27 ottobre 2021

Le castagne, la tradizione e la storia di Cremona

Parlar di castagne a Cremona significa dire patùna, ciucaròi bianch o negher durissimi sgranocchiati da giovanissimi all'uscita da scuola, biligòtt, castagnòle, dolci che taluni associano alle s'cioùmme (leggi s'ciöme) sorta di spumiglie o meringhe ricavate dalla lavorazione di albumi e zucchero, pane o dolci torte fatto di farina di castagne.

Le castagne si gustavano semplicemente cotte in acqua, nella cenere o in “padella perforata” come assicura il Platina nel '500: la più tarda busecchina si otteneva da castagne secche spellate e bollite nel latte. Il dolce lombardo nato per la golosità dei bambini era definito anche buioc o meglio bugnocca perchè durante la bollitura tendeva a gonfiare.

Il nostro conterraneo si avventura anche in una ricetta improbabile per i nostri tempi come la torta ex castaneis che, alle castagne passate al setaccio, vuole un impasto di latte, pancetta, formaggio , uova e spezie. “Intrugli storici” che risalgono a Virgilio, poeta nostro per genitori ed adozione e che accompagnano le abili esegesi di cuochi di prestigio o non che rinnovavano nella sapienza e nel gusto sintesi lontane. Ricette a noi pervenute sono offerte ad esempio da Matilde di Canossa (1046-1115) e dai monaci benedettini, da Ildegarda von Bingen (1098–1179) , da Dante Alighieri o dal duca di Savoia Carlo Emanuele I (1562-1630) golosi di marroni. La tradizione vuole il frutto meglio se glassato per la gola , al naturale per riguardo alle ... dolorose emorroidi del duca, e ricco di prurigini per i maschi attributi o le femminili “tostole castagne” evocate da Dante. E poi da castagne, marroni e marrubbi nacquero tanti marubini, ma questa è un'altra storia ... la storia di sempre.
Filosofie che associano la castagna ai marroni, qualità tra le castagne troppo bella da essere considerata un errore di natura, un inganno svelato (fàa maròon) ma anche ad aforismi come “ tiraa fòra la castàgna còulla zanfa del gatt” che il Peri spiega riferendosi “ a chi astutamente procaccia suo intento con pericolo altrui” o “togliere le castagne dal fuoco” come racconta La Fontaine in una delle sue favole.

L'antichissimo gioco del furlòon (frullone ovvero spezie di mulinello trastullo a' ragazzi) usava una castagna trattenuta da una fune che ne facilitava la rotazione: nonni avveduti offrivano ai ragazzi per costruire il gioco, non già la buona e preziosa castagna ma il frutto del generoso ippocastano. Quest'ultimo, dal sapore amarissimo detto anche “pane dei poveri, fu introdotto in Europa da Charles de l’Écluse, che aggiunse il prefisso ‘ippo’a kastanon’, che vuol dire castagna, indicando questo frutto come cibo per cavalli. Prima della discussa ristrutturazione dei nostri giardini pubblici, proprio là dove partiva il trenino giocattolo a fianco della fontana, esisteva un enorme ed imponente albero nato quasi per essere compagno di giochi di tanti imberbi cremonesi e non solo. Il giocoso nonno Achille quel giorno intagliò opportunamente il frutto e aggiuntovi un rametto sagomato offrì a me, sorpreso per meraviglia, una surreale, somigliantissima pipa ..."Ceci n’est pas un pipe" disse alla maniera di Magritte ... forse lo disse ... ero troppo piccolo per poter esserne certo!

La PATTOÙNA (leggi patùna)

Il prefisso patho- si può far derivare da páthos “sofferenza” che è anche “affezione”. Secondo Brunetto Latini (1294) affezione è ‘moto, disposizione dell'animo’ verso la sofferenza ma anche l’affetto. Si può provare affetto e contemporaneamente dolore dai morsi della fame osservando una enorme fumante torta di castagne? Pattona o Torta o Pane fatto di farina di castagne “ è detta altrimenti Polenda” secondo il Vocabolario della Lingua Italiana dell’Accademia della Crusca. “Poi per letizia di cavalieri e dame, regalò di confetti e di pattona” (Molm.I.81). Castagnaccio è chiamata dal Burchiello(1449), “schiacciata di farina di castagne al forno, spesso con zibibbo, pinoli ecc” . Il termine castagnaccio, dolce plebeo, assumeva la denominazione ( meno volgare secondo l’Artusi,) di Migliaccio fatto con farina di castagne setacciata, ridotta a caldo con acqua a farinata ed arricchita, a seconda del censo del cliente, con pinoli, uva passa... Il composto va cotto in forno in una teglia quadrata. Il dolce tuttora quasi introvabile (nei supermercati si trova un castagnaccio assolutamente ... immangiabile) era rigorosamente venduto per le strade o dal fruttivendolo. Il

Brustolon e il Cirineo sono gli ultimi cultori della torta cremonese di castagne, con banco in centro a Cremona. L’agostiniano Marco de Fortis, in un documento olografo, nel quale cede alcuni suoi possedimenti in Castagnino, piccolo villaggio appena fuori Due Miglia, sulla strada per Bergamo osserva che: “il gran bosco de’ Castagnino ora se chiama sicco perché per malattia rubra de’ corteccia s’è siccato, i marroni più boni se trovano in sul piacentino nella Vernasca ove l’aria bona de collina preserva il cancro dello frutto ” La preparazione della Patùna cremonese, versione povera del generico castagnaccio o baldino , differisce da quest'ultimo per la mancanza di ingredienti come miele, uvetta, pinoli, e noci. La ricetta più conosciuta vuole 1/2 kg di farina di castagne setacciata; 1 l di latte aggiunto a filo, vanillina, zucchero. Fatto l'impasto si inforna a 180°C per mezz’ora.

                                                                      FESTE politiche, religiose, turistiche, ...prurigininose
Fruttidoro
(francese:fructidor) nel calendario rivoluzionario francese era il terzo dei mois d'été (mesi d'estate) corrispondente il dodicesimo mese e si accordava, a seconda dell'anno, al periodo tra il 18/19 agosto e il 16/17 settembre nel calendario gregoriano; il 29° giorno del fruttidoro era dedicato ai Marroni.. Fruttidoro nasce, nel lessico rivoluzionario francese del 1793, da una sintesi poetica in cui "i frutti che il sole dora maturano da agosto a settembre", e in cui avviene la raccolta.

San Martino
cade l'11 novembre, giorno in cui nella pianura i contadini facevano trasloco e la festa del raccolto si celebrava con il primo consumo di castagne raccolte a settembre e conservate nella “ricciaia” o nel nel “sabbione”. I lavori dei campi erano finiti, il raccolto venduto e, dopo i primi giorni freddissimi di Ognissanti e dei morti, la stagione solitamente diventava più clemente per qualche giorno durante la cosiddetta estate di San Martino. Spesso il consumo del generoso frutto per semplice nutrimento si trasformava in “ straniezza” con alchimie raccontate da Vincenzo Tanara che immagina lavorazioni con sale pepe, zucchero,succo di frutta, parmigiano che accompagnerebbero la castagna nella preparazione di frittelle e ravioli ma anche per elaborare ripieni e in questo caso l'oca ne era protagonista. Un semplice dolce nasceva dalla lavorazione di pasta di castagne cotte a bagno per una buona mezz'ora: l'abile gourmet (nel mio caso la nonna Angiolina) elaborava con zucchero e vaniglia forme a cuore che a raffreddamento ottenuto immergeva in cioccolato fuso e serviva a freddo con tanta panna montata.

Cremonesi in Vernasca

Alla fine di ottobre in Vernasca, comune piacentino feudo e contea medioevale dei Visconti, si festeggia la castagna con una importante sagra: molti cremonesi d'antan, pochi, tra chi ancora è amante delle tradizioni, raggiungevano la località e spesso si fermavano lungo la strada per approfittare dell'abbondanza del raccolto del generoso frutto. Potevi trovare verdasse o pelose, sirie, pomerigge, selvatiche, rubiette, carroni rossi, neri e marroni, murisione, pugnanti, le piemontesi Sarvai d'Oca, Sarvai di Gurg, ma soprattutto bracalle, le protagoniste della festa.
Il castagno e i cento cavalieri

Nel 1236 Federico II di Svevia, e nel 1237 di ritorno dall'impresa in Germania contro il figlio Enrico, dopo il matrimonio con Isabella d’Inghilterra,e dopo la vittoria a Cortenuova, entrò acclamato in Cremona difesa da un lato dal Po e circondata da grandi foreste di castagneti o castagnini che dalla piacentina Vernasca raggiungevano la località di Castagnino secco (ora Castelverde a nord di Cremona). Da questo momento e sino al 1250, la città, ricca di banche, industrie, artigiani e commercianti, svolse il ruolo di capitale sovrana per l'Italia settentrionale. Documenti dimostrano che l'imperatore abbia soggiornato non meno di diciotto volte nel palazzo imperiale a fianco del monastero di S. Lorenzo e contemporaneamente abbia affrontato lunghi viaggi per raggiungere il poderoso Castello Ursino a Catania da cui provenivano merci pregiate per i ricchi commercianti cremonesi.

A pochi chilometri dal castello, ubicato nel Parco dell'Etna, vive e vegeta ancora oggi il cosiddetto “Castagno dei Cento Cavalli”, albero di castagno plurimillenario, a cui è legata la leggenda della regina Isabella sposa del nostro prode. La regina e i suoi cento cavalieri vi trovarono rifugio da un temporale. Il racconto della giornata arricchito da elementi piccati, nutrita e coltivata dagli abitanti del luogo, narra della notte “avventurosa d’intensa passione” della regina con i suoi devoti cavalieri tra inenarrabili sfumature di godimenti al gusto e profumo di castagne. Mai l'Imperatore, per tutti “stupor mundi” avrebbe creduto a maligni sussurri soprattutto quando la vicenda trovava spazio all'interno di un regale castagno, simbolo di onestà, verità e dedizione amorosa... non si trattava certo di un volgare, amaro ippocastano! Si disse con guelfa e bigotta perfidia!

PROFUMO DI MARRONI

L'attuale Piazza Stradivari l'antica "Platea Capitanei" tra il XIV e il XVI secolo ospitava la torre e l'edificio del Capitano del Popolo. Venne poi chiamata "Platea Parva" da Antonio Campi e poi nell'ottocento “piàssa pìcula” per differenziarla dalla Piazza maggiore" o Platea Maior", la piazza del Comune. Un modernismo per alcuni insolente volle la piazza, in cui ancora svetta la “Torre del Capitano” decorata dalla facciata del palazzo della Camera di Commercio con marmi colorati come la bandiera bianca rossa e verde che raddoppiava il suo splendore con l'immarcescibile Palazzo dell'Adriatica. Un eyesore (obbrobrio) che si trasmise dall'epoca dei fasci alla libera epoca del boom con la costruzione della Banca d'Italia, Casa di Bianco e Sovrana, giardinetto stile condominiale. Metaforici mostruosi Baobab che il piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry immaginò a difesa di una rosa, senza profumo forse per timidezza, che sarebbe appassita sopraffatta da scelte soprattutto solo umane.

Nessuno venne in soccorso alla Piazza, si tentò un restyling favorendo la nidificazione di storni incontinenti, una “tettoia” costosissima ma assolutamente improbabile, abbellimenti con statue riciclate come un timido Monteverdi e a loro volta sostituite da uno Stradivari improbabile a detta di alcuni.

Chi cremonese arriva in Piazza, dopo essersene allontanato anni fa, non può non ricercare con occhio smarrito il luogo che fu per anni il principale e pur inconfessabile nodo d'incontri cittadini, uovo alchemico direbbe sottovoce il Trimegisto. Al centro della Piazza l'Edicola della Pinìin e della Cia e poi della Anna e della Carlìin si mostrava come luogo laico d'incontri culturali e paesani: il Corriere s'integrava al Corrierino, La Provincia di Fiorino Soldi che sognava il grande fiume, le raffinate intuizioni dialettali di Dacquati, sogni musicali di un giovane Gerelli affascinato dai misteri del concertare barocco, le riviste Grand'Hotel e Bolero Film macchine di illusioni per protagonisti convinti del Boom italico...
Al profumo Saturnino di stampa si mescolavano spesso i gorgheggi intonati di un eclettico Campanini, macellaio e tenore per solo amor dell'arte e il forte sentore di caldarroste, ciouccaroi e patuna offerte dal Cireneo, venditore di strada e forse ultimo lettore del Liber de ferculis di Giambonino da Cremona e delle sue ballottae: polpette di castagne o narrazioni ammantate solo di verosimiglianti verità?
Pare banale ora la chiosa ma va egualmente espressa: l'umile castagna nel suo baccello di spine sembra metafora di storie non raccontate, di sensi inespressi, di nostrane sintesi costrette da aromi esalati da inesauribili ricordi. 

Le castagne nella natura morta di Giacomo Ceruti detto "il Pitocchetto"

Giorgio Maggi


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