Settantacinque anni fa le infuocate elezioni del 18 aprile 1948. Una campagna elettorale senza esclusione di colpi, protagonisti don Mazzolari e Miglioli
Settantacinque anni fa l’Italia sceglieva, sostanzialmente per sempre, quale sarebbe stato il suo futuro. La Democrazia Cristiana, che nel resto del paese aveva ottenuto un risultato schiacciante, sotto il Torrazzo vinse per una manciata di schede. Ma le elezioni di quell’infuocato 18 aprile 1948 contribuirono soprattutto in modo determinante a disegnare quello scacchiere politico che sostanzialmente non si è più modificato fino ai nostri giorni. Nella nostra provincia veniva confermata l’esistenza di due zone ben distinte, socialmente e politicamente fin dall’inizio del Novecento: un cremasco "bianco", cattolico e democristiano, ed una bassa "rossa", socialista e comunista. Alla DC andarono 115.391 voti, al Fronte Popolare 100.096. In città la Dc vinse per 323 voti (20.509 contro 20.186). Per quanto riguarda il collegio senatoriale il candidato frontista Ferragli vinse con 52.662 voti a fronte dei 46.437 di Zelioli. Diversa la musica per il collegio di Crema dove il democristiano Zelioli stravinse con 50.341 voti, distanziando il frontista Bernamonti, che di voti ne ottenne 34.464. Nel collegio Cremona-Mantova si assistette invece all’affermazione del Fronte Popolare con 233 mila voti, tallonato dalla Dc con 217 mila. Tuttavia mentre la Dc ebbe un’impennata di quasi 80 mila voti, socialisti e comunisti ne persero quasi trentamila.La storia politica della provincia ha poi vissuto di scossoni e ribaltoni in analogia a quella italiana, ma tuttavia, pur cambiando i partiti, i colori e le persone, la divisione territoriale è sempre rimasta. Nulla di paragonabile, invece, alla campagna elettorale. La vigilia delle consultazione elettorali di 75 anni fa fu turbata da gravi episodi di intolleranza che, nel clima infuocato di quei giorni, non di rado venivano strumentalizzati ai fini di propaganda elettorale.
Le prime avvisaglie di quello che sarebbe diventato uno scontro senza esclusione di colpi si erano già avute il 9 marzo, in occasione della firma della tregua elettorale da parte del comitato provinciale. Il parroco di Sant’Imerio don Andrea Cugini fu interrotto da alcune donne mentre dal pulpito proclamava che, mentre i sacerdoti coscienziosamente precisano il bene, i loro diretti avversari svolgono un’intensa propaganda di odio. Un episodio analogo avvenne nella chiesa dei "Mortini" in via Rialto, dove il parroco di San Sebastiano, finita la cerimonia, rivolse n monito sul rispetto dei valori cristiani ad alcune donne che lo avevano pregato di celebrare la messa. Ma queste, insensibili ai richiami evangelici del sacerdote, lo circondarono minacciosamente. Il povero prete, d’altronde, non aveva fatto altro che ottemperare alle indicazioni di Pio XII che, pur professando la neutralità della Chiesa, aveva raccomandato ai cattolici di votare secondo coscienza, cioè in buona stanza per quei candidati che offrivano sufficienti garanzie "per la tutela dei diritti di Dio e delle anime, per il vero bene dei singoli". L’arcivescovo Giovanni Cazzani, dal canto suo, era stato molto più esplicito facendo appendere alle porte delle chiese una notifica in cui si affermava che chi aderiva alla dottrina marxista era ateo e materialista e, se battezzato, era ora diventato apostata ed escluso dai sacramenti. Alla stessa stregua era escluso dai sacramenti chi, in vista delle future elezioni, avesse votato per partiti che non ammettessero l’indissolubilità del matrimonio, l’insegnamento della religione nelle scuole e l’educazione cristiana. I capi di tali partiti erano considerati come nemici della fede ed a loro era riservato lo stesso trattamento. La decisa azione del prelato era la logica risposta all’incursione di attivisti frontisti che, inaspettatamente, avevano deposto manifesti di propaganda sugli altari delle chiese cittadine. A questo proposito, notava la "Provincia del Po" «Se il fronte social-comunista non vuole che i sacerdoti si occupino di politica, è altrettanto giusto che la politica organizzata e inquadrata non entri nelle chiese». Non è che le cose andassero meglio in casa comunista, dove gli animi erano altrettanto esacerbati: l’antifascista Fulvio Floris fu preso a ciabattate in faccia per futili motivi dalla gerente dello spaccio annesso alla sede del partito, mentre dalle pagine del giornale Vittorio Dotti lanciava strali velenosi all’indirizzo di Emilio Zanoni, candidato nelle liste del Fronte Popolare. Iniziavano frattanto i primi comizi. In un primo approccio con gli elettori a Bozzolo il 13 marzo il candidato democristiano Giuseppe Cappi riuscì a radunare tremila ascoltatori entusiasti. Cominciarono anche i primi sequestri di armi ed iniziò ad affacciarsi il timore che la lotta politica potesse degenerare nel sangue. A Stagno Lombardo, in base alle informazioni ricevute, si rinvennero sei mitra e due moschetti insieme ad una imprecisata quantità di bombe a mano e proiettili e, particolare inquietante, alcuni elmetti metallici recanti impressa la stella rossa. Il 17 marzo fu disturbato il comizio dell’onorevole Michele Tumminelli in piazza del comune, e lo stesso avvenne il 20 in occasione dell’intervento del rappresentante del Blocco Nazionale Lucifero. Nel frattempo il Comitato provinciale per la libertà elettorale lanciava appelli al senso di responsabilità dei cittadini e delle forze politiche perchè si conducesse la campagna elettorale con spirito di tolleranza e senza il ricorso alle provocazioni. Nonostante tutti i tentativi per ricondurre la dialettica politica nei termini di un confronto corretto, gli episodi di intolleranza si moltiplicavano. Un frate, padre Leone da Montello, fu ingiuriato dall’assessore comunale Gamba perchè sorpreso a commentare un manifesto sul caso Cippico, il prelato che aveva promesso a tutta una serie di personaggi esportazioni di capitali attraverso lo Ior ed eludendo la legge. Alcuni ragazzi che lanciavano frecce di carta ad un cane tenuto al guinzaglio da un passante, che si era fermato qualche istante ad osservare il foglio del quotidiano comunista esposto ad una bacheca presso il palazzo Cittanova, furono fatti oggetto di un lancio di sassi da parte di attiviste del Fronte Popolare, che ritenevano oggetto dello scherno dei ragazzi il giornale stesso. Una pesante condanna fu inflitta ai disturbatori del comizio di Lucifero, Dante Pini e Giuseppe Concari, condannati rispettivamente a un anno e 4 mesi di reclusione ed ad otto mesi senza il beneficio della condizionale. Nonostante tutto la polemica diventava ancora più infuocata: a Grumello si ebbe la prima interruzione della tregua elettorale quando si impedì di parlare al sindacalista Angelo Formis, salito sul palco dopo l’anziano Guido Miglioli e da questo pubblicamente ingiuriato, mentre durante l’omelia del 28 marzo l’arcivescovo Cazzani aveva pronunciato parole molto dure nei confronti del comunismo.
Il 31 marzo si fronteggiarono in uno scontro a distanza comunisti e democristiani in due distinti comizi tenuti in piazza Roma, con interventi di Zanoni, Fogliazza e Zana, e in piazza del Comune, con Zelioli e Benvenuti, mentre cominciavano a diffondersi strane voci su un presunta destinazione funeraria dei platani posti lungo viale Po, nell’eventualità di una vittoria frontista. Ne dava notizia il giornale del 1 aprile, e non sembrava che si trattasse di uno scherzo... «la fila di destra è dedicata nei primi posti a Dotti, Speranzini, Giannino Ferrari, Geremia Bellingeri, don Primo Mazzolari e via di questo passo fino all’osteria Barriera Po con gioco di bocce. I compagni la narrano con visibile gioia questa storia di impiccagioni e con tanto ardore che già se li vedono penzolare i settanta e più condannati al platano per quello spirito, in loro così caratteristico, di sognatori di rivoluzioni con la banda in testa e la rottura delle pignatte...»
Proteste giungevano anche da Unità Socialista che vedeva puntualmente strappare da anonimi vandali i propri manifesti elettorali non appena venivano esposti. Il 4 aprile tenne un comizio in piazza del Comune don Primo Mazzolari, mentre dalle pagine del giornale Dotti invitava ad agire con coscienza. Nonostante tutto si ebbero tafferugli con intervento delle forze dell’ordine a Piadena, dove Giannino Ferrari fu costretto a parlare nel teatro parrocchiale, ed a Crema tra alcuni giovani del Movimento Sociale che ingenuamente si erano rivolti alla sede del Fronte, dove si stava svolgendo un comizio, perchè facessero tacere gli altoparlanti, e i giovani aderenti allo schieramento opposto. Il 7 aprile il giornale riferiva ancora di un sequestro di armi nella casa del segretario comunista di Bonemerse, Aristide Renzi, mentre l’assessore anziano di Sesto cremonese veniva tratto in arresto per aver minacciato di non rilasciare più alcun certificato a quanti si sarebbero recati in città per assistere al discorso pronunciato da padre Lombardi davanti a 35.000 persone la sera di venerdì 9 aprile. Negli ultimi giorni della campagna elettorale il clima si fece ancora più incandescente: a Pescarolo fu accoltellato Gianni Ferrari, giovane simpatizzante democristiano, a Soresina furono lanciate bombe contro la casa di Giannino Ferrari e contro la fattoria di un agricoltore del posto. E di nuovo manifesti strappati, litigi, tafferugli mano a mano che si avvicinava il momento del confronto. A questo partecipò con un larvata propaganda anti comunista anche il giornale locale che, a campagna elettorale ormai conclusa, pubblicava un lungo articolo di un reduce dal fronte russo che narrava le atrocità del regime sovietico e, accanto ai pressanti inviti a recarsi alle urne, l’intervista ad una signora russa che, davanti ad un manifesto elettorale del Fronte Popolare, esclamava: "Se i lavoratori italiani, così gelosi della loro libertà, conoscessero come realmente si vive in Russia, sono certa che nessuno di essi darebbe il voto ad un partito come questo ed indicò il manifesto che vuol fare di un'intera nazione una caserma...".
Ancora la mattina del 18 aprile l’invito era: "Ecco la scheda: votate! Se non votate oggi, forse non voterete mai più! Vi è cara la libertà? Votate!", e più sopra era pubblicata l’intervista ad un ex prigioniero della Germania occupata dai russi che raccontava come, alla richiesta di avere un sacerdote che con una parola di conforto potesse alleviare le loro sofferenze, si era visto ridere in faccia dai propri carcerieri.
E si arrivò finalmente al giorno del voto: la percentuale di votanti fu altissima, pari al 96,65%. Allo scopo di prevenire qualsiasi turbamento dell’ordine pubblico il Prefetto decretò che rimanessero chiuse dalle ore 0 del 18 aprile alle 24 del giorno successivo tutte le osterie e le rivendite di vino al minuto, le trattorie ed i ristoranti potevano somministrare bevande alcoliche solo ai clienti che consumavano i pasti.
Non mancarono le raccomandazioni dell’ultima ora: non sostare troppo nelle cabine, per le voci che si erano rincorse nei giorni precedenti secondo cui gli aderenti al Fronte Popolare avrebbero ricevuto l’ordine di recarsi in massa per tempo alle urne e restare chiusi in cabina per almeno una decina di minuti così da spazientire gli altri elettori. Alle signore si consigliava di non avvicinare alle labbra sporche di rossetto la parte gommata della scheda da richiudere, perchè nel 1946 parecchie di queste erano state annullate in quanto, al momento della chiusura, erano state sporcate col rossetto per le labbra, che costituiva segno di riconoscimento. Si ricordava anche alle vecchiette che Giuseppe Garibaldi non era San Giuseppe, e che quindi stessero bene attente. Don Primo Mazzolari e Guido Miglioli furono gli indiscussi protagonisti di quella campagna elettorale combattuta colpo su colpo: entrambi cattolici ma il primo sostenitore della Democrazia Cristiana ed il secondo in lista con il Fronte Popolare, un caso particolarissimo al punto che il segretario provinciale della Dc Giovanni Lombardi aveva dato indicazioni agli iscritti di astenersi dagli incontri pubblici con lui. Il divieto non fu rispettato da Bruno Dordoni, bravissimo oratore che volle misurarsi con Miglioli. La scelta di Miglioli venne vissuta dai democristiani con grande sconcerto e la sezione di Castelleone ne pagò le conseguenze con la migrazione di parecchi migliolini altrove. Don Mazzolari, invece, teneva veri e propri comizi sul sagrato della chiesa una volta terminate le funzioni. I due si incontrarono per uno straordinario dibattito in piazza del Duomo con un botta e risposta che, iniziato alle 20,30 si protrasse fino a mezzanotte senza che nessuno fosse capace di allontanarsi. Lo stesso Miglioli tenne un seguitissimo comizio a Pandino al termine del quale, verso mezzanotte e con la piazza ancora piena, invitò i presenti ad inginocchiarsi e pregare la Madonna perchè facesse vincere il Fronte Popolare. Altrove invece socialisti e comunisti non riuscivano a parlare perchè ogni volta che si avvicinavano ai microfoni i parroci facevano suonare le campane a distesa: così avvenne a Monte Cremasco, Castelgabbiano, Palazzo Pignano. Ma tra i sostenitori del Fronte Popolare vi fu anche il marchese Ildefonso Stanga, in stivali e pantaloni alla zuava, a Crotta d’Adda dove aveva i suoi possedimenti.
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