L'incontro di Giovannino Guareschi con la figlia del Re sulla strada per Cremona e la fiaba
Marco Bragazzi, nostro collaboratore e prezioso ricercatore cremonese, ha trovato in rete il giornale PittsNews stampato dall'Università di Pittsburg. E' il 1958 sul giornale viene pubblicata, in spagnolo, una favola di Giovannino Guareschi dedicata a Margherita con tanto di foto e dedica dello scrittore di Roncole nata sulla strada per Cremona. Ci siamo rivolti al nostro collaboratore Egidio Bandini, massimo esperto di Guareschi. Ecco da dove nasce la favola.
«Margherita, non dirmi che, mentre tu soffri in silenzio negletta e abbandonata, io, preso anima e corpo dai miei ambigui traffici roncolesi, non ti degno di un pensiero. Questa lettera parte con la data di martedì 23 settembre ma io, già alle undici e mezzo di sabato 20, pensavo con tanta intensità a te da non esitare a chiedere la comunicazione telefonica con Cadegigi».
È il 1958 e, mentre Giovannino Guareschi si trovava, con tutt’e due i figli, a Roncole (non ancora Verdi), la moglie Margherita (all’anagrafe Ennia Pallini) era dislocata a Cademario, nella Svizzera italiana, Canton Ticino, evidentemente in vacanza. Giovannino, però, vuole sentire la sua voce e altrettanto desidera che entrambi i figli sentano la voce della mamma, così, prenota una chiamata verso la cittadina che lui, come usava fare per tutti i toponimi, chiama “Cadegigi”. Inizia così quella che, sul n° 40 del “Candido”, si intitola “Una favola per Margherita” ed è Giovannino che finge di scriverla direttamente alla moglie, per spiegare cosa fosse successo. Accade così che, invece della chiamata dal centralino (allora si doveva per forza passare per il centralino, soprattutto in caso di telefonate verso l’estero) arriva una telefonata da Polesine parmense: una telefonata che emoziona e sconvolge a tal punto Guareschi, da fargli intimare ai figli di rendersi presentabili. «Qualcosa ci deve essere perché non ti ho mai vista una faccia così» affermò cupo Albertino. «Non era lei e la mia faccia non ha niente a che vedere con vostra madre» spiegai. «Adesso scomparite e, fra mezz’ora precisa, fatevi trovare qui vestiti. Siamo invitati a colazione.» La Pasionaria mi guardò stupita: «Vestiti?» borbottò. «Non siamo forse vestiti, adesso?» «No» affermai perentorio. «Vestiti significa presentabili».
Margherita: allo scopo di farti comprendere quanto fosse grave la situazione ti dirò che non solo mi lavai la faccia, mi pettinai e mi feci la barba, ma mi addobbai dai piedi al collo con un completo grigio, camicia pulita a tinta unita e cravatta». Cosa avrebbe potuto spingere Giovannino Guareschi ad addobbarsi come per le grandi occasioni? Da chi veniva il misterioso invito a colazione? «Allo scoccare dell’ora fissata, salimmo in macchina e navigammo verso la trattoria dell’Ongina. L’Ongina – tu non l’hai certo presente perché sei allergica alla topografia – è quel canalaccio che ti si affianca appena esci da Busseto e viaggi sulla strada per Cremona. È, in definitiva, un gran fosso che, dopo aver percorsi cinque chilometri lungo il confine tra le province di Parma e Piacenza, va a buttarsi nel torrente Arda la cui foce si apre nella riva destra del Po, a un miglio circa da Polesine Parmense. Là dove il canalaccio sta per finire il suo poco avventuroso viaggio, c’è un ponticello di legno che pare quello di Orazio Coclite: qui le due rive sono coperte da macchioni di salici, pioppette e robinie che si protendono sopra l’acqua e quasi si toccano con le cime. La trattoria che prende il nome dal canalaccio sorge a pochi passi dal ponticello e pare che la funzione principale dei canalaccio stesso sia quella di fornire l’acqua corrente necessaria a tener in vita le anguille e le carpe che attendono d’essere fritte, chiuse in capaci recipienti di legno ancorati sotto il ponticello. Margherita, ti ho fatto una descrizione pignolesca della località acciocché tu possa dare, alla scena che ti descriverò, il giusto sfondo. Acciocché risalti ancor più, ai tuoi occhi, la singolarità fiabesca di un avvenimento esploso nell’ambiente meno singolare e meno fiabesco del mondo». Ancora, comunque, Giovannino non rivela il motivo di quella estemporanea gita lungo la strada per Cremona, finché non arriva il momento cruciale: «Giungemmo alla trattoria pochi minuti prima dell’ora fissata e tutto, lì attorno, era deserto e silenzioso sotto il sole abbacinante della Bassa «E adesso, cosa si fa?» domandò la tua vezzosa figlioletta. «Si va sul ponte e si aspetta» risposi. Andammo sul ponticello di legno e aspettammo appoggiati al parapetto. Di lì a poco, s’udì il crepitare di un motore e, sbucando d'improvviso dal tunnel verde, apparve una barca con quattro persone a bordo. «Spara!» ordinai ad Albertino che subito si mise ad armeggiare attorno alla macchina fotografica. «Chi sono?» s’informò la Pasionaria, mentre seguiva distrattamente le manovre della barca. «Il Principe di Soragna, suo figlio e un giovanotto che non conosco.» «E la ragazza?» Aspettai che la barca s’ormeggiasse e poi risposi: «La ragazza è la figlia del Re». Fu un colpo inatteso per tutti: la Pasionaria rimase a bocca aperta e Alberto spalancò due oc-chi grandi come fanali: ma chi incassò peggio il colpo fui io perché appena mi sentii dire «È la figlia del Re », due lagrimucce mi piovvero sulla gronda dei baffi. Ti assicuro: se i miei baffi fossero di lamiera, quelle due lagrimucce avrebbero fatto il rumore di chicchi di grandine grossi quanto una noce». Ecco svelato il mistero: il principe Bonifazio Meli Lupi di Soragna aveva invitato Guareschi e prole all’incontro con Maria Gabriella di Savoia, ossia la “figlia del Re”, esponente della famiglia reale che, essendo di sesso femminile, aveva il permesso di rientrare in Italia. Ecco spiegato lo scombussolamento seguito alla telefonata del principe: la figlia del Re voleva incontrare quel sempre fervente monarchico che rispondeva al nome di Giovannino Guareschi e, con lui, anche i suoi figli. L’attesa dell’incontro, l’incontro stesso e i suoi postumi impedirono, così, a Giovannino di chiamare Margherita a Cademario. «Margherita, tu sai tutto di me: io non sono uno di quei monarchici che dormono avvolti nella bandiera tricolore con stemma sabaudo e, su ogni tavolino, hanno un portacenere con nodo sabaudo e la scritta «a’ da turnà»: eppure, appena ho visto apparire la figlia del Re, sono rimasto col fiato sospeso. Margherita, tu sai tutto, o quasi tutto, di me: tre anni fa, a Parigi, mi sono trovato, d’improvviso, faccia a faccia con la Lollobrigida, due anni fa, sulla via Emilia, fermata la macchina e sceso a terra per veder passare i concorrenti del rally automobilistico dei divi, accadde che una fuoriserie si arrestasse davanti a me e ne uscisse la Campagnoli; pochi mesi fa, a Salsomaggiore, quando ero nella giuria del Corso dei Fiori, mi sono trovato addirittura seduto al fianco della Bolognani: furono sensazioni forti, ma profondamente diverse e meno intense della sensazione che mi diede l’apparizione della figlia del Re. Credimi: pure non avendo interpretato personaggi bersagliereschi, pure non avendo mai partecipato al Musichiere o a Lascia o raddoppia, la figlia del Re è un Personaggio. Quando l’ho vista materializzarsi, come le fate delle favole, tra il frascame selvaggio del canalaccio, te lo confesso, Margherita, ho sentito due nodi alla gola. Quello della cravatta che mi bloccava le vene del collo e l’altro che faceva piovere sui miei baffi silvani». Così, anche a diversi giorni di distanza dall’incontro con Maria Gabriella, Giovannino non riuscì a telefonare a Margherita, visto che la “favola” della figlia del Re, continuò: «Margherita, per questo non ti ho telefonato sabato. E se non ti ho telefonato domenica è perché andai alla Rocca di Soragna per portare un libro e un disegnino alla Principessa. La Principessa aveva un altro abito ma lo stesso smagliante sorriso del giorno prima: era andata nel borgo ad ascoltare la messa e, uscendo dalla chiesa, aveva trovato ad attenderla un sacco di gente commossa e plaudente. Si lasciò fotografare e, venuto il mio turno, io mi posi al suo fianco: ma, proprio quando stavo per dire: «Altezza, ohimè, sono troppo basso», la Principessa osservò: «Sono troppo alta». Trovammo una soluzione di compromesso facendoci fotografare seduti su una panchina. E, come anche tu dovrai onestamente convenire, Margherita, seduto faccio una onorevole figura. E lunedì? Perché non ti ho scritto o telefonato lunedì? Lunedì la Principessa venne a Roncole a visitare la casa natale di Verdi e non potevo certamente mancare. Finita la visita e firmato l’ormai storico registro, la Principessa e il suo esiguo seguito entrarono nel vicino caffè che, guarda il caso, era il nostro e così io potei dimostrare la mia personale competenza nel servire bibite. Margherita, anche come barista io sono a posto: ho servito un’aranciata alla figlia del Re. Poi la Principessa volle visitare Villa Verdi e così, caricati i miei baffi sul suo piccolo spider «1100», li condusse, assieme al titolare dei baffi stessi, fino a Sant’Agata. Guida benissimo: con una sicurezza e una disinvoltura che riempirebbero di reverenza anche il più fiero repubblicano storico. Quando la Principessa ripartì da Sant’Agata era già buio e io non avevo la calma necessaria per pensare a te. Adesso che la favola è finita e io sono rientrato nella triste vita e nella tristissima Repubblica di tutti i giorni posso riprendere a pensare a te». Una delle “favole” meno conosciute di Guareschi, ma evidentemente allora piuttosto apprezzata, visto che un giornale spagnolo la pubblicò tradotta, con tanto di fotografia della principessa sulla panchina accanto a Guareschi e con tanto di autografo della stessa Maria Gabriella. Oggi il Direttore me lo ha mandato e mi è tornata in mente quella favola sulla figlia del Re. Una favola vera, come buona parte di quelle di Giovannino, con la stessa protagonista di tantissima altre favole fantastiche, quelle che ci leggevano i nostri nonni: «C’era una volta la figlia del Re…».
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