3 ottobre 2022

Gli Stalloni di Crema: che fare?

Tre elezioni nel giro di un anno stanno facendo riemergere a Crema, nel corso delle varie campagne elettorali cittadine, alcuni problemi locali irrisolti e stanno dando ai diversi candidati di partito l’opportunità di formulare, su certi temi ricorrenti, le loro proposte e promesse elettorali. Soprattutto durante la campagna per le elezioni amministrative della scorsa primavera (ma in parte minore anche in occasione delle recenti elezioni parlamentari), nei discorsi di propaganda politica e negli incontri organizzati dalle segreterie dei partiti non sono mancati i riferimenti ad alcune problematiche cremasche da tempo senza soluzione. Ed è probabile che, quando arriverà nella primavera prossima il momento delle elezioni regionali, certi discorsi vengano riproposti, da varie angolazioni, in quell’altra campagna elettorale. Si sa, ogni volta che si avvicinano seggi, urne e schede, determinati argomenti vengono ripescati e ridiscussi. È una cosa normale ed è comprensibile come i candidati utilizzino ai propri fini quanto ritenuto più utile. Uno di questi argomenti è quello dei cosiddetti Stalloni di Crema.

Nel precedenti articoli del 23 agosto e dell’8 settembre 2021 si è cercato di offrire una sintesi della storia pluricentenaria e benemerita di questo importante complesso edilizio e della sua area verde circostante. Si tratta di tre ettari complessivi di notevole valore storico e architettonico, posti in pieno centro a Crema e giustamente vincolati dai competenti organi di salvaguardia e tutela. Si è anche cercato di offrire una sintesi della pluridecennale e piuttosto imbarazzante storia dei tentativi operati dalle varie forze politiche locali per trarre vantaggio da una diversa destinazione di questo bene pubblico, attualmente in proprietà regionale e, almeno in parte, a rischio di progressivo degrado.

Dire “trarre vantaggio” è volutamente generico. Infatti non sempre il “vantaggio” dei cittadini coincide con il “vantaggio” di questo o quel partito, soprattutto di tipo elettorale, e questo succede a Crema come altrove, ieri, oggi e domani, con uno scostamento maggiore o minore a seconda delle varie circostanze di tempo, luogo, partito e cittadinanza. L’unica cosa di cui stupirsi sarebbe lo stupirsene. Nel caso degli Stalloni di Crema, ci si permette di osservare, fatti alla mano e riguardo ai predetti tentativi politici degli ultimi decenni, che questo scostamento tra interessi partitici e interessi della cittadinanza si è manifestato in modo tanto evidente quanto cospicuo. Si veda in proposito il suddetto articolo dell’8 settembre 2021. Ma oggi, in fin dei conti, dopo le ultime elezioni municipali e politiche, in vista delle prossime elezioni regionali, a che punto siamo?

Ovviamente, la soluzione dei problemi di una città come Crema dovrebbe basarsi su dei processi decisionali, di attività e di verifica non così puntualmente dipendenti dai comizi e dalle promesse elettorali del momento. Però, di fatto, da noi le cose vanno in questo modo e quindi è inutile illudersi che possano cambiare, magari grazie a qualche fenomeno di ravvedimento politico. Così va il mondo. Diciamo comunque che in questo momento, a Crema, abbiamo un piccolo vantaggio: alla campagna elettorale per le prossime elezioni regionali manca ancora qualche tempo, quella per le elezioni politiche è appena terminata e quella per le elezioni amministrative è finita da diversi mesi, per cui si potrebbe forse provare a ragionare sul tema degli Stalloni di Crema senza dover subire le strumentalizzazioni e le trovate propagandistiche tipiche dei periodi elettorali.

Infatti, sia le nuove (si fa per dire) forze insediate in municipio, sia le opposizioni consiliari (che hanno fatto di tutto, da un quarto di secolo, per restare tali) non hanno più bisogno, per i loro fini elettorali, di ricorrere ai tre leitmotiv, ai tre refrain, ai tre ritornelli che puntualmente, a ogni votazione elettorale, i vari candidati locali politici intonano promettendo soluzioni geniali e risolutive: vale a dire quelli degli Stalloni, della Pierina e del Sottopasso. Il vantaggio è quindi, riguardo agli Stalloni, di poter affrontare l’argomento senza che gli esponenti delle varie consorterie partitiche, per sembrare più originali e ingegnosi degli avversari, confondano le acque lanciando sulla stampa e sui media locali le ipotesi di soluzione più diverse e in genere meno sensate.

Si sa che i Cremaschi, oltre che su altre tematiche, proprio su Stalloni, Pierina e Sottopasso, prima delle varie votazioni, in particolare di quelle amministrative, incrociano le dita e aspettano speranzosi che le temute esternazioni dei candidati di lista finiscano nel folto novero delle fanfaluche preelettorali. Ci si dice, con un sospiro paziente, “ha da passà ‘a nuttata”. Poi, passata “ ‘a nuttata”, cioè insediata la giunta successiva, i problemi irrisolti, compresi i tre precitati, restano tali e quali sul tappeto, in attesa della prossima tornata elettorale amministrativa. Però, almeno, quei problemi irrisolti non si sono aggravati, sono rimasti gli stessi. Così i problemi si mantengono stabili, invece di venire peggiorati, magari irrimediabilmente, dalle pensate e dagli interventi sparnazzati da qualche zelante segreteria di partito cittadina o da qualche personaggio locale affetto da wandaosirismo politico. Perché, in fondo, questo i Cremaschi chiedono, sulla base della loro esperienza: che i politici non aggravino i loro problemi. Siamo una popolazione antica e avveduta: nella Storia, i migliori politici dalle nostre parti sono stati quelli che ci hanno fatto il minor danno possibile. Di certo, nessuno lo dice apertamente. Però, sotto sotto, il sentimento comune è proprio questo. Anche riguardo alla vicenda Stalloni.

Arrivati a questo punto, però, visto che non tutti sanno che cosa siano a Crema gli Stalloni, la Pierina e il Sottopasso, occorre fare una precisazione. Queste tre cose non sono tra loro legate da relazioni di un certo genere, non compongono ad esempio il titolo di un film di quelli con Alvaro Vitali ed Edvige Fenech (del tipo “La Pierina e gli Stalloni”, tacendo del “Sottopasso”). No, possiamo stare tranquilli. È vero che siamo sempre nel campo della commedia all’italiana, però non di quel genere là, qui si parla d’altro, di questioni urbanistiche, immobiliari, non c’entrano Gloria Guida e Lino Banfi, qui recitano attori diversi. Bene, dopo questa precisazione, torniamo agli Stalloni. Anche perché il Sottopasso pare finalmente in fase di esecuzione e le polemiche, che non mancano mai, vertono soprattutto sui ritardi, sui costi, sulle negligenze riguardanti quest’opera e via dicendo. Sembra quindi che uno dei tre tormentoni sia avviato a esaurirsi. Mentre sulla Pierina un barlume di speranza potrebbe essersi acceso a seguito di fatti recenti, risorse economiche attese e volontà ipotizzate, per cui staremo a vedere. Il parziale recupero dell’ex area Olivetti potrebbe forse toccare in futuro anche la Pierina? Speriamo e, come si suol dire, chi è credente preghi. Insomma, dei tre elementi che compongono l’usuale canovaccio delle esternazioni preelettorali, sono proprio gli Stalloni il problema di cui non si intravede alcun esito e sul quale, purtroppo, si temono cosiddette “soluzioni” peggiori del problema esistente.

In realtà, il “problema Stalloni” non comporta danni emergenti diretti, gravi e dolorosi per la cittadinanza. Si tratta di una questione opposta. Non esiste un pregiudizio da rimuovere. Si tratta di una opportunità da cogliere. Rileggendo la sconfinata letteratura prodotta, a proposito e a sproposito, sul tema Stalloni negli ultimi decenni, una parola-chiave emerge con evidenza e chiarisce i termini della situazione: la parola “fruibilità”. Un bene culturale storicamente prezioso e un’area verde magnifica in pieno centro città non sono fruibili dai cittadini, per lo meno in gran parte e abitualmente. Ed è un peccato, perché i Cremaschi sanno apprezzare e valorizzare i beni culturali e storici; perché i Cremaschi hanno molto bisogno di aree verdi invece che di aree cementate, bitumate, asfaltate; perché i Cremaschi non sono tutti speculatori, faccendieri, palazzinari, lottizzatori camuffati da benefattori.

In qualsiasi corso di formazione aziendale sul problem solving, si insegna che la prima fase del processo di soluzione di un problema è quello della chiara e precisa identificazione del problema stesso. Facciamo ad esempio l’ipotesi che una accettabile definizione sintetica del problema Stalloni possa essere la seguente: “Esistono in centro città un complesso urbanistico storico e tre ettari in buona parte a verde che non vengono fruiti dalla cittadinanza per vari morivi e che si vorrebbero invece rendere fruibili senza alterarne il valore architettonico e la funzione di polmone verde cittadino”. Sia ben chiaro, è solo un esempio, un tentativo di definizione. Se ne possono fare altri, ovviamente. E già confrontarsi su una prima definizione condivisa del problema potrebbe essere utile per evitare successivi equivoci, fraintendimenti, strumentalizzazioni.

Se ad esempio volessimo stare a questa definizione del problema, potremmo quindi identificare tre aspetti conseguenti fondamentali. Primo aspetto. La generalità della cittadinanza, non solo una parte specifica di essa, deve poter avere accesso a questi spazi e poter fruire, pariteticamente e pienamente, della loro bellezza attraverso un loro ordinato, oculato e vigilato utilizzo. Secondo aspetto. Questa fruibilità deve comportare il minimo di alterazione dei luoghi e non deve causare aumenti di cubature edilizie, restauri snaturanti, infrastrutture invasive, processi inquinanti, altri interventi contrari non solo, ovviamente, alle normative e ai vincoli oggi esistenti, ad esempio quelli posti dalla Soprintendenza, ma anche, più in generale, contrari al senso storico, al gusto estetico, al decoro cittadino. Terzo aspetto. L’obiettivo così definito va realizzato con assodate capacità di project management, in grado di risolvere tre questioni essenziali: innanzitutto quella giuridica, in quanto l’attuale proprietà regionale non deve impedire il raggiungimento dell’obiettivo, per cui bisogna sciogliere questo nodo essenziale; quindi quella economica, visto che occorrono pianificazione e controllo finanziario, budget e sistema di gestione contabile adeguati, capacità di raccolta delle risorse economiche necessarie, in tutti i modi possibili; infine quella tecnica, perché una volta deciso che cosa si vuole fare, si chieda a dei professionisti incaricati come farlo: dal masterplan al progetto esecutivo, è il committente a guidare, non il fornitore di servizi, sempre e comunque.

Se prendiamo in esame, pescandole dal folto novero di quelle a nostra disposizione, alcune delle precedenti proposte politiche che negli ultimi decenni sono state formulate sul problema Stalloni, vediamo che è molto difficile trovare una congruenza tra tali ipotesi e la nostra definizione del problema. Ovviamente, può essere sbagliata la nostra definizione e potevano invece essere giuste quelle ipotesi. Diciamo solo che in genere, prima di intraprendere un percorso, converrebbe definire dove si vuole andare. Se si voleva andare a parare in un certo modo, nulla da eccepire. Insomma, magari poteva essere giusto fare, dentro l’area degli Stalloni, una delle cose seguenti. 1) Scavare sotto l’antico convento un parcheggio sotterraneo o realizzare in superficie un parcheggio multipiano. 2) Costruirci un albergo di lusso, con intorno le relative infrastrutture, accessioni e pertinenze di servizio e d’immagine. 3) Metterci dentro tutti gli ambulanti del mercato coperto, trasferendo all’interno i loro banchi di vendita e le attività commerciali oggi svolte in via Verdi, una cosa come la Vucciria o Ballarò a Palermo oppure la Boqueria a Barcellona. 4) Trasferirci gli uffici sanitari regionali presenti in città, aumentando le cubature edilizie e predisponendo i relativi parcheggi e servizi per il personale addetto (era l’ipotesi della cosiddetta “cittadella della puntura”, e trasferendo taluni servizi anche di “certe” punture). 5) Ampliare e adattare le strutture edificate per destinarle a welfare, beneficenza e housing sociale, ricoverandovi i soggetti indigenti, deboli, disadattati, problematici, bisognosi di assistenza e supporto di vario genere, colpiti da situazioni di necessità e da condizioni di disagio personale di varia origine. 6) Ospitarci tanti negozietti e bottegucce, iniziative di artigianato locale, attività creative, start-up (giovanili o meno), sviluppando la piccola imprenditorialità e varie attività eque, solidali, sostenibili, favorendo coloro che necessitano di un sostegno pubblico, di un recupero personale, di un reinserimento sociale, di un aiuto professionale, con un’attenzione particolare al terzo settore, all’accoglienza del diverso, alla solidarietà interculturale. 7) Crearci un centro sociale giovanile, di impegno culturale e di impulso intellettuale, artistico, teatrale, ludico, meglio se autogestito, con manifestazioni, rappresentazioni, happening, dibattiti, eventi, mostre, bancarelle, animazioni culturali, una sorta di Leoncavallo al posto dei precedenti cavalli (era l’ipotesi del “cuore verde”, anche ai fini malcelati di un certo “vivaio rosso” di partito).

Scorrendo tutte le ipotesi patrocinate in ambito politico negli ultimi decenni, le sette ipotesi sopra riportate non sono state certo le sole formulate e presentate come risolutive. Ne sono state proposte anche diverse altre, però per motivi di spazio ci si limita a queste, tutto sommato abbastanza rappresentative e significative. Così, solo per dare un’idea, senza entrare nel merito. Astenendosi da qualunque valutazione o giudizio. Non è detto che fosse sbagliato realizzare una o l’altra di queste ipotesi. Nessuno pretende di giudicare o criticare alcunché. Insomma, potevano essere tutte cose veramente buone, sante e giuste. Dipende dal punto di vista. E di solito, se si parla di cittadinanza, il punto di vista dei cittadini, per lo meno della maggioranza dei cittadini, non solo di quelli con una tessera di partito in tasca, in cose di questa rilevanza non è proprio un optional.

E qui veniamo a un punto cruciale. Quello della trasparenza. Anzi della mancanza di trasparenza, della opacità che ha spesso contraddistinto i processi decisionali riguardanti in passato la questione Stalloni. Tanto che in certi casi si sono evitati solo in extremis l’ultimo passaggio, l’ultimo consenso, l’ultima firma, a volte per non incorrere nel furor di popolo. Per il rotto della cuffia, con colpi di scena a dir poco incresciosi. Sia ben chiaro, la politique du fait accompli c’è sempre stata e ci sarà sempre, soprattutto quando si vuole far credere che tutti sapevano, il che forse talvolta è vero, solo che in molti casi tutti sapevano troppo tardi. Ormai non va più di moda, come una volta, pensare o dire I have a dream, visto anche come si finisce quando si dicono certe frasi. Però un fatto importante che sarebbe bello succedesse, qualora il problema Stalloni venisse affrontato e gestito correttamente, se non addirittura (ma qui si rischia la ὕβρις verso gli dei) definitivamente risolto, potrebbe essere quello di una impostazione palese e di una trattazione chiara, aperta, condivisa delle scelte da prendere, del lavoro da fare, dello stato di avanzamento delle attività e del grado di raggiungimento degli obiettivi. In una parola, di una trasparenza di tutti riguardo a tutto. Prima, durante e dopo lo svolgimento del progetto. Con i media che ci sono, strutturare dei flussi informativi corretti ed efficaci sarebbe poi così difficile? Però bisogna volerlo. E volerlo per davvero.

In ogni caso, anche se il passato pesa e non è molto confortante, scurdammoce ‘o passato, per dirla con Fausto Cigliano. Tiremm innanz. E dunque, adesso, per dirla invece con Vladimir Il'ič Ul'janov, che fare? È chiaro che intanto bisognerebbe condividere una definizione del problema Stalloni. Nelle righe precedenti si è tentato, sommessamente e rispettosamente, di indicare una possibile definizione. E di corredarla con i tre elementi fondamentali che ne conseguono. Se ce ne sono altre, benissimo. Se ne parli apertamente e fondatamente. Per costruire qualcosa si parte dalle fondamenta, non dal fumo dei comignoli, magari di esalazione elettorale. Se si pensa invece che sia inutile definire il problema, benissimo lo stesso. In fondo, è quello che si fa da decenni. Se va bene così, nulla quaestio. Volendo invece provare a proseguire sulla linea intrapresa poco addietro, si può fare un passo avanti. Ad esempio, si potrebbe ipotizzare che la fruibilità degli Stalloni possa essere duplice: naturalistica e artistica. Perché? Ad esempio perché si ritiene che si tratti di due aspetti su cui, a Crema, valga la pena di investire. Non a breve termine ma in prospettiva, con una visione d’ampio respiro. Sul primo aspetto, si dovrebbe conservare tutto il verde esistente, anzi aumentarlo nelle zone che nel frattempo si sono deteriorate e impoverite, seminando e piantumando nuove essenze vegetali autoctone. In pratica, favorire la realizzazione di un parco pubblico. Questo soddisfa tutti i requisiti detti in precedenza. Sul secondo aspetto, occorre distinguere il corpo di fabbrica centrale dalle scuderie, dal maneggio e dalle altre strutture edilizie minori. E va prima definito se gli uffici attualmente presenti in loco devono rimanere dove sono, cosa che dipende dal fatto della proprietà regionale.

Ammettiamo che questi uffici regionali possano restare dentro il complesso degli Stalloni, senza entrare nel merito, per ora, di un luogo preciso in cui stabilire la loro collocazione. L’edificio centrale principale, con limitate operazioni di restauro e sistemazione in linea con le indicazioni della Soprintendenza, potrebbe diventare una struttura museale che consenta la decongestione dell’attuale Museo di Crema. Le opzioni possono essere diverse. Ad esempio, si possono lasciare dove sono le varie collezioni esistenti e portare agli Stalloni la parte di arti figurative, cioè la pinacoteca, magari solo da una certa data in avanti. Questa è solo una delle ipotesi che si possono fare. Il nostro Museo può essere decongestionato in vari modi. Qui fermiamoci al concetto, perché le opzioni in tal senso potrebbero essere diverse. Sarebbe anche importante trovare il modo di ricordare ai visitatori la storia del convento, poi del deposito Stalloni, perché è giusto che la memoria storica non solo non si perda ma venga valorizzata. La storia conventuale è molto risalente e merita la giusta divulgazione. La storia del deposito Stalloni, prima austriaco e poi nazionale, è qualcosa di estremamente interessante e potrebbe avere una forza attrattiva notevole. Ma è solo un’idea, si può ragionare su altre opzioni, invece della pinacoteca si può trasferire altro, anche se l’impianto generale fa subito pensare a quell’ipotesi. Gli spazi dedicati alla storia del convento e del deposito Stalloni possono essere identificati in edifici più o meno ampi e localizzati, all’interno del complesso, in luoghi più o meno decentrati. Il concetto è comunque quello di un polo museale, ovviamente ben collegato, correlato e vincolato al Museo esistente. In città, di situazioni culturali pubbliche non convergenti ma divergenti ce ne sono già. Puntiamo sul verde e sull’arte. Facciamo degli Stalloni un parco pubblico e un centro museale, che siano attrattivi per i cittadini, per i visitatori, per i turisti. Il turismo per noi può diventare un volano importante, se ben gestito e valorizzato. Negli ultimi anni si è puntato molto sulla cosiddetta cultura materiale. E questo va bene. Però proviamo anche a non limitare l’offerta turistica all’antropologia del gusto e ai piaceri della tavola.

Perché va bene il tortello, va bene il salva con le tighe, va bene la bertolina. Ma Crema può offrire anche qualcosa d’altro, che non sia sempre riferito al palato, alle papille gustative e al velo pendulo. Finché si parlerà di Crema come del Granducato del Tortello, i nostri avi si rivolteranno nella tomba. Non abbiamo combattuto con onore il Barbarossa e i Turchi, svolto importanti ambascerie e incarichi diplomatici decisivi, creato opere d’arte musicali e figurative eccellenti, espresso luminari illustri nella cultura umanistica e in quella scientifica, e si tace di tutto il resto, per essere oggi qualificati come il popolo dell’amaretto e del mostaccino. Inoltre, va detto che diverse sezioni storiche un tempo esposte al nostro Museo, meritevoli di pubblica attenzione, sono finite ai depositi per mancanza di spazi. L’antico convento di Santa Maria Mater Domini potrebbe essere il luogo ideale per ospitare delle raccolte artistiche. Tra l’altro, anche questa destinazione presenterebbe tutti i requisiti indicati in precedenza.

Le scuderie sono diverse tra loro. Quella principale non presenta problemi di ricettività, essendo un rettangolo ben usufruibile, ma altre hanno la partizione muraria dei box, che può condizionare le scelte dei futuri lay-out. Diciamo che in alcune di queste costruzioni potrebbero essere allocati il bookshop del Museo, un bar ben attrezzato ma di quelli non invasivi e chiassosi (siamo in un antico convento, il visitatore deve percepirlo), qualche limitata struttura di supporto e servizio. Ma niente ristoranti, trattorie, pizzerie, paninerie, piadinerie, kebabberie e simili. E niente negozietti, bancarelle, cianfrusaglie, attività economiche pseudo-etniche, chioschi, mercatini con besassi & petassi, che giovano al singolo privato ma danno alla città un’aria da strapaese e da fiera. L’atmosfera da sagra e da luna park, soprattutto in certi periodi, è già abbastanza diffusa a Crema. Piuttosto, si potrebbe ricavare in una di queste costruzioni una sala specifica per mostre d’arte temporanee, ad esempio nella scuderia grande. Infatti, sugli attuali spazi espositivi per le arti figurative, a Crema, è meglio in questa sede limitarsi a un garbato no comment.

Il maneggio resterebbe un maneggio. E questo anche perché i cavalli e le attività dell’ippoterapia rimarrebbero ovviamente agli Stalloni, come la sede della benemerita associazione che li gestisce. E potrebbe anche essere riaperta una scuola di equitazione federale, all’inizio magari per principianti, sia con pony che con cavalli adeguati all’insegnamento equestre. L’obiezione che questo non si possa fare per ragioni sanitarie va ben valutata. Non si comprende come i cavalli per l’ippoterapia possano non creare problemi sanitari e gli altri cavalli invece crearli. Comunque, ammettiamo che si possa dare vita a una vera scuola. Anzi, ridare vita, visto che la scuola c’era e la sua scomparsa meriterebbe un articolo a parte. In ogni caso, agli Stalloni non possono mancare in futuro l’equitazione, il cavallo, la cultura del cavallo, la storia del cavallo, la pratica e l’esercizio concreto del cavallo, oltre naturalmente alle esistenti meritevoli attività di ippoterapia. E se la cosa può dare fastidio a qualcuno per ragioni di un certo tipo, parliamone. Si tenga presente che la messa in sella, i “primi passi”, i concorsini sociali non sono il business principale dei centri equestri di cospicuo fatturato.  E sarebbe la volta buona, anche a Crema, per scoprire finalmente che il cavallo e l’equitazione non sono un hobby per i riccastri spocchiosi e per i rampolli dei parvenu o dei nobilotti locali ma una vera gioia per tutti coloro che hanno testa e cuore per apprezzare un animale così importante per la storia dell’umanità, così meritevole di attenzioni, così prodigo di soddisfazioni, così vicino da sempre alla nostra specie, in guerra, nel lavoro, nei trasporti, nello sport, nel tempo libero. Basta guardare quello che succede in Inghilterra, in Irlanda, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti, in tutte le realtà civili del mondo.

Sul Museo delle carrozze, molto si è detto e scritto. Peccato che il nostro ingente patrimonio di carrozze, selle, finimenti e quant’altro rischi ormai di fare una brutta fine. Senza manutenzione, tutto si secca, si deteriora, si muffisce, si rompe. Ogni buon cavaliere sa che sella e briglia abbisognano di pulizia, ingrassaggio e cura costanti. Chissà in che stato si trovano oggi questi materiali, a partire dalle carrozze e dai finimenti per gli attacchi. Da quanto tempo il tutto giace nella polvere e nell’abbandono? Ma non è questa la sede per sollevare simili questioni. Diciamo solo che agli Stalloni deve ovviamente trovare spazio un Museo delle carrozze, oltre che di tutte le bardature e di tutto il resto (imboccature, accessori e così via), vista anche l’importanza della collezione oggi esistente. O, per lo meno, di quanto ne resterà, scampato all’incuria e ai ratti. L’importante è che non si tenti (e qualche avvisaglia in passato c’è già stata) di utilizzare l’ippoterapia e il Museo delle carrozze come lasciapassare, specchietto per le allodole, passe-partout, foglia di fico per facilitare altre operazioni speculative e manomissioni edilizie. Sia ben chiaro che un certo mantra giornalistico e mediatico sull’ippoterapia e sul Museo delle carrozze non può bastare per dare mano libera su tutto il resto.

Quanto sin qui esposto è naturalmente soltanto uno dei possibili modi di affrontare il problema Stalloni e di identificare una sua possibile soluzione. Operando seriamente, con un obiettivo definito, un senso corretto, un concetto valido, un progetto ben fatto, un metodo efficace, si può giungere anche ad altri esiti. Ciò che conta è definire bene in anticipo per che cosa ci si vuole davvero impegnare, con la massima condivisione possibile. Perché stravolgere tutto è facile, buttare lì questa o quella idea a casaccio è facilissimo, usare l’argomento Stalloni per i propri fini polemici o per i propri tornaconti personali è di una facilità estrema. Ma anche ammettendo sempre la massima buona fede di tutti, probabilmente un medico preferirebbe fare degli Stalloni un centro sanitario, un insegnante una scuola, un militare una caserma, un allenatore di calcio un campo sportivo, un sacerdote una chiesa, un costruttore un condominio, un allevatore una stalla di frisone, una maitresse una zona a luci rosse, qualcun altro un supermercato, una spa con centro estetico, un parco divertimenti a tema locale (“Tortelloland”), un impianto di termovalorizzazione, magari un tiro a segno in pieno centro, visto che l’altro poligono è bloccato da diversi mesi per questioni burocratiche. Però forse sarebbe meglio farci qualcosa che interessi davvero a tutti. E che faccia bene a tutti. Che non rovini irrimediabilmente questo bellissimo posto. Che non ne stravolga per sempre la storia, il significato, il valore. La parte riguardante il verde sarebbe fondamentale. Qualunque scelta si faccia, preservare e tutelare questa area verde, e magari aumentarla e piantumarla ulteriormente, sarebbe la miglior dimostrazione che, dopo tante affermazioni ecologiste, poi smentite dalla tolleranza del parcheggio selvaggio e impunito e dalla zona verde non casualmente “a fagiolo”, una certa politica ha gli attributi per fare per davvero una scelta verde. Anche perché il verde agli Stalloni esiste già. Basta non cementarlo, bitumarlo, asfaltarlo, parcheggizzarlo. Ma anche qui, come si è già detto, dipende dalle premesse da cui si parte.

Un aspetto che incuriosisce molto, in certe affermazioni rese da vari esponenti politici, in periodo di elezioni, riguardo agli Stalloni di Crema, è quello del “muro”. È sembrato infatti di assistere, in proposito, a una vera e propria “sindrome del muro”. Come si è già precisato in precedenza, con la fine di ogni campagna elettorale determinate esternazioni finiscono nel nulla. Però questa sindrome riferita al “muro” degli Stalloni ha avuto in passato un andamento ciclico e non ci sarebbe da stupirsi se questa strana fattispecie ritornasse a manifestarsi in una prossima tornata elettorale o addirittura prima delle votazioni regionali dell’anno prossimo. Cerchiamo di comprendere meglio questo bizzarro fenomeno, che rivela una forma di psicopatologia politico-mediatica estremamente particolare.

Cominciamo col dire che le dichiarazioni rese da esponenti politici appartenenti anche a partiti diversi indicano nell’abbattimento del muro perimetrale sulla via Mercato un’azione utile alla soluzione del problema Stalloni. Da quanto è dato sapere, attualmente non esiste un progetto ma nemmeno un’ipotesi, una proposta, un’idea sul che cosa fare dentro gli Stalloni, come farlo, quando farlo, con che denaro farlo. O meglio, esistono tutte le varie ipotesi, passate e presenti, tra loro disomogenee e spesso confliggenti, al momento sprovviste di piano d’azione, budget e timeframe. Soprattutto, il nodo della proprietà regionale è ancora tutto da sciogliere. Inoltre, i vincoli normativi e le tutele della Soprintendenza restano evidenti e cogenti. Non solo, se nelle righe che precedono si è tentato di dare almeno una definizione sintetica del problema, con i suoi conseguenti assunti fondamentali, pare invece che tale tentativo definitorio non abbia dato nelle sedi competenti alcun esito condiviso oppure, magari, non sia mai stato neppure fatto. Insomma, tutto è ancora in alto mare, da definire, da decidere, da concordare.

Eppure si afferma che il muro degli Stalloni è da buttare giù. Si leggano, da ultime, anche le interviste giornalistiche ai vari candidati nelle recenti elezioni amministrative. Non è che, per cominciare, bisognerebbe capire che cosa farci “dentro” gli Stalloni, prima di buttar giù il muro verso il loro “fuori”? Per non parlare dell’idea di qualcuno che vorrebbe abbattere il muro per “spostarlo”, così da fare in quella zona degli altri parcheggi. Una scelta green, complimenti. Alla faccia di tanti sbandieramenti ecologisti. Certo, in campagna elettorale promettere nuovi parcheggi, dopo aver fatto tanti discorsi ambientalisti negli anni precedenti, non è una novità. Siamo uomini di mondo, lo sappiamo, suvvia. Però, tornando al muro, per dirla con un personaggio salito in auge circa una trentina di anni fa, “che c’azzecca”? E qui viene il bello. Cioè, non proprio il bello, diciamo l’interessante. Perché la “sindrome del muro”, in realtà, qualcosa di interessante lascia trasparire.

Posto che prima occorre risolvere il problema vero, vale a dire rendere fruibile questo spazio, stabilire quale sia la sua migliore destinazione, rispettare pienamente la sua architettura e il suo verde (magari aumentarlo), superare i vari ostacoli giuridici, istituzionali ed economici esistenti, avere in proposito un progetto e un budget validi, essere sicuri che la popolazione condivida davvero tutto quanto, ebbene, posto che queste sono le cose da fare, qualora la definizione data del problema sia corretta, allora che senso ha partire dai piedi del discorso invece che dalla testa? Perché questa fissa del muro, questa continua elusione del problema vero, questa periodica insistenza sull’aborrito muro?

Semplice: risolvere il problema vero è molto difficile. Non è un caso che, nel merito, da decenni la politica locale non ne imbrocchi una giusta. Invece, buttare giù un muro è facile. Ma è mai possibile che si pensi veramente di affabulare i cittadini di Crema con simili espedienti dialettici? Non si sa che cosa succederà agli Stalloni. Nebbia totale. Vabbè, dai, intanto buttiamo giù il muro, poi si vedrà. Ma c’è di più. In generale, il muro, nell’immaginario psicopolitico di questi ultimi tempi, ha una valenza negativa, ha un connotato antidemocratico. I demolitori di muri sono dei benemeriti, i costruttori di muri sono dei reprobi. Lo dicono tutti, anche Mattarella, anche il Papa, anche Fedez, ormai anche i muratori si fanno chiamare in modo più smart e politically correct: sono diventati degli operatori edili. Guai ai muri. Abbasso i muri. Giù tutti i muri. Partiamo da quello degli Stalloni. Magari, intanto che lo abbattiamo, ci mettiamo a fare un po’ di brainstorming sulla destinazione di quest’area e chissà che per la testa ci frulli qualche idea.

Più in particolare, salta fuori ogni tanto il discorso, spassosissimo, della “cerniera” tra Crema Nuova e il centro storico, proprio abbattendo quel muro di cinta. Il muro degli Stalloni come il muro di Berlino. Ich bin …, eccetera. Siamo tutti cremaschi. Non importa se intra moenia o extra moenia. Quel muro non è soltanto, in generale, ideologicamente antidemocratico. È anche, nel caso specifico, topograficamente discriminatorio. Di sicuro i residenti del centro storico sono del tutto indifferenti a determinati pretesi “cernieramenti”. Quanto agli abitanti di Crema Nuova, che sono gente seria e tutt’altro che bisognosa di rassicurazioni psico-urbanistiche, su di loro queste toccatine di gomito politiche e queste strizzatine d’occhio elettorali non fanno in realtà molto effetto. Lo si sa, basta chiedere al di fuori della cerchia dei militanti di partito. Infatti, quando qualche residente di Crema Nuova deve andare in centro, non ha certo bisogno che il muro degli Stalloni venga demolito per facilitargli il percorso. È una cosa ridicola. Però la cosa interessante è comprendere che, in aggiunta alla soluzione facile (che è ovviamente una non-soluzione) del problema, in questo caso si aggiunge qualcos’altro, di ben diverso. E di molto fuorviante. Di sicuro, di non pertinente, in alcun modo, al problema Stalloni. E pertinente invece a determinate dinamiche propagandistiche.

Certo, nessuno nega che venendo da Crema Nuova un altro ingresso agli Stalloni, da via Mercato, farebbe forse comodo. Ma si può continuare ad accedere benissimo al centro storico da via Gramsci, entrando in via Verdi dall’acquedotto, oppure da via Boldori, entrando in via Verdi da via Quartierone, oppure da via Monte di Pietà, arrivando nella zona dell’edicola. Basta fare pochissimi passi in più. Oppure, se proprio si vuole, per placare una propria incurabile neuropatia murofobica, aprire a tutti i costi un varco inutile, così da sentirsi un po’ meglio, allora basta ricavare nel muro degli Stalloni una semplice porta di accesso, creando un mero passaggio pedonale. Comunque, prima di demolire o non demolire quel muro, occorre sapere di preciso che cosa si vuole fare là dentro. Altrimenti è come per i famosi parcheggi dei dipendenti degli uffici sanitari, su cui anni fa già si discettava (drenanti o non drenanti?) prima ancora di decidere se accentrare o meno quegli uffici. Lo slogan della “cerniera” e l’assalto al muro degli Stalloni non risolvono il problema, lo evitano. La “sindrome del muro” ha quindi fondamentalmente un intento elusivo. E avvalora l’ipotesi che la politica non sia, come a volte si sente dire da taluni soggetti vicini alla stanza dei bottoni, l’arte di risolvere i problemi, bensì l’arte di eluderli. In ogni caso, per tutelare in futuro l’eventuale fruibilità pubblica dell’area, i muri perimetrali sarebbero da mantenere e rinforzare, gli ingressi da controllare, l’intera superficie da vigilare, l’effettiva vivibilità per tutti da garantire. Altrimenti si finisce come con i bivacchi del Campo di Marte e dei Giardini pubblici, per non dire di altre zone cittadine. Di bronx e banlieue in formazione, a Crema, purtroppo se ne stanno già vedendo abbastanza. Cerchiamo di non trovarci un’altra area del genere proprio a due passi dalla piazza del Duomo.

E poi, se si butta giù il muro da una parte della via, per fare una vera e propria “cerniera” urbanistica bisognerebbe buttare giù anche qualche muro cortilizio privato dall’altra parte, sul fronte di via Mercato, e poi demolire pure qualche cancellata delle villette in via Manini. Se no si fa una “cerniera” soltanto con la linea di mezzeria di via Mercato, con la cancellata della Leva Artigrafiche e con i panni stesi sui mesti balconcini delle case dirimpettaie. Dall’altra parte di questa via l’unico accesso davanti al muro è via Ostaggi, che condivide col vicolo San Martino a Borgo San Pietro il primato di via meno usata della città. Per cui, è del tutto inutile buttare giù un muro da una parte se dall’altra le vie di accesso non ci sono, tolta la negletta via Ostaggi. Per questa ragione, lo slogan della “cerniera” è anche mal congegnato. Non esistono “cerniere” con la catena dentata da una parte sola. Il cursore non potrebbe chiudere. Se per i nostri pantaloni fossimo costretti a usare cerniere lampo del genere, andremmo in giro in modo indecoroso.

Ci si è dilungati sulla “sindrome del muro” solo a titolo esemplificativo, visto che di meccanismi elusivi, di bordate politiche propagandistiche e di strumentalizzazioni mediatiche elettorali sono piene le cronache locali degli ultimi decenni. Però si tratta di un esempio istruttivo, per comprendere sempre di più l’attuale stato di cose e per tentare di distinguere i possibili percorsi di soluzione del problema dai vicoli ciechi e dalle false piste. Ogni volta che il “muro” e la “cerniera” compaiono nelle dichiarazioni di taluni esponenti politici, viene da pensare alla vecchia canzone di Ivano Fossati, con qualche piccola modifica per adattare il testo alla nostra situazione:

“È la politica che gira intorno,

quella che non ha futuro,

è la politica che ha nella testa un maledetto muro”.

Lasciamo la “sindrome del muro” e giungiamo alle conclusioni. A Crema in passato è stato soprattutto l’impegno della società civile a portare a compimento certe realizzazioni importanti per la cittadinanza. Si pensi una sessantina di anni fa alla creazione del Centro Culturale Sant’Agostino o alla creazione del Liceo Classico cittadino. Ma gli esempi sarebbero innumerevoli. In campo economico, si pensi al rilancio industriale dell’ex area Olivetti. Quando la società civile si impegna, quando le forze sociali ed economiche si uniscono, le soluzioni si trovano e i risultati arrivano. A partire dalla proprietà giuridica dei luoghi da utilizzare, dal superamento dei bisticci & pasticci politici, dalla raccolta delle risorse necessarie per compiere delle imprese ritenute all’inizio impossibili. I Cremaschi sono fatti così. Dormono a lungo e volentieri, però quando si svegliano non li ferma nessuno. Vedremo. Concetto, obiettivo, progetto, metodo, budget: non lasciamo gli Stalloni alle trovate estemporanee e alle pensate superficiali. In questa sede, si è voluto, civilmente e responsabilmente, aggiungere qualcosa di più a una vicenda ricca di errori passati ma anche di opportunità future. Il tessuto sociale, economico, culturale cremasco ha una forza che a volte viene sottovalutata. E questa degli Stalloni è una grandissima sfida. Una di quelle per cui vale la pena di battersi.

Intanto, occorre ricostruire bene la storia degli Stalloni negli ultimi due secoli. La Società Storica Cremasca ha pubblicato nel 2015 un volume dal titolo “Il complesso degli ex ‘Stalloni’ a Crema. Dal convento di Santa Maria Mater Domini al Centro d’Incremento Ippico”, un testo molto apprezzato e infatti andato subito a ruba, tanto che da anni se chiede una riedizione. Quest’opera però, in realtà, si ferma all’epoca da cui si dovrebbe ripartire con una vera e propria storia del deposito Stalloni, prima austriaco e poi nazionale. Per apprezzare e difendere occorre conoscere. Ma per conoscere bisogna che sia possibile leggere, capire, informarsi. Una piccola, modesta tessera del grande e difficile mosaico da comporre a favore degli Stalloni di Crema potrebbe essere anche questa: raccontare ai Cremaschi la loro bellissima storia.

Nelle immagini, due vedute interne degli Stalloni e un paio di fotografie del muro su via Mercato.

Pietro Martini


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti