20 marzo 2021

Così si faceva il cotechino cremonese nel '600

“Per far codechini cremonesi. Prendi per ogni peso di carne da codeghino Onzie tre pepe polverizato, Onzie sette sale come sopra, Onzie 6 uva passa, Libre una miele ben disfatta al fuoco, Onzie una canella fine. Grani garofolo polverizato, aglio quantum satis”. E’ la descrizione di come nel Seicento si faceva il cotechino cremonese, con uso di uva passa e miele, secondo una ricetta scritta su un frammento di pergamena spuntato dagli archivi. Non deve stupire l’uso dell’uva passa, utilizzato nel Cremonese anche per la mortadella, secondo un ricettario ottocentesco della famiglia Ala Ponzone Cattaneo. Così come l’uso del miele per ottenere un gusto più dolce. Non dimentichiamo infatti che per la preparazione del cotechino chiamato “vaniglia”, non tanto per la presenza di questo elemento ma per il suo sapore, ancora oggi le carni, macinate a grana media, vengono condite con sale, zucchero, vino e una concia di aromi naturali tenuti in infusione nel vino rosso.Secondo la tradizione la storia del cotechino risale a tempi antichissimi: la leggenda narra che il cotechino fu creato nel 1511 dai cittadini della corte dei Pico di Mirandola per meglio conservare la carne dei maiali, durante il lungo assedio alla città da parte delle truppe di Papa Giulio II della Rovere. Il prodotto iniziò a diffondersi verso la fine del '700, quando arrivò a sostituire la salsiccia gialla, che aveva reso celebre Modena già nel Rinascimento. 

In realtà le zone di produzione risentono molto degli influssi della storia e del ruolo che Cremona ha avuto in tempi in cui era la capitale del Po, dei commerci e degli scambi. Infatti le riserve di carne, i più grandi allevamenti di animali in genere, già in passato era localizzati sulle rive del Po, nella Bassa lombarda ed in Emilia, per poi estendersi con il tempo e con i vari sconvolgimenti politici ed economici, anche in altre zone. Resta comunque significativo che la produzione del cotechino si limiti ad alcune zone dell’Italia settentrionale lungo l’asta del Po, dove il clima umido invernale è più rigido. In questa zona si moltiplicano la varianti del cotechino. A Modena l’impasto è di grana molto più grossa e viene insaccato nella cotica degli zampetti anteriori del maiale, una volta tolte e mantenute in fondo le dita dei piedi, da cui il termine di “zampone”. In alcune zone del Cremonese e del Piacentino si usa “il cappello del prete”, caratteristico insaccato nella cotenna di maiale cucita ad arte, di forma triangolare, stretto in morsetti formati da coppi di palette di legno, ci sono poi il cotechino Brianzolo oltre a quello piemontese di Brà.

Fabrizio Loffi


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti