Quando a vincere è la famiglia: intervista a Daniele Gibboni
Barcellona Pozzo di Gotto, piccolo centro in provincia di Messina, 2014.
Nella sala in cui si esibiscono i partecipanti al concorso musicale nazionale “Placido Mandanici” risuonano le note della Zigeunerweisen di Pablo de Sarasate; Antonio, docente di violino che si trova lì per accompagnare i suoi alunni, tende l’orecchio, ascolta, rimane folgorato dalla straordinaria bravura del ragazzino tredicenne che sta suonando. Si avvicina al signore che sta assistendo come lui alla prova e gli bisbiglia all’orecchio: “questo ragazzo vincerà il Paganini!”.
Genova, 2021. Giuseppe Gibboni vince il Premio Paganini, riportando il trofeo in Italia dopo 24 anni. Antonio aveva visto giusto, e il signore a cui aveva sussurrato quella frase deve dargliene atto: era il papà Daniele, instancabile sostenitore e ispiratore della carriera del figlio. Il destino si è compiuto.
Venerdì 5 Aprile il pubblico cremonese avrà la fortuna di assistere dal vivo al concerto di beneficenza del duo composto da Giuseppe Gibboni, violino e Carlotta Dalia, chitarra, ormai star acclamate dalle platee internazionali, ma cosa si nasconde dietro questa bellissima storia che è motivo di orgoglio per la nazione italiana?
Lo abbiamo chiesto in un’intervista esclusiva al maestro Daniele Gibboni, violinista, padre, e primo insegnante del giovane Giuseppe.
Come muove i primi passi Giuseppe nel mondo delle sette note?
"La nostra è una famiglia di musicisti, abbiamo origini umili, non abbiamo mai avuto grandi mezzi economici, mia moglie Gerardina è pianista, io stesso sono violinista e pianista; prima di avere Giuseppe abbiamo avuto due gemelle, Annastella e Donatella, e poi è arrivato Giuseppe. Ho insegnato io a suonare ai miei figli. Per Giuseppe avevo pensato al violoncello, per diversificare, e lui, da bravo bambino, aveva rispettato la mia scelta. Ma continuava a dirmi: “da grande però voglio suonare il violino come te!” Ho capito che era più giusto rispettare la sua passione e da lì è cominciato tutto."
Come ha gestito la formazione musicale di suo figlio?
"Io e mia moglie abbiamo sacrificato tutto per dare ai nostri figli la possibilità di studiare e avere le migliori opportunità di perfezionarsi nelle più prestigiose accademie italiane. Sempre però tenendo al centro l’importanza della famiglia. La loro scuola di vita è stata la lunga pratica del suonare insieme nel nostro gruppo, la Famiglia Gibboni, con cui abbiamo fatto le esperienze più disparate. Abbiamo partecipato all’ “Italia’s got Talent”, abbiamo fatto innumerevoli concerti, ma sempre tenendo d’occhio il benessere dei ragazzi; se solo ci fossimo accorti che per loro non era un piacere suonare non avremmo esitato a farli smettere!
Il modello a cui ci ispiravamo era la falange macedone: avevo un bracciale di cuoio che mi ero fatto fare da un ciabattino e di cui stringevamo i legacci tutti assieme intorno al mio polso prima dei concerti. Quel rito ci accompagnava e rappresentava quello noi siamo anche adesso: una famiglia unita che si sostiene e si dà forza e in cui tutti i componenti diventano un unico corpo. Il nostro motto: “vis cordis et animi in immensum”."
Parlando con lei è evidente che il successo di Giuseppe è frutto di un lavoro di squadra formidabile ma che non è fatto solo di studio intensissimo e guidato da un uomo di grande cuore come lei ma anche di profondi principî morali: quali sono stati gli insegnamenti etici che ha cercato di trasmettere a suo figlio, al di là degli aspetti tecnici del suonare uno strumento?
"Credo che il tratto del carattere più particolare che contraddistingue mio figlio sia la dolcezza. Le racconto una cosa: quando andavamo in giro a fare concorsi mi raccomandavo sempre perché Giuseppe si riscaldasse le mani prima dell’esecuzione, ma lui non voleva. Alla fine, dopo molte insistenze, capii quale fosse il problema: non voleva farsi sentire dagli altri concorrenti perché questo li avrebbe fatti demoralizzare e a lui questo dispiaceva. Risolvemmo il ‘problema’ andando a fare gli esercizi di riscaldamento nei bagni, così nessuno lo avrebbe sentito."
Cosa può raccontarci dell’esperienza del Premio Paganini?
"Le dico quello che diciamo sempre con Giuseppe: il vero premio Paganini mio figlio lo ha vinto tre anni prima del 2021, quando fu escluso dalla rosa dei finalisti. “Roma vince quando perde!” "
E a questo punto Daniele Gibboni snocciola con sicurezza un elenco di battaglie perse dagli imperatori romani e le successive vittorie: l’esempio che ha dato al figlio è evidente: “né vincere né perdere ma solo combattere”. E continua:
"Durante il viaggio di ritorno in treno dopo l’esclusione dal Paganini preparammo il piano d’attacco per il futuro: carta e penna alla mano, mettemmo per iscritto il programma di studio giornaliero per prepararci alla prossima selezione."
Maestro Gibboni, un’ultima domanda: i risultati eccezionali della sua educazione musicale sono sotto gli occhi di tutti, non solo per la brillante carriera di Giuseppe, ma anche per i successi violinistici di Annastella e Donatella. Cosa pensa delle tendenze della didattica musicale e strumentale che vogliono indirizzare l’apprendimento musicale verso la pratica ludica, l’imparare giocando e semplificando le difficoltà per avvicinare più facilmente i bambini a uno strumento complesso come il violino?
"Il divertimento nello studio non esiste, esiste l’impegno e le ore passate a fare tecnica! I bambini hanno una forza e una capacità di studio insospettabili, e non si deve semplificare l’apprendimento per invogliare i futuri musicisti. I miei figli hanno studiato ore e ore insieme a me, seguìti passo dopo passo, e sempre con un senso di infinito davanti a loro. Hanno avuto modo di sperimentare dalla più tenera età le difficoltà del violino ma sempre con naturalezza e con la consapevolezza che la musica è un dono di Dio."
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