Nel segno di Bach e della sua magia musicale lo straordinario concerto al Ponchielli di Brunello (con il violoncello piccolo) e di Carmignola
Grande bouffe sotto il segno di Bach al teatro Ponchielli. In scena due solisti straordinari, che esprimono ai massimi livelli l’eccellenza della scuola d’archi veneta nelle sale da concerti mondiali: il violoncellista Mario Brunello e il violinista Giuliano Carmignola, in quest’occasione accompagnati egregiamente da I Solisti Aquilani.
La collaborazione tra i due artisti di fama internazionale nasce, oltre che da una grande e sincera amicizia, dalla comune curiosità e instancabile ricerca e sperimentazione musicale. Risale al 2020 il progetto discografico ‘Sonar in Ottava’, che per la prima volta ha esplorato le possibilità di dialogo tra il violino e il violoncello piccolo, e che si è sviluppato attraverso altre strade fino a prendere vita stasera per il pubblico cremonese.
Ma per comprendere appieno il senso di questo concerto è necessario aprire una parentesi e ripercorrere le tappe che hanno portato il maestro Brunello alla scelta di riscoprire uno strumento percepito ai nostri giorni come ‘inusuale’.
Così scrive il liutaio Filippo Fasser in una sua nota sulla genesi del violoncello piccolo: “in realtà nei secoli XVI e XVII la famiglia degli archi era assai più numerosa che adesso: ad uno sguardo appena più che superficiale, ci si accorge di come la storia non abbia mai una direzione lineare e simultanea.
Così, anche nella storia degli strumenti musicali, la nascita, le trasformazioni o la scomparsa di alcuni di essi, ha avuto tempi e modi non solamente lunghi e dilatati, ma anche differenti tra regione e regione, tra un compositore, un esecutore e un altro, tra un costruttore e un altro.
Il violoncello piccolo non fa differenza. Innanzi tutto questo nome, facile da utilizzare poiché indica una misura inferiore a quella che per qualche ragione consideriamo “giusta”, è generico e chiaramente non esaustivo.
Solamente la musicologia e lo studio della letteratura musicale rende possibile e facile agli esperti dedurre dal registro sonoro e dall’ accordatura dello strumento cui affidarono una determinata parte quanto sia esso piccolo.
Tra i compositori che scrivono indicando espressamente l’utilizzo di un violoncello piccolo a quattro o cinque corde, possiamo ricordare Bach, Charpentier, Sammartini, Boccherini; è però molto probabile che fino alla definizione di una misura più diffusa non si considerasse uno strumento piccolo o grande, ma fosse importante invece l’accordatura richiesta dal compositore all’esecutore. Quando si svilupparono gli strumenti della famiglia della viola da braccio, tra il XVI e il XVII secolo, non esisteva per ogni strumento una misura giusta. Non vi era una sola misura per il soprano, il contralto, il tenore, il basso, il baritono ecc.
Come ogni famiglia di strumenti musicali, anche il consort della viola da braccio nacque e si sviluppò in più taglie differenti tra loro anche di pochi centimetri.
Va tenuto anche in considerazione che le misure oggi convenzionali espresse in centimetri o pollici, variavano tra regione, stato, città o principato in maniera a volte anche molto differente, in trabucco, piede, braccio, canna, palmo, oncia, atomo, punto ed altri decimali.
Vi era molta più varietà di voci, timbri, colori e caratteristiche di suono differenti.
E’ plausibile ipotizzare che quando la storia della musica prese la direzione della grande musica, dei grandi organici, delle grandi voci, che dovevano necessariamente sovrastare il suono del consort o dell’orchestra che accompagnava, all’interno di grandi sale da concerto, si iniziò a trascurare e in qualche modo a perdere tutta quella gamma di voci, di sottili differenze, che avevano caratterizzato invece la realtà musicale precedente.
Il magnifico strumento a 5 corde, con etichetta Antonio & Girolamo Amati realizzato tra il 1600 e il 1610 (707mm di lunghezza della cassa), è un esempio straordinario di quella maggior libertà che artisti, compositori, musicisti ed artigiani avevano per ricercare ed esprimere le infinite possibilità del suono”.
Mario Brunello si è dunque affidato alle mani sapienti del maestro liutaio bresciano Fasser per far rivivere questo affascinante strumento: insieme hanno sperimentato, con strumenti di misura ridotta e qualche anno di esperienze con differenti misure e corde, fino a realizzare il violoncello che avete sentito stasera: uno strumento che fosse principalmente facile da suonare, cioè avesse caratteristiche di dimensione, larghezza del manico e della tastiera e lunghezza della corda, che permettessero di suonare agevolmente ma soprattutto di passare con facilità da uno strumento di taglia maggiore a questo più piccolo.
Per un violoncellista, suonare questo strumento è – come dice Brunello – “come vestire un abito magico che ti permette di fare cose che non avresti mai immaginato di poter fare”.
E di magia si è trattato anche stasera, per un concerto all’insegna di un messaggio universale: la più profonda essenza dell’essere umano sta nell’abbattere gli steccati. Carmignola e Brunello ci hanno dimostrato che non esiste un solo Bach e non esiste un solo modo di suonarlo: le famiglie di strumenti e le famiglie di compositori si possono mescolare regalando emozioni travolgenti. Il punto non è distinguere tra le composizioni nate in originale per gli strumenti ascoltati o quelle trascritte, tra le esecuzioni rigorosamente filologiche e quelle rivisitate con prassi esecutiva moderna: la chiave di volta e l’insegnamento che può suggerirci l’esperienza vissuta attraverso il concerto di stasera è che la vera Arte vive di contaminazioni e vola alto sulle piccinerie delle umane vanità.
Il numeroso pubblico presente (peccato alcuni posti vuoti, in un’occasione imperdibile come questa) ha goduto dei serrati contrappunti (una sorta di ebbrezza speculativa, non dissimile da quella che si attua nell’animo di un matematico che indaghi l’altissima perfezione del numero) e dell’invenzione tematica del sommo Maestro ma non solo. Mario Brunello ha deciso di espandere la pratica strumentale al violoncello piccolo per poter attingere a nuova linfa musicale che potesse saziare la fame continua del musicista per le geometrie del genio di Eisenach.
Il programma proposto ci ha condotto per mano attraverso un excursus storico che ha acceso un faro anche sul Bach ‘collaterale’: prima, durante, e dopo Bach. In apertura le geometrie di Johann Bernhard Bach (cugino secondo coevo del Nostro Johann Sebastian) hanno messo in evidenza la compattezza e maestria de I solisti Aquilani: pregevole unità di intenti per quest’orchestra, che esiste dal 1968 e ha visto avvicendarsi tra le sue file numerosissimi valenti musicisti. A seguire il Concerto in la maggiore per violoncello piccolo, archi e basso continuo di Carl Philipp Emanuel, che ci ha introdotto alle raffinatezze dell’empfindsamer Stil. Brunello ha condotto i suoi sodali con gesti minimi e precisi, incantando da subito con il suono androgino e a tratti quasi scabro del suo strumento e la padronanza assoluta dell’interpretazione, quasi fermando il tempo nel Largo mesto, drappeggiando i suoi arabeschi sonori sugli unisoni perfetti dei violini, sempre con un mezzo sorriso leonardesco aleggiante sul volto, segno evidente del piacere del Maestro nel suonare il suo Bach.
Il primo tempo si è concluso con un’inversione rispetto al programma di sala: è stato eseguito infatti il Concerto in do minore per due clavicembali, previsto inizialmente a chiusura del concerto.
Carmignola ha dialogato con Brunello in un gioco di parti serrato ma mai scontato: i due miti del concertismo italiano hanno riposto l’ego che spesso inganna con le sue sirene per scambiarsi fraseggi e imitazioni in un tempo condiviso, a volte fondendosi con l’orchestra, altre emergendo con le eleganti volute degli ornamenti retorici bachiani.
Ancora Bach figlio e padre nel secondo tempo, con il Concerto in re minore di Carl Philipp Emanuel proposto nella trascrizione per violino solo di Olivier Fourés.
Di Giuliano Carmignola ogni cosa appare superflua da scrivere: la sua stella brilla luminosa nel firmamento dei grandi della musica. Il Maestro ha rapito il pubblico con la sua tecnica d’arco eccezionale, ma soprattutto per il temperamento e il brio trascinante, con l’energia generosa di un ventenne. Un turbinio di note sempre saldamente controllato dal nobile e severo impeto del violinista trevigiano.
Chiusura in bellezza con uno dei monumenti del Bach strumentale: il Concerto in re minore per due violini BWV 1043. in questo capolavoro il dettato musicale permeato, nell’apparente linearità di pensiero, di splendide figurazioni talora ossessivamente ostinate, di accattivanti mutazioni armoniche, di dettagli ritmici dalle pulsazioni vibranti, ha dato una summa dell’astrazione sublime che piega ogni resistenza, nel tempo e nello spazio sonoro. Carmignola, Brunello e I solisti Aquilani ci hanno restituito tutto questo con polso sicuro, guidandoci nei meandri del contrappunto bachiano dai “pianissimo” quasi impercettibili e la struggente dolcezza del Largo ma non tanto, fino ai travolgenti “fortissimo” dell’Allegro conclusivo.
Gli applausi entusiastici e reiterati del pubblico hanno strappato un bis di rara bellezza: ancora una trascrizione per l’aria “Erbarme Dich” da La Passione secondo Matteo.
Serata memorabile, per una stagione concertistica che è iniziata bene e promette di regalare altri appuntamenti di altissimo livello.
Fotoservizio Gianpaolo Guarneri (FotoStudio B12)
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