7 luglio 2023

Ada d'Adamo vince il Premio Strega 2023 con "Come D'Aria". La recensione

Ada d'Adamo con il suo potente libro d'esordio Come D'Aria (Elliot) vince il Premio Strega 2023 con 185 voti. La scrittrice e danzatrice, morta a 55 anni il primo aprile 2023, due giorni dopo essere entrata nella dozzina del più ambito riconoscimento letterario italiano, ha saputo della candidatura allo Strega l'ultimo giorno della sua vita. Lo ha recensito per noi Carmine Lazzarini.

Ada D'Adamo, Come d'aria, Elliot, Lit Edizioni s.a.s., Roma, 2023. 

Chi scrive di sé si rivolge sempre a un interlocutore reale/ideale, con cui apre il cuore, la profondità del proprio mondo segreto, a cui confessa anche l'inconfessabile. Ada d'Adamo (Come d'aria, Elliot, 2023), scomparsa qualche mese fa, lo trova nella figlia Daria, che subito scrive D'aria: un essere leggero quasi senza corpo, che è lì, bisognoso di tutto e che forse per questo le dà la forza di vivere e di scrivere. La figlia con handicap cerebrale, lei che, anche quando scopre un tumore alla mammella, vuole narrare alla figlia la loro storia: una interlocutrice privilegiata così candida e innocente alla quale non si può mentire.

Alla base di questo memoir - iniziato quasi come un diario nel 2008 e terminato nel settembre 2022, ma rifiutato da molte case editrici - sta un'azione del tutto irrazionale: la costruzione di un mondo mentale nel quale comunicare le cose più intime ad una persona che non potrà mai capire. Eppure per Ada d'Adamo tale gesto "insensato" rappresenta per anni una fonte di energia, un modo per non arrendersi. Come scrisse Rita Charon citata in esergo nel Prologo: "E' necessario raccontare il dolore per sottrarsi al suo dominio". Dello stesso parere Duccio Demetrio: "Quando il dolore non riesce più a trovare altra via d'uscita, uno sbocco che gli è indispensabile per evitare che la sofferenza arrivi ad annientarci del tutto, lo scrivere - un gesto che può salvarci la vita - ci permette di opporre alla "pietrificazione" della mente e del corpo la voglia istintiva di continuare a vivere". Dare senso a una storia insensata: tale è la forza della scrittura come cura di sé, come forma di salvezza, in situazioni che potrebbero portare alla follia, quando nel loro succedersi tolgono qualsiasi credenza in una logica o in una Provvidenza ordinatrice. Non a caso l'autrice riporta fuori testo le righe di Chandra Candiani: "Come amare sapendo che la separazione ci aspetta? Come essere pienamente e saper sparire? Non lo so. Sono le leggi della vita". 

Le storie di vita in prima persona, soprattutto se trattano argomenti come la morte, la malattia inesorabile, la disabilità, spesso rivelano il narcisismo dell'autore che, ponendosi al centro del mondo, esibisce le sue vicende, il suo coraggio nell'affrontarle o la miseria in cui è caduto, e stimolano i fantasmi voyeristici delle lettrici e dei lettori, che desiderano alzare il velo sulle oscurità, sulle pieghe dolorose delle tragedie altrui. Ada d’Adamo evita queste trappole attraverso la scelta di una particolare postura e di parole-verità, frasi-verità, in grado di aprire mondi, di riscattare la sofferenza trasfigurandola in racconto organizzato, essenziale, rendendolo armonico, quasi "universale", così che ogni fruitore possa sentire quella vicenda come propria. E possa accogliere quella lettura come un ulteriore passo, piccolo o grande che sia, per intuire la problematicità estrema della umana condizione, comprendendo, alla chiusura dell'ultima pagina, di aver penetrato un poco di più nella complessità dell'esistenza e dei casi umani. La scrittura come una danza, ricerca e scoperta di un orientamento ritmato nel mondo.

Non a caso Elena Stancanelli, presentandola al Premio Strega 2023 ha scritto: "Come d’aria è un libro che fruga dentro il cuore del lettore. Serviva la lingua esatta e implacabile di questa scrittrice per riuscire a sostenere un sentimento tanto feroce... In questo libro si entra con enorme facilità, ma da questo libro si esce cambiati". E’ questa una grade vittoria di Ada, insieme ai sorrisi e ai gridolini di gioia della figlia, come segnale di momenti di felicità. L'autrice inserisce nel suo sofferto racconto anche autori di spettacoli di teatro, cita altri scrittori, ma anche sei piccoli inserti di tenerezza, riportando le parole dei bambini che incontrano stupefatti Daria. Parole leggerissime, come quella del piccolo cieco, che, volendo giocare con lei, le dice in tono squillante, facendole uno scherzo: "Daria, io ti vedo". (p. 63). O Viola, di cinque anni, che chiede al padre: "Non vede, vero?". "No". "Ma parla?". "No". "Cammina?". "No". "Ma allora è magica!" (p.48).

I trenta capitoletti - dal semplice titolo: Uno, Due, Tre... - costituiscono una fenomenologia delle umane sofferenze narrate con stoicismo: la maledizione delle prime diagnosi impietose e delle ultime, l'handicap della figlia, il tumore che ti erode il corpo, il dolore di un amore giovanile finito tragicamente, i sensi di colpa per un aborto, dopo il quale la nuova gravidanza le porta una figlia cerebrolesa, la paura della solitudine, la solitudine della sofferenza, il tradimento del corpo, che lei aveva esercitato e amato nei suoi trattati sulla danza, gli strazi della chemio, la perdita dei capelli, il busto, per cui perde il contatto col corpo della figlia. E intorno a lei il dolore delle madri che assumono su di sé un peso insostenibile fino a snaturarsi: "Entrare nelle corsie degli ospedali significa ogni volta smettere i miei panni e diventare "mamma"... non più persona, sono un ruolo, una "funzione di te" (p.15). Donne sovrappeso, donne con gli occhi cerchiati, segnate dai graffi e dai morsi dei figli, i capelli che non vedono il parrucchiere da mesi, anche all'opposto madri-eroine, con superpoteri, truccate e vestite di tutto punto, o anche madri iene sempre in trincea. Ogni tanto una scena da film, come "Morticia e Omino Michelin". Lei vestita e truccata di nero. "Lui, otto anni, la testa rasata, gonfio di cortisone... Ha un cancro al cervello e mentre aspetta di morire, lui fa i compiti" (p. 17). Tali sofferenze ti svuotano a poco a poco dentro, come il "punteruolo delle palme", che le erode pian piano dall'interno, lasciando un'apparenza esterna di salute (p.75).

Determinante la scelta del lessico in maniera oculata, nella consapevolezza che le parole sono come bisturi, ma anche polisemiche, con le quali si può giocare: "Sei Daria. Sei D'aria. Nel tuo nome un destino che non ti fa creatura terrena, perché mai hai conosciuto la forza di gravità che ti chiama alla terra" (p.7). Parole che si prestano a giochi, come "d'Adamo... d'ada... d'aria... Daria", nel sottolineare un desiderio d'identificazione, di incorporazione della figlia in lei, una figlia che è stata nonostante tutto la gioia, la bellezza della sua vita e del mondo: "Ho pensato che ciascuno di noi riceve almeno un dono dalla vita e che, nella sfiga generale, tanto vale approfittarne. Desideravo la bellezza e l'ho avuta: ho avuto te» (p.47). Così l’esperta di danza, che ha studiato il corpo nei suoi movimenti armonici nell'aria, esprime il desiderio di diventare leggera, aerea come la figlia, "come d'aria" appunto, per congiungersi a lei, per incorporarla. Non scriveva forse Italo Calvino che "l'umano arriva dove arriva l'amore; non ha confini se non quelli che gli diamo"? 

Carmine Lazzarini


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