Perchè a Cremona si usa il termine "can de la bissa"?
Anche adesso nei dialetti lombardi e in alcuni piacentini, per indicare una persona potente e scaltra oppure solamente dispettosa e attaccabrighe, si usa il detto can da la bissa. La locuzione deriva dall’accostamento di “cane” al “biscione” presente nello stemma dei Visconti: un grande serpente che ingoia un uomo o un bambino.
Come si connettono questi due termini? Visconti, come molti altri signori medioevali e rinascimentali, erano soliti circondarsi da numerosi cani da guardia (probabilmente mastini napoletani). Prima di uscire all’aperto, gli araldi avvertivano la popolazione di sgomberare le strade. Come i levrieri e i segugi usati per la caccia, tutti i cani portavano al collo, come segno di riconoscimento, un collare sul quale era inciso lo stemma visconteo: un serpente, cioè la biscia.
Il modo di dire, con significato non certo benevolo, designava anche i funzionari dei Visconti, incaricati a far eseguire le leggi.
La locuzione Càan de la bissa entrò ed è rimasto nell’uso di altre zone limitrofe al lago Gerundo e al ducato di Milano. Da noi e in altre zone lombarde, l’espressione ha nel tempo assunto anche una denotazione diversa: non indica solo un referente preciso, una persona, ma serve da intercalare “neutro”, che, come “perbacco”, “caspita”, esprime una certa sorpresa a proposito di ciò che in quel momento viene detto. Vediamo ora perché il serpente che ingoia un essere umano è diventato il simbolo di Milano ed è da accostare ai Visconti. Questa origine è riferita a due leggende.
Una versione racconta che durante l’assedio di Gerusalemme, nel corso della prima crociata, Ottone Visconti, alla guida di 7000 milanesi, sconfisse in un duello il terribile nobile saraceno Voluce, che aveva come simbolo di guerra un serpente che ingoiava un uomo.
Ma la versione più nota narra che molti secoli fa un secolo un drago di nome Tarantasio giunse nei dintorni di Milano trovando dimora in una grotta presso il lago Gerundo. Si riteneva che tale mostro fracassasse le barche e divorasse le persone, soprattutto i bambini. Uberto Visconti, leggendario capostipite dei Visconti, affrontò e sconfisse il mostro (ma secondo altre leggende a uccidere il mostro sarebbero sarebbe stati perfino san Cristoforo e Federico Barbarossa). Volendo immortalare l’evento, lo stesso Uberto si fece riprodurre il mostro sullo scudo e sull’elmo. I Visconti diventarono poi signori di Milano dal 1277, trasmettendo così il simbolo alla città e all’intero ducato. Gli Sforza, imparentatisi con i Visconti, una volta al potere mantennero questo simbolo.
Il lago Gerundo si suppone fosse un vasto specchio d'acqua, a regime instabile, situato in Lombardia, a cavallo dei letti dei fiumi Adda e Serio. In questo territorio, c’erano giacimenti di gas metano: nel 1944 a Caviaga, frazione di Cavenago d'Adda, nel Lodigiano, in piena zona Gerundo, vennero sfruttati dal 1952 dall’Agip. Anche l’alito pestilenziale del drago ha una spiegazione scientifica: era dato dalla presenza di gas naturali dovuti al terreno formato da depositi alluvionali stratificati, costituiti da sedimento paludoso molle con residui fossili.
Io mi ricordo che agli albori del 1950, a Cremona e nell’intero cremonese si organizzavano comitive per assistere all’incendio a uno dei pozzi di metano nei pressi di Casalpusterlengo: forse per l’eccessiva pressione, il 14 marzo 1949 esplose violentemente. Bastò una scintilla per farlo incendiare e farne un vulcano. Il getto del gas arrivava a parecchie decine di metri e il frastuono simile a quello della fiamma ossidrica, ma moltiplicato per centinaia di volte, si udiva ad alcuni chilometri di distanza. Solo tempo dopo, con l’aiuto di famosi esperti statunitensi, l’incendio venne domato.
Tornando a Tarantasio, per secoli le esalazioni naturali e gli incendi fecero pensare all’azione distruttiva di un drago. Si riteneva che già solo con il fiato Tarantasio provocasse pestilenze e facesse morire le donne di febbri (è chiaro il riferimento alle febbri malariche che molto probabilmente la palude provocava). Il racconto fantastico colloca il mostro soprattutto nel lodigiano, ma fa riferimenti anche al territorio cremonese. Per esempio, colloca in una chiesa di Pizzighettone resti del drago.
Ma l’immagine del drago Tarantasio è ancora oggi importante: è presente nel logo dell’Alfa Romeo, del club Inter, e ha dato origine al simbolo della rete televisiva Canale 5 (anche se in forma addolcita: in bocca ha un fiore)
Ma c’è di più. Pochi sanno che la leggenda di Tarantasio fu fonte di ispirazione per lo scultore Luigi Broggini per ideare l'immagine del cane a sei zampe, marchio simbolo dell’Agip e poi dell'Eni, ancora oggi, con poche varianti, ancora usato da questa azienda.
Secondo l'interpretazione ufficiale della società, le sei zampe del cane simboleggiano le quattro ruote dell'automobile e le due gambe del guidatore. Ma figura di questo fantacane evoca anche quella di un magico drago, sia per la forma mostruosa sia, soprattutto, per la fiamma di rosso fuoco che esce dalla bocca. Il drago-cane di Broggini inizialmente emetteva la fiamma in avanti. Immagine che esprimeva troppa aggressività: poteva sembrare che avesse l'intenzione di bruciare qualcuno. Con la correzione, mostra energia e forza, ma ha abbandonato l’idea di distruggere persone e cose. Forse si limita a inquinare solo l’ecosistema…
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commenti
Stefano G. Loffi
12 maggio 2021 21:02
Sapevo che per controllare il contenuto di zucchero nel vino subito dopo la pigiatura, se ne metteva un poco in una ciotola di legno, facendola ruotare così che il vino risalire sino al bordo. Dalla forma delle 'bisce' che si formavano scendendo il vino verso il fondo si poteva dedurre il contenuto di zucchero e dunque la qualità del vino, che, se buona, veniva additato come un "Can de la bisa": potrebbe essere?
Pietro
13 maggio 2021 19:21
...E CAN DE LA BECA?????