numerosissimo pubblico accorso da ogni parte d’Italia e non solo ha avuto il piacere di ascoltare una selezione di brani tratti dalla Selva morale e spirituale, antologia di brani sacri e profani coronamento della lunga carriera di Claudio Monteverdi come maestro di cappella a S.Marco ed in altre chiese, scuole e oratori veneziani, intercalati con due sonate strumentali di compositori coevi, Dario Castello e Giovanni Battista Fontana, il Nigra Sum dal Vespro della Beata Vergine e il Laudate Dominum SV 197. 

I musicisti dell’ensemble francese hanno dominato la scena mettendo in evidenza un affiatamento eccezionale, uniti in un solo respiro come satelliti del loro sole che li plasmava dal centro della scena con misuratissimi cenni della mano mentre l’altra volteggiava sulla tastiera dell’organo positivo. 

Nei madrigali e nei brani corali è emersa la filigrana della grandiosa architettura musicale monteverdiana, dove nulla è di troppo e tutto è in funzione dell’invenzione musicale con l’intreccio delle voci che si insinuano l’una nell’altra e sembrano incontrarsi per poi allontanarsi in un movimento sinuoso, che affascina e appaga l’udito, per poi fondersi nella verticalità dell’omoritmia.

Nella varietà dei brani proposti è spiccata il soprano primo, LucÍa MartÍn – Cartón, che oltre a potenza e limpidità ha sfoggiato personalità, vivacità e un estro interpretativo di sicura presa.

Alto livello anche per il soprano secondo, Gwendoline Blondeel, a cui è stato affidato l’iconico Pianto della Madonna, contrafactum del Lamento di Arianna. Esecuzione corretta e rispettosa del dettato monteverdiano, ma che non è riuscita forse a toccare corde profonde, mantenendosi sulla linea della grande accuratezza: abbiamo avuto il “cantando” e un po’ meno il “recitar”…

Di contro i due tenori Bastien Rimondi e Cyril Auvity hanno eseguito un Salve Regina con accenti molto partecipati e terreni, a rappresentare una preghiera incarnatasi in una dimensione molto umana. E’ interessante porre l’accento sulla cura maniacale riservata da Christie e i suoi eccezionali musicisti alle mille sfaccettature che la prassi filologica richiede; in questo l’ensemble è un esempio di eccellenza e un modello di riferimento per chiunque voglia avvicinarsi a questo tipo di attitudine interpretativa. Ma sul versante della vocalità intesa nel senso stretto della pronuncia del testo, un pubblico italofono non può non rilevare uno smarcamento dell’interpretazione dal senso del testo: il contenuto della parola si tramuta in significante e come tale viene trattato ma in questa operazione viene sacrificato il significato. Nel testo latino delle composizioni sacre questo si declina in un ammorbidirsi eccessivo delle consonanti quando invece andrebbero pronunciate e scandite nel rispetto della dizione, e nei testi in italiano con raddoppi di consonanti a volte errati. Comprendiamo che la pronuncia corretta possa risultare difficoltosa per una compagine costituita da artisti internazionali, ma Monteverdi merita una amorevole cura dei suoi capolavori in tutti i suoi più reconditi dettagli.

Il basso Cyril Costanzo ha restituito un Laudate Dominum convincente, esibendo un timbro pastoso e con piacevoli e agili colorature. 

Menzione particolare per gli intermezzi strumentali in cui il quintetto degli archi con l’organo di Christie ha eseguito magistralmente due bellissime sonate di compositori italiani coevi a Monteverdi e poco noti ai più: la scrittura misteriosa e intricata di Dario Castello e quella più primigenia e semplificata di Giovanni Battista Fontana hanno acceso un faro sull’humus fertile su cui germoglierà e fiorirà in capo a qualche decennio, tra le calli veneziane, il genio di Vivaldi. 

Una serata speciale, in cui il pubblico, ammaliato, ha dimenticato i piccoli affanni quotidiani, le schermaglie elettorali, le ferie che tardano ad arrivare nell’afa opprimente che improvvisa ha attanagliato Cremona, per farsi rapire dagli arabeschi delle sublimi imitazioni del divin Claudio. Le arti fiorenti di William Christie hanno compiuto il miracolo, incorniciate dalla fioritura lignea delle maestose foglie di acanto del Bertesi. Nel giorno felice del riconoscimento della Fondazione Teatro Ponchielli come soggetto beneficiario per la salvaguardia del Canto Lirico Italiano un altro successo per il nostro teatro e la gestione felice di Andrea Cigni. 

Arrivederci allora a sabato, con il prossimo, attesissimo concerto: Federico Maria Sardelli e il suo gruppo Modo Antiquo.

fotoservizio Gianpaolo Guarneri (Fotostudio B12)

Angela Alessi


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