2 maggio 2022

Mauro Ferrari, il mio nome è un acronimo

Giovedì prossimo agli "Amici del Po" di Casalmaggiore alle 18,30 sarà presentato l'ultimo libro del cremonese Mauro Ferrari. Si tratta di "Il mio nome è un acronimo". Con l'autore dialogano la giornalista Rosanna Santolia e Susanna Ravelli, visionaria e progettista culturale. Mauro Ferrari per anni è stato funzionario nella nostra Amministrazione Provinciale, sfornando idee  progetti originali. Intenso, in seguito, il suo percorso come docente universitario. Ed ha scritto numerosi trattati sociologici e antropologici, insieme a libri di racconti, di poesia. 

A lui Gianvi Lazzarini ha dedicato questo scritto.                                                     

                                                                    Quasi al limite della salita

                                                                    Signore deve tornare a valle.

                                                                    Lei cerca davanti a sé

                                                                    ciò che ha lasciato alle spalle.

                                                                                        Giorgio Caproni           

 

I bellissimi versi di Giorgio Caproni invitano a ripercorrere il passato per ricercare i significati essenziali della nostra vita. La metafora spaziale usata dal poeta trova sostegno nelle concezioni di moltissime lingue che, come la nostra, intendono la parola senso sia come “direzione”, “via”, “percorso” sia come “significato. Del resto, a dirlo in modo banale, non c’è bisogno della psicanalisi a dirci quanto sia determinante il passato, a partire da quello infantile, a determinare la struttura della personalità umana.

Ciò che Mauro Ferrari “ha lasciato alle spalle” è espresso dal suo bel libro “Il mio nome è un acronimo” (edizioni Rossopietra, 2021). Evoca questo significato la struttura del libro: riflessioni sotto forma di disegni, metafore, piccole fiabe create per suscitare riflessioni in che le fruisce (spesso sotto forma di biglietti di auguri inviati per ricorrenze e festività). Attraverso il filtro della rielaborazione narrativa e delle immagini (scarne, leggere e insieme incisive, esenti da elementi decorativi) Mauro stimola a ripensare se stessi, la società, il mondo come quando il suo disegno ci mostra l’empio e sciagurato del pasto dell’uomo che compie divorando la terra.

Poi ci sono alcune “fiabine” e apologhi, scritti e disegnati, che rimandano a grandi problemi del nostro tempo, l’emigrazione – viaggi fatti da chi ha le ali tarpate e spesso tragicamente finiti a metà – la mancanza di libertà, ma anche alla necessità di assumere processi cooperativi come quelli messi in atto dalla saggezza collettiva delle api protagoniste della breve parabola di Mauro.

Ma il punto in cui il passato si lega più decisamente con il presente e il futuro, è quello che illustra il perché il nome Mauro è un acronimo. Le prime tre lettere rimandano a famigliari scomparsi da tempo. Gli ricordano che lui non viene dal vuoto, ma da legami profondi: da forti radici. E ricorda che un proverbio dice: “Nella vita, si deve avere forti radici e grandi ali.” Sappiamo che il nostro “io” comprende anche il “noi” e Mauro richiama quello della sua famiglia, senza restare focalizzato solo sulla coppia e sui figli, come oggi si tende a fare. Senza esplicitarlo, Mauro evoca i grande scenari delle generazioni e delle loro culture.

L’ultima lettera del suo nome, la “0”, viene declinata in “Ora tocca a me”, a compiere il percorso della vita assumendosi di persona delle responsabilità. Già il quadro dei suoi impegni accademici, professionali e socio-culturali, ci dicono in che direzione etica politica, civile esse vanno. Ma per spiegarlo senza appesantire il discorso, ricorro al racconto fiabesco ho predisposto per lui, “Mauro Story”.

A questo proposito, ricorda due sogni che lo hanno illuminato e gli hanno indicato il cammino. 

Nel primo, si era trovato sulla riva di un fiume, e lì ha salvato diverse persone che stavano per annegare.

Mentre, ormai esausto, stava cercando di recuperare le forze, aveva guardato per caso sull’altra riva. Vide che c’erano degli uomini che assalivano i passati e li buttavano nel fiume.

Da allora, nei suoi studi, nelle sue lezioni e in tante occasione della vita reale, Mauro ha sempre cercato di di salvare le persone in pericolo, ma si è anche occupato mi occupo molto seriamente di cosa succede sull’altra riva. A dare un suo contributo per rimuovere le cause delle sofferenze, delle calamità che ci tormentano.     

Nel secondo, lui era allievo di un grande maestro di saggezza, al quale chiese com’era l’Inferno e come il Paradiso. 

Il Maestro subito gli rispose: “L’Inferno è un luogo bellissimo, in cui una perenne primavera allieta coi suoi fiori, uccelli, animali E vi sono enormi contenitori di bevande e cibi di ogni tipo, straordinariamente gustosi e sempre pronti, caldi e freddi, come conviene a ciascuno di loro, al punto giusto…”.

Il Discepolo lo interruppe: “Che cose strane dici mai! Come può essere l’Inferno un luogo così meraviglioso? Dov’è la pena per i peccatori?”.

Il Maestro allora gli spiegò: “Sappi che per prendere il cibo, i dannati devono usare dei lunghissimi cucchiai. Questi hanno i manici talmente lunghi da non riuscire mai a portarseli alla bocca, così non mangiano mai e sono perennemente straziati dalla fame e dalla sete”.

“Dimmi ora com’è il Paradiso” chiese poi Mauro.

“Il Paradiso è tale e quale all’Inferno” rispose il Maestro.

Il Discepolo stupì fortemente e subito chiese: “Tale e quale? Ma allora qual è la differenza fra di loro?”.

“La differenza è che nel Paradiso i beati si aiutano, imboccandosi l’un l’altro, e così si saziano e si dissetano in beatitudine” rispose il Maestro.

Mauro capì che in quel sogno gli era stato dato uno straordinario insegnamento e anche quando fu sveglio decise che avrebbe cercato di seguirlo per tutta la vita.

Poi nel libro parla del suo nome. Letto come un acrostico, il suo nome pertanto evoca il radicamento alla sua storia famigliare e a quella della sua terra, ma anche la sua propensione per un mondo nuovo.

Tra le tante cose di cui si occupa, ci sono anche quelle che riguardano le persone considerate diverse da noi: per esempio, i migranti, specie quelli che tentano di fuggire da miseria, guerra, prepotenza, ingiustizia. Lui sostiene che non è solo una questione di buon cuore, di amore per il prossimo, ma anche di ragionamento, di cultura. E proprio perché ricco di spirito di solidarietà e di cultura, qualche anno fa è riuscito a risolvere lo strano caso del galletto misterioso.

Venne chiamato in una cascina per osservare un giovane gallo. Il proprietario, un suo antico compagno di scuola, gli disse: “Non ti sembra anche a te che sia ammalato? Ha un colore curioso: è tutto giallo! E poi ha un’altra cosa stranissima: non canta come i galli normali. Invece del solito chicchirichì, canta, pensi un po’, ciccilici, ciccilici…”.

Nel sentire questo, Mauro fece un gran sorriso. E spiegò: “Io so il perché questo galletto è così diverso dagli altri: è un gallo cinese!”.  

 “E allora” continuò Mauro “anche se è un pochino diverso dai nostri, devi essere contento del tuo bel galletto, che, anche se canta in lingua straniera, saprà ben farsi capire. Certamente, il suo canto saprà sicuramente svegliare tutto il pollaio, salutando con gioia e allegria il sole che nasce. E saprà sicuramente dare l’allarme quando qualcuno, volpe, faina, lupo o ladro, si avvicina al pollaio per fare del male”.

Mauro e il suo antico compagno di scuola rimasero beati a godere l’armonia di quel canto, perché tutti i galli del mondo, italiani o africani o cinesi o mantovani o napoletani cantano bene, specie se sono giovani, ben nutriti e accuditi e amati dalle belle pollastrelle.         

Nella mia fiaba, vi sono anche parti esplicitamente umoristiche, come quella in cui lui da ragazzo assai poco esperto nel gioco del calcio, chiamato a tirare un calcio d’angolo, dato che si stava giocando all’oratorio capì “calcio d’angelo”. Ma c’era un problema: Come tirano gli angeli? Alla fine, cercò di fare come riteneva avrebbero fatto loro, cioè non certo con i piedi, dato che indossavano lunghissime vesti bianche.

Prese la rincorsa, aprì le braccia, le mosse in su e in giù, come se fossero ali e si tuffò colpendo il pallone di testa. Il pallone schizzò in alto, perdendosi nel cielo, e nella terra si aprì una grandissima buca. Una valanga di erba, terra e fango coprì tutti i giocatori e tutto il pubblico. Mauro, con quel tremendo impatto con il terreno, ebbe la testa tutta scorticata, spellata. Venne curato per bene e guarì. Ma i nuovi capelli risultarono ingestibili e né pettini, spazzole, lavature, shampoo riuscirono a governarli. Mauro, da giovanotto, decise di abolire il problema: li lasciò crescere in modo selvaggio e la sua chioma scarmigliata divenne una delle sigle della sua figura e identità. Ed è così anche ora che sta diventando calvo.

Conclusione. Mauro racconta anche con i segni un mondo che vede, reale e insieme fantastico e visionario. Sa che la parola, così come la raffigurazione grafica nonché la pittura, è sicuramente una pratica fondamentale e irrinunciabile del pensare e dell’agire umano, a livello individuale e sociale. Non c’è esperienza umana che non sia raccontata, cioè rappresentata per mezzo di personaggi, relazioni e azioni e collocata in un tempo e in un luogo definito. Ogni esperienza umana è esperienza narrata o che attende di essere narrata.

Da millenni la narrazione, verbale e illustrata, ha permesso all’umanità di tracciare gli orizzonti di senso entro cui porre le grandi questioni e tentare le grandi risposte (non a caso, alla base delle principali religioni vi sono testi che si configurano come narrazioni).   

Eccolo dunque spargere attorno a sé non solo analisi sociologiche, psicologiche, ma anche poesie, racconti, accompagnati dai suoi disegni, che riescono a semplificare ma anche a completare e arricchire quello che vuole narrare. 

Quello che fa da anni è bello ma impegnativo, perché sa che oltre a essere “libera” (e liberata) sul piano psico-emotivo, la creatività deve essere “addestrata”: accanto ad atmosfere emotive, ad attività che favoriscono lo sblocco emotivo e la capacità espressiva, occorrono anche analisi ed elaborazioni intellettuali appropriate, esercitazioni, acquisizione di regole e di procedure. Connettendo l’obiettivo di una mente disciplinata con quella di una mente creativa, le attività addestrative possono essere alleggerite dal loro solito carattere formale, superficiale, meccanico. 

Si tratta di un’impresa molto ardua. Ma si ricorda sempre il detto del filosofo Sören Kierkegaard: “Non è il cammino che è difficile, è il difficile che è il cammino.” 

Gianvi Lazzarini


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