5 aprile 2023

Crema, la religiosità e la Diocesi

“Dalle cronache desumiamo che il popolo cremasco era di carattere vivacissimo, ardito, pertinace ne’ suoi propositi: amantissimo di pompe religiose, di pubblici spettacoli, di passatempi. Vago di gozzoviglie ed impetuoso, spesso trascorreva in risse ed in bagordi; ossequiava il clero comunque ne conoscesse le magagne, ed ai nobili, che lo guardavano con sorriso d’orgoglio e di protezione, s’inchinava per interesse e per sentimento di tradizionale riverenza”. “Del resto non v’era altra via ad un popolano per farsi dai nobili perdonare i bassi natali che ungersi prete: coll’abito ecclesiastico veniva accolto nelle case magnatizie, vi diventava cappellano, precettore de’ figli, confidente della vecchia dama”.

Francesco Sforza Benvenuti descrive qui una realtà cremasca risalente. Colpiscono però talune caratteristiche, che potremmo definire antropologiche, riferite al profilo di quello che alcuni hanno tentato di identificare come “Homo Cremensis”: il gusto per la festa e la baldoria, la pompa scenografica e la rappresentazione pubblica, il divertimento e magari il bagordo. Insomma, saremmo gente chiassosa e intemperante, rissosa e però pronta a tornar mansueta verso i poteri costituiti. Una sorta di personificazione collettiva dell’eterno carnascialesco.

“Amantissimo di pompe religiose”. “Ossequiava il clero comunque ne conoscesse le magagne”. Così ci dice del popolo cremasco il Benvenuti, sia pur rifacendosi a una certa epoca. Per quanto mi riguarda personalmente, essendo giunto ormai alla soglia della settantina, ho fatto in tempo, da ragazzino, a conoscere i fasti e gli sfarzi (che un poco mi mancano) delle solennità religiose auliche e sontuose, cioè delle “pompe religiose” di quel tempo che fu. E anche a incrociare qualche ospite tonacato di “case magnatizie”, “precettore de’ figli”, “confidente della vecchia dama”. Ovviamente, la frattura storica verificatasi con la Contestazione, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, ha prodotto poi, anche da noi, altri modelli clericali, diciamo postconciliari. Tra questi, persino, qualche volta, degli esempi presbiteriali facilitatori di militanze in formazioni politiche contigue alla lotta rivoluzionaria o quanto meno a un certo extra-parlamentarismo di Sinistra, germinato da taluni ambienti parrocchiali se non anche seminaristici, oltre che da determinate forme di associazionismo giovanile cattolico locale. Sempre collegandosi al Benvenuti, è avvenuto proprio come nel caso di quei preti del 1797, ai tempi della Repubblica giacobina cremasca, da lui così ben descritti. La Storia spesso si ripete.

Siamo quindi, per davvero, un popolo “vago di gozzoviglie ed impetuoso”, “amantissimo di pubblici spettacoli” e “di passatempi”? In effetti, ancora oggi tendiamo ad allestire Crema come una città dell’ospitalità, della bancarella e della movida, un luogo dove l’umanità transeunte possa divertirsi, deambulare in libertà, fare acquisti, insomma spassarsela un po’. Dove dagli hinterland metropolitani circostanti e da molte zone del contado possano giungere visitatori, consumatori, acquirenti, fruitori, desiderosi di svagarsi e di lasciarsi andare, senza troppi problemi, a un senso di libertà che la nostra città sicuramente ispira. Questa nostra componente storica caratteriale, che si manifesta ancora oggi in un modello attitudinale e in uno schema comportamentale sotto gli occhi di tutti, si accompagna, come diceva Benvenuti, a una religiosità amante delle forme e dei riti, ossequiosa e ancora radicata a livello familiare e sociale. Non per questo la nostra è una religiosità meno sincera.

Tutt’altro, è il nostro modo di essere, di vivere in maniera tutta nostra gli adempimenti e gli appuntamenti riguardanti la vita parrocchiale e diocesana. In termini religiosi, siamo quotidianamente non molto “praticanti”. In genere, così come ormai in politica e in altri campi dell’esistenza, anche riguardo alla religione siamo in maggioranza piuttosto “tiepidi”. Però da noi i figli e i nipoti si battezzano, si comunicano, si cresimano. La fede per noi è anche un cursus honorum. E quando arriva la nostra ora, vogliamo al capezzale il prete di fiducia, con il miglior viatico. Dopo, non ci sono dubbi: avvisi, messa, incensi, benedizioni, preghiere, necrologi, suffragi. Anche in extremis, alle cerimonie ci teniamo parecchio. Per noi la forma è sostanza. Siamo gozzovigliatori amanti della ritualità.

Francesco Piantelli, un secolo dopo Benvenuti, ci conferma che “la nostra gente è festaiola per natura, ma non sempre sa mantenersi nei limiti e fa presto a sconfinare, tramutando una manifestazione religiosa in un’altra pagana da ultimo giorno di carnevale”, con “concorso di forastieri” e “scorpacciate fuori dall’ordinario”. Quindi la nostra vocazione a Paese di Bengodi per i visitatori, attirati come consumatori e fruitori per far cassa, vetrina e plateatico, non è una novità. Basta scorrere le cronache cittadine più recenti: ci infervoriamo e ci facciamo ambasciatori urbi et orbi, non certo in modo disinteressato, a favore del sempre più paludato tortello, nobilitato da accademie e priorati dedicati alla pasta col pizzico, all’amaretto e al mostaccino; ci eccitiamo, con ampia e ben orchestrata eco mediatica, per il recente salame autoctono e per quel formaggio con quell’ortaggio; siamo gli alfieri della “cultura materiale”, della papilla gustativa e del velo pendulo. Dice Piantelli che noi siamo “per naturale vivaci, arditi, chiassosi, amanti di pubblici spettacoli”, riprendendo così il già citato testo del Benvenuti. “Festaiolo all’eccesso”, da sempre “il nostro popolo moltiplicava le feste religiose a base di scampanii, processioni, fuochi artificiali, musiche, archi trionfali, festoni e … sbornie solennissime”. Per secoli infatti Crema ha avuto, in proporzione alla popolazione residente in città, un numero estremamente elevato di chiese, di oratori e di conventi, così come di osterie, di taverne e di bettole.

Giovanni Battista Terni, in un suo testo rimasto manoscritto e che tra poco potrebbe essere edito a stampa, nel descrivere i costumi cremaschi nella seconda metà del Settecento, stigmatizza certi eccessi della nostra popolazione, sia di tipo etilico che sessuale. I preti erano “ignoranti”, i frati nei loro conventi “si divertivano”, le donne cremasche, giovani e meno giovani, erano “tutt’altro che Penelopi o caste Susanne”. Benvenuti richiama alcuni dei passaggi testuali dedicati dal Terni a questi aspetti, aggiungendo alcune notazioni riguardanti il popolo cremasco “ubbriacone”. Ci dice infatti che “ubbriacona la popolazione cremasca ce la dipingono eziandio alcune relazioni che i podestà, finito il reggimento della città nostra, erano obbligati a fare al Serenissimo Principe. Il podestà Gaetano Dolfin, nell’anno 1745, riferisce: ‘A Crema sarebbero minori i delitti, se la plebe della città e li contadini non fossero dediti all’eccesso del vino, che è colà il massimo incoativo a tante risse ed alle delinquenze che frequentemente succedono’ ”. Va detto che le caratteristiche rissose della popolazione cremasca (anche della nostra aristocrazia), venivano fatte derivare, da diversi nostri storici e cronachisti, anche da un temperamento nativo locale particolarmente aggressivo, suscettibile e bellicoso.

Inoltre, non si possono dimenticare, sempre in tema di commistioni cremasche tra il senso religioso e altri nostri sensi, certe piacevoli licenze menzionate e sanzionate dai podestà veneti e anche dai vescovi di Crema, come nel caso dell’editto del vescovo Alberto Badoer nel 1657, riguardante i Moneghini. Un diffuso clima di libertà amorosa ha spesso contraddistinto le nostre abitudini cittadine, coesistendo con puntuali ed esibiti pentimenti, confessioni e penitenze. Si pensi anche alla diffusa prassi dei “cavalier serventi” in molte case e famiglie soprattutto nobiliari e alto-borghesi, così ben descritta dal Benvenuti. E più in generale alle frequenti occasioni di festa e licenza urbana, in maschera o meno, e non solo a Carnevale. Ma chi erano i Moneghini? Basti dire che il nome deriva dai conventi di monache in cui spesso questi Moneghini “piacevansi di amoreggiare con le monache nei parlatoj” e in altri luoghi conventuali. Lodovico Canobio ci ha lasciato pagine memorabili su queste abitudini cremasche. I Moneghini non erano solo dei giovinotti e signorotti laici ma anche dei religiosi. Il Canobio cita il canonico Barbetta, il prevosto Bosio, il canonico Franzini e molti altri. Questi sollazzi erano la “favola dei ridotti e delle piazze”. A volte i vescovi non potevano esimersi dal chiedere l’intervento del braccio secolare ma a ben poco servivano i provvedimenti emessi in proposito dai podestà in carica, come ad esempio quelli di Marc’Antonio Mocenigo e di altri reggitori municipali, intesi a “snidare dai parlatoj delle monache certi uccellazzi, che sempre quelle infestavano”.

Queste commistioni tra l’amor sacro e l’amor profano sembrano accompagnare noi Cremaschi in modo costante nel tempo e forse ancora oggi qualche loro vaga traccia potrebbe essere scorta in alcuni tratti caratteristici locali, quasi si trattasse di una persistenza memoriale collettiva, di una voce giunta da un genius loci, da un Geist sotterraneo e subliminale ma non del tutto scomparso. Ovviamente, nessuno più insidia le monache o fa da “cavalier servente” in casa d’altri. E nessuno a Carnevale si maschera con intenti men che leciti. Sono cambiati i tempi, naturalmente. Però un certo spirito gaudente, un certo gusto per il divertimento e lo spasso, come si è detto, sembra permanere più che in altre realtà urbane circostanti. Il passeggio cittadino, lo shopping, l’ora degli aperitivi, dei caffè e dei ritrovi nei bar e nei locali pubblici, i numerosi negozi del centro con le loro offerte e profferte, l’elevato numero di eventi culturali, manifestazioni, intrattenimenti e iniziative ludiche di ogni genere, tutto denota il piacere tipicamente cremasco della socialità, della convivialità, della buona compagnia e spesso anche della bella vita. Ecco perché, in effetti, a Crema si vive bene, a patto di avere qualche soldo in tasca. Di certo, meglio che in altre città vicine, magari quantitativamente più grandi ma qualitativamente meno edoniste. Siamo, al tempo stesso, il popolo più festaiolo e più religioso della Lombardia. A modo nostro, beninteso, perché abbiamo un sentimento identitario e un senso di appartenenza spiccatissimi, tanto che, invece del rito romano o del rito ambrosiano, non ci sarebbe da meravigliarsi se in un prossimo futuro ci trovassimo a praticare un “rito cremasco”, in grado di significare tutta la nostra originalità e la nostra cremaschità anche a livello religioso. Di certo, sarebbe un rito molto più godereccio del pregresso “rito offrediano” già praticato nella Diocesi di Cremona.

A proposito di un possibile “rito cremasco”, si può scherzosamente aggiungere qualcosa di più. Si premette che nella Regione Ecclesiastica della Lombardia, di cui poi si farà cenno, il rito ambrosiano è seguito dalla maggior parte delle parrocchie dell’Arcidiocesi di Milano, oltre che da qualche parrocchia delle Diocesi di Bergamo e di Lodi. Le altre parrocchie, e tra queste le parrocchie cremasche, seguono il rito romano, che come è noto è quello più diffuso in Italia. Ebbene, diciamo che, da qualche anno, stiamo applicando un primo tentativo di “rito cremasco” a uno degli eventi più emblematici della nostra Storia locale: il Carnevale, questa sorta di summa ludica cittadina, frutto anche del felice influsso della Serenissima. In che modo? Praticando un periodo carnevalesco e quaresimale del tutto originale: dopo il martedì grasso del rito romano, invece del relativo mercoledì delle Ceneri e dei collegati digiuni, magri e penitenze, attuiamo un aggancio religioso tutto nostro con il rito ambrosiano, tornando a carnevalare il sabato immediatamente successivo, alla grande e di gran gusto. A Crema il Carnevale non dura una settimana ma un mese, ignorando le Ceneri e tutto quanto a loro connesso. In pratica, il “rito cremasco” sarà anche una locuzione scherzosa. Però intanto, in questo modo, da noi ha abolito le Ceneri, ormai dimenticate dalla maggior parte della popolazione residente.

Più in generale, per noi la religione fa parte integrante dell’orizzonte sociale, istituzionale, culturale, oltre che morale e spirituale. E siccome siamo un popolo speciale, abitatore di una città speciale, con alle nostre spalle un passato speciale e con davanti a noi un futuro speciale, ecco che anche il nostro essere religiosi non può che essere qualcosa di speciale. Dalle nostre parti la religione non è solo una questione di fede individuale e privata. È anche una forma mentis pubblica. Persino l’ateo più incallito, se si trova a messa (in genere per un funerale), quando arrivano certi passaggi rituali si fa il segno della croce, abbassa la testa, fa il gesto della pace, dà l’elemosina, insomma segue il cerimoniale. Esiste un ordine nelle cose del mondo. E fino a quando ci saranno chiese, sacerdoti e riti religiosi, per il Cremasco ci saranno le cose a posto e non ci saranno le brutte sorprese. I piaceri della vita, la convivialità, gli spassi, sono l’altra faccia della medaglia di una religiosità anche sincera nell’intimo e però, soprattutto, fondamentale per il nostro ordinato consorzio civile, per la nostra immagine, per il nostro decoro personale e familiare, per il nostro sistema di relazioni sociali, professionali, culturali. Peccatori sì, spesso e volentieri, però capaci di pentimento, frequente e periodico, e sempre ligi alle nostre autorità, tra le quali le nostre tradizioni più risalenti e consolidate pongono, in posizione di indubbio rilievo, le potestà religiose di parrocchia e di Diocesi accanto a quelle municipali civili.

E qui, il discorso sulla nostra Diocesi diventa fondamentale. Perché, anche riguardo alle circoscrizioni ecclesiastiche, “i Cremaschi sono fieri della loro individualità: misconoscerla o menomarla è per essi l’affronto più grave”, come dice Piantelli. La Diocesi di Crema è l’ultima a essere stata costituita nella nostra regione ed è la più piccola, in termini anche di popolazione e di superficie, tra le nove Diocesi che, riferendo all’Arcidiocesi di Milano, compongono con essa la Regione Ecclesiastica della Lombardia, una delle sedici Regioni Ecclesiastiche in cui è suddiviso il territorio della Chiesa Cattolica in Italia. Siamo piccoli ma fedeli, in tutti i sensi: quasi il 99% della popolazione della nostra Diocesi (per la precisione, il 98,7%) è battezzato. Certo, non è che il battesimo voglia dire tutto. Però vuol già dire molto. Anche perché pure l’iter delle varie somministrazioni sacramentali successive, rispetto alle altre realtà regionali, appare di tutto rispetto, anche se qui le statistiche sono meno agevoli da reperire e interpretare con sicurezza. Sui battesimi, si possono comunque consultare i siti web delle varie Diocesi, così come le pagine di Wikipedia dedicate a questo elemento statistico. Siamo i “Top Gun” dei battesimi in percentuale. Dopo di noi ci sono Como (96,6%), Vigevano (95,4%) e Lodi (95,2%). Fanalini di coda sono Cremona (86,5), Mantova (85,8%) e Brescia (80,50). A metà classifica troviamo Bergamo (94,4%), Pavia (93,4%) e Milano (87,5%). Si dirà che il battesimo è solo un inizio. D’accordo, però chi ben comincia è a metà dell’opera. Del resto, è ormai storicamente accertato che l’appellativo di “brusacristi” si riferiva ad altri e non a noi. Perché noi ci siamo meritati l’epiteto (francamente piuttosto riduttivo e irritante) di Granducato del Tortello oppure di Repubblica del Tortello ma siamo anche una vera e propria Terrasanta religiosa. Dopo aver fatto festa, torniamo a essere laboriosi e operosi, tutti casa, chiesa e bottega (o ufficio o azienda, comunque fattivamente al lavoro).

Dopo la nobilitazione provinciale amministrativa ottenuta da Lodi nel 1992, Crema e Vigevano sono rimaste le sole due Diocesi della Lombardia a non condividere, con la sede vescovile, quella di capoluogo di provincia. Entrambe nascono nel Cinquecento, a mezzo secolo di distanza l’una dall’altra: Vigevano nel 1530 e Crema nel 1580. Su istanza di Francesco II Sforza, il 16 marzo 1530 Clemente VII, con la bolla “Pro excellenti”, crea la Diocesi di Vigevano, sottraendo territori a quelle di Novara e di Pavia. Anche per l’interessamento del governo di San Marco, l’11 aprile 1580 Gregorio XIII, con la bolla “Super universas”, costituisce la Diocesi di Crema, sottraendo il suo territorio a quello delle Diocesi di Cremona, di Piacenza e, in piccola parte, di Lodi (in alcune fonti la data riportata è il 1579). C’è da ricordare che la questione diocesana attirava, intrigava e irritava i Cremaschi da parecchio tempo, ben prima dell’arrivo in città del Leone di San Marco. Basti dire, per farla breve, che già in epoca comunale e poi viscontea (e durante la breve signoria dei Benzoni) i tentativi di sottrarsi a Cremona erano stati condotti, oltre che, come è ben noto, nell’ambito politico e istituzionale civile, anche in quello religioso diocesano. Ne era nata una situazione ecclesiastica, in parte dovuta pure agli interventi dei Cremaschi, basata su una divisione del territorio dell’antica Insula Fulcheria in due diverse parti facenti capo alle Diocesi di Cremona e di Piacenza, con anche una terza piccola porzione in potestà della Diocesi di Lodi. Il tutto pur di togliere potere a Cremona. Un dispetto ben riuscito ma tale da causare poi una situazione irrazionale e portatrice di confusioni e controversie, con parrocchie e diritti vari, religiosi e anche economici, in città e nel territorio, riferiti a Diocesi e interessi differenti.

Questa realtà paradossale attribuiva, in città, alla Diocesi di Cremona la parrocchia di San Pietro e le sue chiese sussidiarie verso nord, mentre attribuiva alla Diocesi di Piacenza il Duomo, le altre parrocchie di San Benedetto, San Giacomo e Santissima Trinità e le loro varie rispettive chiese sussidiarie. La giurisdizione del vescovo di Cremona si estendeva poi sulle parrocchie di Castel Gabbiano, Trezzolasco, Casale Cremasco, Vidolasco, Capralba, Farinate, Azzano, Sergnano, Ricengo, Camisano, Bottaiano, Pianengo, Offanengo, Campagnola Cremasca, Vairano Cremasco, Santa Maria dei Mosi, Santa Maria della Croce, San Bernardino Cremasco, Madignano, Izano, Salvirola (soltanto una parte: vedi più avanti nel testo), Ripalta Vecchia, Ripalta Nuova, Rovereto, Credera, Rubbiano, Moscazzano, Montodine, Ripalta Arpina e Ripalta Guerina. La giurisdizione del vescovo di Piacenza si estendeva quindi sulle parrocchie di Bagnolo Cremasco, Vaiano Cremasco, Monte Cremasco, Cremosano, Ombriano, Sabbioni, San Michele Cremasco, San Bartolomeo ai Morti, Castelnuovo Cremasco, Ripalta Nuova (riguardava la non più esistente chiesa di San Lorenzo), Vergonzana, Capergnanica, Zappello (staccata dalla parrocchia di San Giacomo in città verso il 1560), Bolzone, Chieve, Palazzo Pignano, Cascine Capri, Cascine Gandini, Scannabue, Torlino Vimercati, Trescore Cremasco, Quintano, Pieranica e Casaletto Vaprio. Solo un estremo lembo di territorio a sud-ovest era sotto la giurisdizione della Diocesi di Lodi, quello con la parrocchia di Casaletto Ceredano con Passarera (poi Passarera “Lunga” sarà parrocchia separata). La denominazione delle parrocchie è stata aggiornata a quella attuale. Inoltre, diversi sono stati nel tempo i processi di modifica, fusione o separazione.

C’è da notare che tutte le suddette parrocchie e i relativi Comuni di appartenenza non esauriscono attualmente il territorio cremasco nel suo complesso. Infatti, si tratta qui delle realtà appartenenti al cosiddetto “Cremasco storico”, vale a dire a quella parte più risalente e storicamente più consolidata del nostro territorio, che alla metà del Quattrocento passò a far parte della Terraferma Veneta e andò a costituire una delle tre Province lombarde della Serenissima, la Provincia di Crema (le altre due erano quelle di Bergamo e di Brescia). Al giorno d’oggi, dopo i mutamenti istituzionali e i riordini amministrativi dell’epoca napoleonica, poi del Lombardo-Veneto austriaco e quindi del Regno d’Italia, il nostro territorio si estende a parte della Gera d’Adda e, per lunghi tratti, fino al fiume Adda a ovest e fino al fiume Oglio a est, con un confine verso sud-est pure ampliato e ridefinito. Si pensi ad esempio agli attuali confini dell’Area Omogenea Cremasca, nell’ambito del territorio della Provincia di Cremona. In buona sostanza, poco sopra si sono invece indicati i territori parrocchiali che, dopo esser diventati parte della Provincia di Crema nella Terraferma Veneta a metà del Quattrocento, sono poi andati a costituire, coerentemente, anche la Diocesi di Crema eretta nel 1580. Appare dunque sin d’ora evidente come il nostro attuale territorio diocesano, quasi del tutto immutato dal 1580, sia molto più ristretto rispetto al territorio dell’attuale “Cremasco civile”, frutto delle evoluzioni politiche e amministrative avvenute dal 1797 a oggi. Da un lato, infatti, Crema ha perso la sua autonomia provinciale. Una perdita molto grave, che costituisce ancor oggi una ferita aperta a livello locale, nonostante si tenda per prudenza a far buon viso a cattiva sorte. Dall’altro, però, Crema ha ampliato parecchio il suo ambito di influenza amministrativa, acquisendo molto territorio a est fin dal periodo asburgico (Provincia Lodi-Crema), poi a ovest dalla creazione del Circondario nel 1859 (legge Rattazzi) e infine verso sud-est, per lo meno alla luce del territorio della già citata Area Omogenea Cremasca. E ciò nonostante, a volte, qualche realtà comunale tenda a disconoscere questa situazione di appartenenza all’ambito territoriale cremasco. Due processi storici di tipo opposto ma compresenti.

Tornando alla creazione della Diocesi di Crema, va detto che, instaurato il governo di Venezia nel 1449, già due anni dopo, nel 1451, erano cominciati i tentativi dei Cremaschi per ottenere il riconoscimento di una loro Diocesi autonoma. Il percorso da svolgere era comunque lungo e irto di ostacoli, soprattutto per l’evidente opposizione di Cremona e per la difficoltà a inserire questa esigenza dei Cremaschi, che è ovviamente anche un’esigenza politica e istituzionale della Serenissima, nei complessi rapporti di interlocuzione diplomatica e militare tra Venezia e lo Stato Pontificio. Dopo più di un secolo di sollecitazioni e insistenze, i tempi sembravano maturi per la creazione della nuova Diocesi, da identificarsi con il territorio cremasco amministrato in Lombardia dal governo veneziano. Nel 1579 Gregorio XIII inviava a Crema, come visitatore apostolico incaricato di una verifica in tal senso, il vescovo di Rimini Giovan Battista Castelli. Anche grazie alla sua opera di facilitazione e dopo la sua relazione alle autorità pontificie competenti, il Papa proclamava la nascita della Diocesi di Crema, come si è detto, l’11 aprile 1580. La soddisfazione dei Cremaschi e del governo di Venezia era notevole e, ovviamente, in un clima di gioioso tripudio, con manifestazioni popolari di giubilo e celebrazioni pubbliche degne di un simile storico avvenimento, in tutta la città e in molti paesi si festeggiava l’affrancamento dalle precedenti autorità vescovili, soprattutto da quella cremonese.

Il primo vescovo di Crema è Gerolamo Diedo, patrizio veneto, nominato il 20 (in alcune fonti risulta il 21) novembre 1580. Gli succede nel 1584 il nipote, Gian Giacomo Diedo, che resta in carica fino alla morte nel 1616. In tutto, la serie dei vescovi di Crema conta una trentina di presuli, fino all’attuale vescovo Daniele Gianotti, insediato nel 2017. Sul sito web della Diocesi di Crema si indica che Gregorio XIII “con il breve apostolico ‘Ut res dant sese’ dichiarò la Diocesi immediatamente soggetta alla Santa Sede”. Benvenuti afferma invece che “la chiesa cremasca fu dal pontefice Gregorio XIII dichiarata suffraganea del metropolita di Milano”. In ogni caso, avendo nel 1582 lo stesso Pontefice elevato alla dignità metropolitana la sede di Bologna, sua patria, vi annetteva come suffraganea la Diocesi di Crema. Nel 1835 Gregorio XVI, con la bolla “Romani Pontificis”, dichiarava la Diocesi di Crema suffraganea dell’Arcidiocesi di Milano. Da quasi due secoli la nostra Diocesi fa dunque parte della Regione Ecclesiastica più popolosa della Conferenza Episcopale Italiana. Siamo però, all’interno di questa Regione, la Diocesi più piccola per dimensioni geografiche e demografiche.

La non coincidenza del territorio e della popolazione della Diocesi di Crema con il territorio e la popolazione dell’Area Omogenea Cremasca risulta evidente dai seguenti dati. Dal sito web della Diocesi, dove risulta pubblicata la “Guida per l’anno 2021” (con dati aggiornati al 22 febbraio 2021), si rileva che la superficie diocesana si estende su 276,25 chilometri quadrati; che la popolazione corrispondente è di “circa 100.000” abitanti; che la Diocesi è divisa in sei zone pastorali, con 63 parrocchie (in un’altra parte della “Guida” tali parrocchie sono quantificate in 62), distribuite su 32 Comuni, tutti appartenenti amministrativamente alla Provincia di Cremona. Sulla pagina web di Wikipedia dedicata alla Diocesi di Crema, le parrocchie sono indicate in 63 e si forniscono anche le statistiche per popolazione, battezzati, presbiteri, diaconi e religiosi (uomini e donne) dal 1950 al 2021. È da qui che si è rilevata nel 2021 una popolazione di 99.800 abitanti con 98.500 battezzati, pari come si è detto in precedenza al 98,7%. Ben diversi i dati forniti dall’Area Omogenea Cremasca: una superficie di 573,2 chilometri quadrati, più del doppio di quella diocesana; circa 164.000 abitanti, quasi i due terzi in più; 48 Comuni, il cinquanta per cento in più. Va detto che i sei Comuni di Castelleone, Gombito, Fiesco, Trigolo, Cumignano sul Naviglio e Genivolta sono “storicamente” un po’ meno “omogenei” a Crema rispetto agli altri. Ma, a parte i circa 9.000 abitanti di Castelleone, il confronto non cambia poi molto.

La Diocesi di Crema non è la più ridotta in Italia ma appartiene al numero di quelle sotto i 100.000 abitanti, un numero che negli ultimi anni è stato fatto spesso (a volte anche quello di 90.000 abitanti) in tema di riduzione del numero delle Diocesi italiane, nel senso di una loro possibile soppressione, con conseguente smembramento e accorpamento ad altre Diocesi, in caso di una popolazione al di sotto di queste soglie demografiche. In pratica, se certe fonti giornalistiche ma anche a volte direttamente ecclesiastiche esprimessero qualcosa di più di una semplice intenzione, vale a dire un progetto effettivo o un reale piano operativo, la Diocesi di Crema potrebbe essere tra quelle a rischio di soppressione, con tutte le conseguenze immaginabili. Secondo i dati riportati sul sito ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, che riprendono come fonte l’Annuario Pontificio nella sua edizione 2023, le già menzionate sedici Regioni Ecclesiastiche nazionali (alle quali vanno aggiunti, a parte, l’Ordinariato Militare e un Esarcato Apostolico) sarebbero attualmente composte da 225 Diocesi, delle quali 41 sono sedi metropolitane, 20 sedi arcivescovili non metropolitane, 156 sedi vescovili, 2 prelature territoriali e 6 abbazie territoriali. Nel complesso, le parrocchie risultano essere attualmente 25.494.

Che le frequenti esternazioni mediatiche sull’argomento possano derivare da una valutazione dei costi di questa struttura ecclesiastica nazionale, non è difficile da supporre e anche da comprendere. Però non sembrerebbe trattarsi di una pura e semplice questione di cost cutting. Va anche tenuto presente che la composizione della Chiesa sta cambiando e che le strutture gestionali, i processi organizzativi, i meccanismi operativi e i flussi informativi, in qualunque realtà istituzionale, civile o religiosa che sia, seguono spesso i bacini di utenza e gli ambiti di audience e di platea. La Chiesa è sempre meno italiana ed europea ed è sempre più cosmopolita e variegata nelle sue componenti umane e quindi nelle sue varie articolazioni e connessioni. In ogni caso, dei cambiamenti strutturali ci saranno e i dubbi riguarderanno non tanto le dinamiche di ridimensionamento ma soprattutto i tempi, le modalità e gli opportuni accorgimenti di questo ridimensionamento. Il proposito di una ristrutturazione delle Diocesi italiane è stato rilanciato di recente dalla stessa Conferenza Episcopale Italiana e pare che anche il Pontefice sia intenzionato a porre mano in tale materia. Intanto, è significativo che, come da fonte Banca Dati CEI, siano ormai arrivate a 35 le Diocesi “unite in persona episcopi”, cioè le Diocesi che, pur non essendo state soppresse, non hanno un presule solo proprio ma risultano unite ad altre realtà diocesane nella persona di un vescovo incaricato anche del loro coordinamento gestionale. Si tratta di soluzioni organizzative ben note in certe prassi di progressiva semplificazione strutturale.

Certo, si sa, l’Italia, è il “paese degli annunci” e quindi non è detto che il rischio di uno smembramento o di un accorpamento diocesano sia per noi Cremaschi così incombente e imminente. Il rischio però c’è tutto e, anche senza abbandonarsi a eccessivi allarmismi, varrebbe la pena di evitare situazioni vergognose come quella vissuta una decina di anni fa con la perdita del Tribunale. Si dirà che l’intimo sentimento religioso conta più di certe strutture ecclesiastiche esteriori. Vero, però attenzione a non sottovalutare il senso, il significato, il valore che l’esistenza di una nostra Diocesi autonoma, da quasi 450 anni, ha assunto per noi Cremaschi. È evidente come le esternazioni mediatiche su una riduzione, anche drastica, del numero delle Diocesi italiane siano sempre più numerose. Il tema è delicatissimo e si ritiene, in questa sede, anche per motivi di spazio, di non diffondersi oltre in proposito. In ogni caso, sarebbe molto importante esercitare tutte le nostre possibili attenzioni, azioni e precauzioni, in ogni sede e con ogni mezzo, per scongiurare il peggio. La nostra Diocesi non è soltanto un’impalcatura di diritto canonico o un insieme di uffici confessionali. È una parte fondamentale della nostra esistenza e della nostra identità storica, religiosa, sociale e culturale. Sarebbe proprio imperdonabile, dopo aver perso così tanto (e così male, diciamocelo pure) in passato, perdere anche la nostra Diocesi.

Ma quale è il motivo per cui esiste una così grande differenza tra l’effettivo territorio cremasco di oggi, divenuto tale con l’acquisizione, sin dal vecchio Circondario rattazziano del 1859, dei vari “mandamenti” tra l’Adda e l’Oglio, e il territorio cremasco diocesano? Il motivo è semplice ed è di natura storica. Infatti, come si è detto, in termini amministrativi civili, pur perdendo la nostra autonomia provinciale, ci siamo territorialmente molto ingranditi. Mentre i confini della nostra Diocesi sono rimasti, con una piccola eccezione di cui poi si dirà, quelli del 1580, anno della sua istituzione. Va tenuto presente che, dopo l’esclusione della Diocesi di Piacenza dal nostro territorio, la Diocesi di Cremona ha sempre conservato nei secoli un’estensione, intorno alla Diocesi di Crema, veramente rilevante. La piccola Diocesi cremasca risulta quasi del tutto “circondata” dalla grande Diocesi cremonese, che ha mantenuto nei secoli e mantiene tuttora sotto la sua giurisdizione i Comuni di Rivolta d’Adda, Agnadello e Vailate, a nord-ovest dei confini diocesani cremaschi, e i Comuni di Casaletto di Sopra, Romanengo, Ticengo e Soncino, a nord-est dei nostri confini diocesani. Verso sud-est la Diocesi di Cremona comprende i Comuni di Castelleone, Gombito, Fiesco, Trigolo, Cumignano sul Naviglio e Genivolta, che si è detto sono un po’ meno “storicamente” riferibili a Crema. Va aggiunto che a ovest la Diocesi cremonese ha anche giurisdizione sulla parte del Comune di Pandino che non comprende Gradella e Nosadello. Su queste due località, sempre per ragioni storiche di disaccorpamenti e riaccorpamenti amministrativi vari, esercita invece la sua potestà religiosa la Diocesi di Lodi. Questa Diocesi ha anche giurisdizione sui Comuni di Spino d’Adda e di Dovera, pur appartenenti, come le frazioni pandinasche di Gradella e Nosadello, al territorio amministrativo della Provincia di Cremona. Come si vede, i poteri civili e quelli religiosi agiscono basandosi su ambiti territoriali a volte molto diversi. D’altra parte, lo Stato della Città del Vaticano, come il pregresso Stato Pontificio preunitario, è uno Stato sovrano, anche secondo il diritto internazionale, e gestisce il suo territorio come crede, così come le sue articolazioni organizzative preposte all’amministrazione territoriale.

Però non basta. La Diocesi di Cremona si estende anche in territorio amministrativo milanese, su quattro delle cinque parrocchie di Cassano d’Adda: in città, quelle dell’Annunciazione, di Cristo Risorto e di Santa Maria Immacolata e San Zeno; in frazione di Cascine San Pietro, quella di San Pietro Apostolo. Invece la parrocchia di San Bartolomeo, in località Groppello, dipende dall’Arcidiocesi di Milano (circa 3.200 abitanti sugli oltre 18.000 totali del Comune di Cassano). Si tratta di parrocchie situate a oltre 70 chilometri di distanza dalla sede vescovile cremonese. La Diocesi di Cremona ha poi giurisdizione su diversi Comuni appartenenti alla parte meridionale della Provincia di Bergamo. Verso ovest, si tratta dei Comuni di Casirate d’Adda, Arzago d’Adda, Calvenzano, Misano di Gera d’Adda, Brignano, Caravaggio, Fornovo San Giovanni e Mozzanica. Il Santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio, una delle mete tradizionali di pellegrinaggio per noi Cremaschi, appartiene quindi alla Diocesi di Cremona. Sembra strano, però quando da Trezzolasco si arriva a Mozzanica, nonostante le apparenze (a partire dalla parlata della gente), non ci si trova tra anime bergamasche ma tra anime cremonesi. Lo stesso avviene verso est, dove la Diocesi cremonese ha giurisdizione sui Comuni bergamaschi di Covo, Calcio, Isso, Barbata, Antegnate, Fontanella, Pumenengo e Torre Pallavicina. Nel complesso, si tratta di una buona fetta del territorio meridionale della cosiddetta “pianura bergamasca”. Grosso modo e in maniera soltanto stimata, la Diocesi di Cremona esercita quindi la sua cura ecclesiastica su circa 15.000 persone ritenute amministrativamente milanesi dallo Stato italiano e su oltre 66.000 altre persone ritenute amministrativamente bergamasche dal nostro Stato, avendo dunque giurisdizione ecclesiastica, al di fuori della Provincia di Cremona, in questo quadrante territoriale settentrionale, su una popolazione complessiva di oltre 81.000 abitanti. Si tratta di una popolazione che per numero è pari a più dell’80% di tutti gli appartenenti alla Diocesi di Crema.

Ma non basta ancora. La Diocesi di Cremona si estende abbondantemente anche in territorio mantovano. Ha infatti giurisdizione su diversi Comuni appartenenti amministrativamente alla Provincia di Mantova, che sono Bozzolo, Rivarolo Mantovano, San Martino dall’Argine, Gazzuolo, Commessaggio, Sabbioneta, Pomponesco e Dosolo. Inoltre, la Diocesi cremonese comprende anche l’esteso Comune di Viadana, a eccezione della piccola parte a nord-est costituita dalla frazione di Cizzolo, la cui parrocchia di San Giacomo Maggiore è sotto la giurisdizione della Diocesi di Mantova (circa ottocento abitanti sui circa 20.000 totali del Comune di Viadana). Sempre grosso modo e in maniera soltanto stimata, la Diocesi di Cremona esercita quindi, in questo quadrante territoriale sudorientale, la sua cura ecclesiastica su circa 39.000 persone ritenute amministrativamente mantovane dallo Stato italiano, cioè su una popolazione che per numero è pari a quasi il 40% di tutti gli appartenenti alla Diocesi di Crema. Sommando tutte le popolazioni amministrativamente al di fuori della Provincia di Cremona, tra il quadrante territoriale milanese e bergamasco a nord e il quadrante mantovano a sud-est, si tratta quindi di una popolazione complessiva di circa 120.000 persone, sempre in termini approssimativamente stimati.

Da quanto esposto, si può notare come, per un certo verso, la Diocesi di Cremona si trovi in una situazione opposta a quella di Crema. Mentre infatti la superficie e la popolazione della Diocesi cremasca sono di gran lunga inferiori a quelle del territorio amministrativo civile attuale, la superficie e la popolazione della Diocesi cremonese sono invece notevolmente superiori a quelle dell’ambito provinciale corrispondente (escludendo per omogeneità di confronto il territorio cremasco), estendendosi su altre Province in modo cospicuo. Sul quadrante territoriale mantovano, un caso opposto, molto limitato in termini territoriali e demografici, è quello dei due Comuni di Ostiano e di Volongo (in tutto, poco più di 3.000 abitanti), amministrativamente posti in Provincia di Cremona ma appartenenti alla Diocesi di Mantova. Situati sulla riva sinistra del fiume Oglio, un tempo erano entrambi in Provincia di Brescia, prima di essere assegnati alla Provincia di Cremona: Ostiano nel 1868 e Volongo nel 1872. Va anche rammentato che, rispetto al territorio amministrativo della Provincia di Cremona, come si è già detto, la Diocesi cremonese non ha giurisdizione sulle parrocchie dei Comuni di Spino d’Adda e di Dovera e su quella parte del Comune di Pandino che comprende le frazioni di Gradella e Nosadello, tutti territori posti sotto la potestà ecclesiastica della Diocesi di Lodi. Nel complesso, tra i territori posti oltre Oglio (Ostiano e Volongo) e questi altri territori sotto la giurisdizione della Diocesi lodigiana, si può dire che una popolazione complessiva di circa 15.000 abitanti sia considerata amministrativamente cremonese dallo Stato italiano ma sia invece ecclesiasticamente amministrata da altre Diocesi (quelle di Mantova e di Lodi). Da un lato, come si è visto, ci sono circa 120.000 anime in più, dall’altro ce ne sono circa 15.000 in meno. Ovviamente, occorre tener conto, in meno, anche delle circa 100.000 anime cremasche non soggette alla giurisdizione della Diocesi cremonese ma poste sotto quella della Diocesi di Crema.

Quanto detto sopra non significa che la Diocesi di Crema debba cercare di sopravvivere all’annunciata falcidia delle Diocesi italiane tentando di appropriarsi di comunità ormai da tempo cremasche ma ancora poste sotto la giurisdizione religiosa della Diocesi di Cremona, in riferimento a vicende storiche di parecchi secoli fa. Si è detto come la compartimentazione territoriale ecclesiastica derivi da una sovranità statuale del tutto indipendente da quella dello Stato italiano e quindi, se l’esercizio della propria sovranità giuridica porta uno Stato diverso dal nostro a mantenere le proprie circoscrizioni territoriali ferme ai tempi di Sicardo, qualche ragione forse ci sarà. In realtà, modifiche territoriali anche cospicue ci sono state pure in ambito ecclesiastico, per cui non è detto che la Chiesa non abbia già operato variazioni in tal senso, aggiornando diverse realtà territoriali e adeguandole alle situazioni divenute differenti nel corso dei secoli. Si vede che nel caso della Diocesi di Cremona ci sono motivi per considerare certi confini come intoccabili. Del resto, ormai noi Cremaschi sappiamo che ubi maior minor cessat: sulla nostra strada ci saranno sempre una Matilde, un Barbarossa o un Farinacci a mettersi contro di noi, favorendo qualcun altro. Siamo rassegnati. O comunque, per lo meno, è sconsigliabile dar troppo a vedere che non lo siamo del tutto.

Si tratta dunque di prendere atto, in base alla semplice constatazione dei fatti e dei numeri, in modo oggettivo e il più possibile neutro e asettico, del fatto che attualmente il territorio cremasco conta circa 164.000 abitanti, mentre la Diocesi di Crema conta meno di 100.000 anime. Invece, la parte della Provincia di Cremona riferita al territorio cremonese e a quello casalasco (tolto quindi il territorio cremasco) risulta di poco superiore alla metà delle circa 360.000 anime che conta la Diocesi di Cremona. Si tratta di un rapporto tra popolazione amministrativa e popolazione ecclesiastica del tutto opposto, se si confrontano le due realtà prese in considerazione. Inoltre, esaminando la situazione anche da un altro punto di vista, si può dire che, nonostante manchino alla Diocesi di Cremona tutti gli abitanti posti sotto la giurisdizione della Diocesi di Crema (circa 100.000), ugualmente il numero degli abitanti appartenenti alla Diocesi cremonese è superiore, per diverse migliaia, al numero degli abitanti dell’intera Provincia di Cremona, comprendendovi anche tutti quelli del territorio cremasco.

In realtà, come si è accennato in precedenza, una modifica territoriale, dal lontano 1580, riguardante i confini tra la Diocesi di Cremona e quella di Crema, è effettivamente avvenuta. Questa modifica riguarda il territorio del Comune di Salvirola, unificato nel 1868 nelle sue cinque principali componenti: Suate (già Salvirola Cremasca), Salvirola de’ Patti e Salvirola de’ Vassalli (che insieme formavano la precedente Salvirola Cremonese), Ronco Todeschino e Albera. Le vicende storiche di questo territorio, diviso per secoli, sia in termini politici e istituzionali, sia confessionali e diocesani, tra la parte cremasca e quella cremonese dalla roggia Gaiazza, avevano portato, anche dopo l’unificazione amministrativa del 1868, a mantenere due distinte parrocchie con distinti parroci, chiese e cimiteri: nella Diocesi di Crema, a ovest, la parrocchiale di San Pietro Apostolo; nella Diocesi di Cremona, a est, la parrocchiale di Sant’Antonio Abate. Quest’ultima non aveva giurisdizione sul Ronco Todeschino e sull’Albera, posti in Diocesi di Cremona, che in passato erano sotto la potestà della parrocchia dei Santi Giovanni Battista e Biagio di Romanengo. Solo il Ronco Todeschino viene aggregato, nel 1937, con decreto del vescovo di Cremona Giovanni Cazzani, alla parrocchia di Sant’Antonio Abate, posta in Salvirola de’ Vassalli, mentre l’Albera resta alla parrocchia di Romanengo. È a questo punto che si attua l’unica modifica territoriale tra le due Diocesi di Cremona e di Crema. Il 27 aprile 2001, il vescovo di Cremona, Giulio Nicolini, e quello di Crema, Angelo Paravisi, decidono di affidare la parrocchia di Sant’Antonio Abate, fino a quel momento facente parte della Diocesi cremonese, alla parrocchia di San Pietro Apostolo, facendo così entrare questa parte di Salvirola nella Diocesi cremasca. Attualmente, secondo quanto indicato nella predetta “Guida per l’anno 2021” della Diocesi di Crema, San Pietro Apostolo e Sant’Antonio Abate raccolgono in tutto 1.151 abitanti e 481 famiglie.

La Diocesi di Crema, sempre in base alla “Guida per l’anno 2021”, ha un effettivo di una settantina di sacerdoti, con in più alcuni religiosi e religiose. Questi religiosi, meno di una decina, sono i frati minori Cappuccini del convento dei Sabbioni e i missionari dello Spirito Santo che hanno assunto la cura pastorale della parrocchia e del santuario di Santa Maria della Croce. Le religiose sono una ventina in tutto e a Crema sono le suore del Buon Pastore e le suore Adoratrici, mentre le altre sono distribuite tra le Figlie della Carità - Canossiane a Offanengo, le suore della SS. Trinità a Bagnolo Cremasco, le missionarie del Sacro Cuore a Izano, le Figlie di Maria Santissima dell’Orto a Cremosano e le Carmelitane Scalze a Bolzone. La settantina di sacerdoti e la trentina di altri religiosi e religiose assommano quindi complessivamente a un centinaio di soggetti in pianta organica sul territorio diocesano. Fanno riferimento alla Diocesi anche pochi diaconi permanenti e una quarantina di missionari e missionarie, sparsi per il mondo ma, in certi casi, anche attivi sul nostro territorio nazionale. I sacerdoti hanno incarichi parrocchiali ma anche compiti nella curia e nella cancelleria vescovile, negli uffici pastorali e amministrativi, nei vari consigli, commissioni, organi e servizi diocesani.

Se si consulta la “Guida Ufficiale” della Diocesi di Crema del 1985, che riporta quindi i dati riferiti alla situazione di una quarantina di anni fa, il numero delle parrocchie diocesane risulta pari a 61, mentre il numero dei sacerdoti attivi nella Diocesi risulta quasi doppio rispetto all’attuale: ci sono infatti 153 sacerdoti nel territorio diocesano, a cui vanno aggiunti altri 19 sacerdoti fuori Diocesi, vale a dire con incarichi missionari o con funzioni presso altre Diocesi italiane. È ancora più notevole la differenza numerica riguardante il numero delle religiose femmine, mentre per i religiosi maschi il dato appare solo di poco differente rispetto alla situazione attuale. Se oggi è ancora residente in Diocesi, come si è detto, una ventina di suore all’incirca, di cui solo una parte minore si trova nella città di Crema, una quarantina di anni fa c’erano in Diocesi circa 220 suore, più del decuplo di oggi: suore del Buon Pastore, Figlie della Carità - Canossiane, Ancelle della Carità (generazioni di Cremaschi sono passate per la loro scuola, anche se noi delle elementari di Borgo San Pietro avevamo un’idea tutta nostra dei loro alunni), Serve di Maria Riparatrice, suore della Sacra Famiglia, Figlie di Sant’Angela, suore Angeliche, suore Trinitarie, suore Sacramentine, suore di San Giuseppe Cottolengo, suore Gianelline, suore Orsoline di Somasca.

Il clero della nostra Diocesi si è quindi parecchio ridotto di numero in pochi decenni. D’altra parte, la cosiddetta “crisi delle vocazioni” non riguarda soltanto il territorio cremasco. In aggiunta a ciò, la predetta “Guida per l’anno 2021” dà anche conto di una età media dei nostri sacerdoti piuttosto elevata. Pure questo è un dato comune a molte altre realtà diocesane italiane ed europee. Ed è un dato che va di fatto a incidere sull’organico complessivo disponibile, in quanto difficilmente, oltre una certa soglia di età, le funzioni presbiteriali, soprattutto quelle più operative, possono continuare a essere svolte in modo effettivo e continuativo. Una ventina circa dei nostri sacerdoti, vale dire poco meno di un terzo dell’effettivo, ha più di ottant’anni. Un’altra ventina ha meno di sessant’anni. Gli altri, che formano il numero più cospicuo, hanno tutti un’età tra i sessanta e gli ottant’anni. Un terzo circa di questa nostra piccola ma agguerrita Militia Christi proviene dalla città di Crema. Due terzi dai paesi del territorio cremasco circostante, a conferma di una tradizione vocazionale più radicata nelle nostre campagne che all’interno del nostro perimetro urbano, per lo meno a partire dall’unificazione nazionale. Si contano sulle dita di una mano i sacerdoti provenienti dal territorio lodigiano e da quello cremonese. Come si è detto in precedenza, questi dati si riferiscono al clero residente, in quanto per il personale missionario, maschile e femminile, valgono altre quantificazioni e differenti logiche.

Le citazioni da Francesco Sforza Benvenuti contenute in questo articolo sono tratte dalla sua “Storia di Crema”, Milano, Tipografia Giuseppe Bernardoni, 1859, e dal suo “Dizionario Biografico Cremasco”, Crema, Tipografia Carlo Cazzamalli, 1888. Le citazioni da mons. Francesco Piantelli sono tratte dal suo “Folclore Cremasco”, Crema, Editrice Vinci, 1951. Le citazioni da Lodovico Canobio sono tratte dal suo “Proseguimento della Storia di Alemanio Fino dall’anno 1586 all’anno 1664”, nell’edizione edita a cura di Giovanni Solera, Milano, Tipografia Ronchetti e Ferreri, 1849. Molti richiami, anche non virgolettati e però da ricollegare ad altri autori, riguardano opere di Cesare Tintori, Giovanni Battista Cogrossi, Giovanni Battista Terni e altri scrittori cremaschi che hanno dedicato ai temi qui trattati pagine di sicuro interesse, verso i quali l’autore è riconoscente debitore. I dati statistici sulle Diocesi di Crema e di Cremona sono tratti, tra le varie fonti, dai siti web ufficiali di queste due Diocesi, oltre che da diverse pagine web di Wikipedia, opportunamente verificate. Per la Diocesi di Crema, sono inoltre state consultate la già più volte citata “Guida per l’anno 2021”, Supplemento a Il Nuovo Torrazzo del 6 marzo 2021, Cremona, Tipografia Fantigrafica, 2021, e la “Guida Ufficiale” della Diocesi di Crema del 1985, Crema, Tipografia La Moderna, 1985.

Innumerevoli sono stati i contributi storiografici riguardanti la costituzione della Diocesi di Crema. Tra tutti, per una sintetica ma al tempo stesso valida lettura in proposito, ci si permette di consigliare l’articolo di Vincenzo Cappelli, Venezia e la Terraferma, il lungo e complesso percorso verso l’istituzione della Diocesi di Crema, in “Insula Fulcheria”, numero XL del 2010, Volume A, Castelleone, G & G Industrie Grafiche Sorelle Rossi, 2010, pagine 50-66. Sono citati nella bibliografia in fondo all’articolo anche gli interessanti contributi di Gabriele Lucchi, Ilaria Lasagni, Giovanni Solera e altri.

Nella prima immagine, un dipinto raffigurante Gerolamo Diedo, primo vescovo di Crema.

Nella seconda immagine, il Palazzo Arcivescovile di Crema, situato in piazza Duomo, tra la Cattedrale e il Palazzo Municipale.

Nella terza immagine, il territorio della Diocesi di Crema.

Nella quarta immagine, il territorio della Diocesi di Cremona.

Nella quinta immagine, il territorio della Diocesi di Lodi.

Nella sesta immagine, il territorio dell’Area Omogenea Cremasca.

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Pietro Martini


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