6 febbraio 2023

Sessant'anni fa moriva a trent'anni Piero Manzoni, da Soncino in Europa maestro dell'avanguardia, spregiudicato e provocatore

Il 7 febbraio 1963, sessant’anni fa, un trafiletto del quotidiano milanese «Corriere d'Informazione» annuncia: «Un giovane pittore, Piero Manzoni, di trent'anni, è morto per paralisi cardiaca nel suo studio al pianterreno di via Fiori Chiari 16. Il giovane pittore è stato colto da malore, mentre era solo. Ha tentato forse di chiamare aiuto, ma non è riuscito a farsi sentire. Dopo sei ore è stato trovato morto dalla madre e dalla fidanzata che, dopo avergli telefonato, spaventate del lungo silenzio, sono accorse in via Fiori Chiari. Aperta la porta, hanno trovato Piero Manzoni ormai cadavere. Un medico ha fatto risalire la morte del giovane pittore a circa sei ore prima e l'ha attribuita a paralisi cardiaca. Il giovane soffriva da tempo di una forma cardiaca. Piero Manzoni era noto tra i pittori d’avanguardia». Piero Manzoni nasce a Soncino il 13 luglio 1933.

Il padre, il conte Egisto Manzoni di Chiosca e Poggiolo, si situano altrove, discende da una stirpe nobiliare della Val Brembana documentata dal ‘500 e radicatasi a Lugo di Romagna. La madre dell’artista, Valeria Meroni, nasce nel 1907 a Soncino dalla famiglia titolare della storica Filanda Meroni, il maggiore tra i cinque setifici attivi nel borgo all’inizio del ‘900. A Milano la famiglia vive prima in via Saffi e, dal 1938, in via Cernaia 4, a un passo da via Brera, la casa in cui Manzoni trascorrerà tutti i suoi anni e la madre Valeria vivrà sino ai suoi ultimi giorni, nel 1994. 

Frequenta sia le scuole medie sia il liceo classico all’istituto cattolico Leone XIII, si appassiona alla fantascienza e alla narrativa poliziesca, ascolta musica classica e jazz, e dal 1950 prende lezioni private di pittura da cui apprende i primi rudimenti tecnici: avrà, in seguito, anche un brevissimo passaggio alla scuola libera del nudo dell’Accademia di Brera.

Nel 1951, dopo la maturità, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica milanese. Nel 1953 inizia a dedicarsi più stabilmente alla pittura, suggestionato soprattutto dall’ambiente ligure dominato dalle fornaci ceramiche che attraggono molti artisti, Lucio Fontana in testa. Nel 1955 Manzoni si trasferisce a Roma, dove si iscrive al corso di laurea in Filosofia, e a fine anno passa all’Università degli Studi di Milano. Inizia a frequentare stabilmente gli studi di Roberto Crippa e di Gianni Dova, legati al Movimento spaziale, promosso dal gallerista Carlo Cardazzo e raccolto intorno a Fontana e stringe amicizia con i giovani Ettore Sordini e Angelo Verga. Con Sordini e Verga debutta l’11 agosto 1956 alla “4ª Fiera di Soncino” alla rocca sfornisca, una sezione della quale è la “4ª Fiera Mercato. Mostra d’Arte Contemporanea”. Ne riferisce il giornale “La Provincia” in un articolo del 24 agosto: “Con spregiudicatezza giovanile, il Manzoni, seguace di un personalissimo stile surrealista ha iniziato un nuovo modo pittorico, dipingendo con chiavi intinte nel colore. Ne sono uscite due opere, Papillon fox e Domani chi sa permeate di strane tonalità, che hanno costituito un autentico fascino di richiamo per tutti i visitatori”. Dopo la partecipazione a due collettive milanesi, Il 29 maggio si inaugura alla galleria Pater di Milano la mostra “Manzoni, Sordini, Verga”, con un breve ma autorevole testo introduttivo di Fontana: “Seguo da tempo l’attività, le ricerche, l’inquietudine di questi tre giovani artisti, ed anzi alcuni loro lavori fanno parte della mia piccola collezione d’arte moderna. Sono convinto che le loro recenti opere abbiano una parte importante nel campo della giovane pittura, perciò è con tutta stima ed entusiasmo che mi sento di appadrinare questa loro mostra”.

L’anno successivo si impegna nella redazione di manifesti teorici con Sordini e Verga, in cui piega che “La difficoltà sta nel liberarsi dai fatti estranei, dai gesti inutili; fatti e gesti che inquinano l’arte consueta dei nostri giorni, e che talora anzi vengono evidenziati a tal punto da diventare insegna di modi artistici”: si deve giungere a “Immagini che sono le immagini prime, i nostri totem, nostri e degli autori e degli spettatori, poiché sono le variazioni storicamente determinate dei mitologemi primordiali (mitologia individuale e mitologia universale si identificano)”. Il 23 ottobre 1957 inaugura la piccola personale nel foyer del Teatro alle Maschere e il 3 dicembre alla Galleria del Corriere della Provincia di Como, che coincidono di fatto con l’esaurirsi della sua esperienza nell’orbita nucleare e le prime sperimentazioni acrome, avviate negli ultimi mesi dell’anno. La mostra “Fontana Baj Manzoni” si inaugura il 4 gennaio 1958 alla Galleria Bergamo di Bergamo, e passa il 23 marzo alla Galleria del Circolo di Cultura di Bologna. Il testo introduttivo è di Luciano Anceschi, grande studioso di estetica e fondatore due anni prima della rivista d’avanguardia “Il Verri”.

Nella prima edizione della mostra Manzoni espone, si legge nei testi di Anceschi, “superfici caotiche con un colore che simula la lacca o gli smalti, nitidi incubi dell’inconscio, tenaglie oscure di presenze fantastiche e repugnanti, non senza una memoria surrealista e come una gnomica di sogno”, nella seconda invece “tenta allibite superfici di bianco assoluto, affidate alla sensibilità nel trattare la materia e rotte da rilievi plastici e dalle loro ombre”, presentando per la prima volta le nuove opere.

Opere acrome in gesso sono protagoniste anche della personale che si apre il 22 aprile alla Galleria Pater: due di esse vengono acquistate da Antonio Boschi, che in seguito donerà la propria collezione alle Civiche Raccolte d’Arte milanesi.

Mentre l’8 settembre 1959 una nuova edizione di “Bonalumi Castellani Manzoni” è presentata alla Galerie Kasper di Losanna, che edita anche la rivista “Art actuel international”, il 3 settembre viene dato l’annuncio ufficiale della nascita a Milano della rivista “Azimuth”, a cura Manzoni e Castellani, con indirizzo quello di casa Manzoni in via Cernaia 4, stampata nella tipografia di Antonio Maschera in via Palermo 14, la stessa che ha realizzato molta della sua pubblicistica iniziale e presso la quale compie i propri esperimenti con le carte. Fonda con Castellani la galleria Azimut, posta in un seminterrato di via Clerici 12, uno spazio autogestito che si apre il 4 dicembre con la personale di Manzoni “Le Linee”, introdotta da Vincenzo Agnetti.

A fine anno inizia a realizzare anche i Corpi d’aria, palloncini da gonfiare e collocare come una scultura su un treppiede fornito nella stessa confezione concepita da Manzoni. Sulle Linee e sui Corpi d’aria vengono girati da Gian Paolo Maccentelli due ironici documentari per il Filmgiornale SEDI. Il 4 gennaio 1960 alla galleria Azimut si inaugura la mostra collettiva “La nuova concezione artistica”, seguita di lì a poco, il 18 marzo, dalla vasta mostra “Monochrome Malerei” allo Städtisches Museum di Leverkusen, in cui ovviamente espongono anche Manzoni e Castellani. Complessivamente Manzoni espone da Azimut, oltre che in mostre collettive (22 dicembre 1959, 4 gennaio e 25 maggio 1960), in tre mostre personali.

Dopo le Linee, il 3 maggio presenta i Corpi d’aria (introducendo la variante di Fiato d’artista, ove i palloncini sono gonfiati dall’autore stesso) e il 21 luglio “Consumazione dell’arte Dinamica del pubblico Divorare l’arte”, in cui il pubblico consuma uova sode sul cui guscio è impressa la sua impronta digitale (anche di questa azione il Filmgiornale SEDI realizza una versione filmata): è l’ultima iniziativa della vita breve di Azimut. Manzoni pubblica un nuovo testo teorico, il primo dopo quasi due anni, che ha per titolo Libera dimensione, e sostiene tra l’altro: “La questione per me è dare una superficie integralmente bianca (anzi integralmente incolore, neutra) al di fuori di ogni fenomeno pittorico, di ogni intervento estraneo al valore di superficie; un bianco che non è un paesaggio polare, una materia evocatrice o una bella materia, una sensazione o un simbolo o altro ancora; una superficie bianca che è una superficie bianca e basta (una superficie incolore che è una superficie incolore) anzi, meglio ancora, che è e basta: essere (e essere totale è puro divenire). Questa superficie indefinita (unicamente viva), se nella contingenza materiale dell’opera non può essere infinita, è però senz’altro indefinibile, ripetibile all’infinito, senza soluzione di continuità; e ciò appare ancora più chiaramente nelle ‘linee’; qui non esiste più nemmeno il possibile equivoco del quadro; la linea si sviluppa solo in lunghezza, corre all’infinito; l’unica dimensione è il tempo”. È in questa occasione che viene impiegata la dizione, che sarà poi stabile, di Achrome.

Ancora una volta è nel Nord Europa che l’impatto del suo lavoro è massimo. Il 10 giugno egli inaugura la personale “Luftskulptur Billeder 9 Linier”, alla Galerie Køpcke di Copenaghen (Arthur Køpcke è in quel tempo uno dei sostenitori più convinti delle esperienze del Nouveau Réalisme e poi di Fluxus), con sei Achromes in caolino o cuciti a macchina, nove Linee, quattro Corpi d’aria e, per la prima volta, un cesto con uova sode “consacrate” - così scrive Manzoni - dalla sua impronta digitale: una variante saranno le Uova scultura, da non mangiare, conservate in una confezione in legno. Alla mostra da Køpcke entra in contatto con Aage Damgaard, industriale illuminato e mecenate appassionato titolare a Herning, giusto nel mezzo dello Jutland, della fabbrica di camicie Angli: questi gli mette a disposizione spazi, mezzi tecnici e personale per sperimentare liberamente. Manzoni saggia numerose esperienze diverse, tra le quali spiccano Achromes in cotone idrofilo trattati con cloruro di cobalto che cambia colore con il mutare delle condizioni atmosferiche, serie di uova imprigionate in una colata di resina, Corpo di luce assoluto, corpi sferici che ruotano su se stessi grazie a un getto d’aria, e Scultura nello spazio, palloni sorretti da getti di aria compressa.

Il 4 luglio, nella tipografia del quotidiano “Herning Avis”, Manzoni realizza la Linea lunga 7200 metri utilizzando un rullo continuo di carta da stampa (di 202 kg, specifica l’autore), poi sigillata in un contenitore cilindrico di zinco e piombo. Secondo le sue intenzioni è la prima di una serie di Linee da seppellire nelle città più importanti del mondo, la cui somma complessiva deve pareggiare la lunghezza della circonferenza terrestre.

Il 13 gennaio 1961 organizza con Maccentelli una nuova azione, le Opere vive o Sculture viventi, in cui firma il basamento e il corpo di modelle in carne e ossa che vi posano come sculture. Omogenea a questa idea è quella di Base magica, un supporto collocandosi sul quale chiunque può essere considerato una scultura di Manzoni.

A corollario l’artista emette i Certificati d’autenticità, veri blocchetti per ricevute in cui l’autore certifica che il ricettore “è stato firmato dalla mia mano e pertanto è considerato a partire dalla data sottoindicata un’opera d’arte autentica e vera”. Un sistema di bolli adesivi opportunamente fustellati da applicare alle certificazioni, di colori diversi e recanti la scritta “Piero Manzoni” in continuo, consente all’artista di amministrare una scala di gradi diversi di autenticità. Proprio in maggio realizza Merda d’artista, in novanta esemplari, scatoletta per conserve del diametro di sei centimetri, sigillata, sui cui è apposta un’etichetta a stampa in cui si legge, in italiano, inglese, francese e tedesco, la scritta “Merda d’artista. Contenuto netto gr 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961”, il cui prezzo è fissato in trenta grammi d’oro. L’opera viene presentata al pubblico solo dopo alcune mostre fondamentali. La prima esposizione di Merda d’artista è, il 12 agosto, alla collettiva “In villeggiatura da Pescetto” ad Albisola, la seconda in una personale milanese, in settembre, nella galleria di Luca Scacchi Gracco. La personale “Kunstnerlort Levende Kunstværk” da Køpcke a Copenaghen presenta il 18 ottobre Merda d’artista e Sculture viventi.

Da Copenaghen Manzoni passa nuovamente a Herning, dove realizza il celebre Socle du monde, una base in metallo, con il titolo dell’opera rovesciato, sulla quale è poggiato l’intero globo terrestre designato come opera d’arte. Sperimenta inoltre Achromes in fibra artificiale e realizza una scultura sferica con pelo bianco di coniglio e un parallelepipedo di paglia e caolino poggianti su basi in legno bruciato. Negli Achromes del 1962 la cellula visiva iterativa è costituita da veri e propri panini, le “michette” milanesi per l’esattezza. In altri utilizza ciottoli, oppure pallini di polistirolo espanso. Sempre, il bianco cala su tutto a uniformare, a desensibilizzare, a rendere tutto superficie presentissima ma straniata. Altri ancora sono pacchi in carta da giornale o da imballaggio sigillati con corda, piombo e ceralacca, come se fossero invii postali, presentati a coppie. Nel 1963 è presente alla “Mostra monocroma”, Galleria Il Fiore, Firenze, 16 gennaio, e il 25 dello stesso mese tiene una personale alla Galerie Smith di Bruxelles, in cui presenta per la prima volta gli Achromes con panini applicati al supporto. Sono le sue ultime mostre. Il 6 febbraio Piero Manzoni muore d’infarto nel suo studio di via Fiori Chiari 16 a Milano.

 

Fabrizio Loffi


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