Quel pasticcio della Giulietta cremonese nella Divina Commedia
Non finisce mai di stupire il rapporto tra Cremona e Dante. Anche e soprattutto perché va a toccare uno dei miti universali: l’amore infelice di Romeo (Montecchi) e Giulietta (Capuleti); una passione scolpita nell’immaginario universale da William Shakespeare con la sua tragedia Romeo e Giulietta scritta tra il 1594 e il 1596. Ebbene la vicenda è quanto mai straordinaria e va sicuramente raccontata in questo anno di celebrazioni dantesche.
L’inizio di questa incredibile storia parte dal VI Canto del Purgatorio. I canti numero ‘sei’ della Commedia sono considerati, com’e’ noto, quelli politici. Virgilio e Dante sono nell’anti purgatorio: è il luogo dove le anime distratte da cure terrene e non attente alle esigenze spirituali, attendono di poter iniziare la loro espiazione. Qui incontrano il lombardo Sordello: uno dei grandi poeti trobadorici italiani. L’abbraccio tra Virgilio e Sordello, entrambi mantovani, permette al poeta di introdurre il tema dell’amore per la patria e di scagliare quindi la potente invettiva contro l’Italia del suo tempo. Un territorio lacerato da scontri e battaglie. Imbrattato dal sangue che scorre abbondante per strade e contrade. Faide durissime tra nuclei familiari schierati o con i Guelfi o con i Ghibellini, come quella descritta dal verso 106 Vieni a veder Montecchi e Cappelletti. Dei Montecchi molto: erano una potente famiglia ghibellina veronese. Dei Capelletti, guelfi e oppositori dei Montecchi a Verona, non c’è però alcuna traccia. Ovvio e naturale: i Capelletti o Cappelletti, furono sì guelfi, ma erano una famiglia di Cremona. ‘Uomin sanza cura’ li chiama Dante; sempre in zuffa con un’altra famiglia cremonese dei Barbarasi o Troncaciuffi. Dispute che alla famiglia, costarono la messa al bando da Cremona per mano di Uberto Pallavicino. Ecco allora che nasce il mistero di questo accostamento. Ne dà una spiegazione Giulio Ferroni, professore emerito della Sapienza di Roma , nel suo volume L’Italia di Dante (La Nave di Teseo 2020, p.1003).
“Si può pensare che, per sfuggire alla comicità di una zuffa tra nomi riferiti a opposto trattamento di pelosi filamenti [Barba contro Capelli] che sarebbe stata incongrua nel contesto dell’invettiva, Dante metta i guelfi cremonesi a fronte dei ghibellini veronesi”. Fin qui il poeta toscano a cui in vita gli era arrivata l’eco della ferocia dei due gruppi familiari collocati su sponde politiche opposte, ma in città diverse. Mai però il creatore della Divina Commedia avrebbe immaginato che, cento anni più tardi, Luigi Da Porto, sconosciuto novelliere vicentino vissuto tra quattro e cinquecento in Veneto, si ricordasse di quei versi, e li utilizzasse per costruisci sopra la Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti; cioè la vicenda di Romeo e Giulietta. Da Porto, certo dell’appartenenza veneta dei Montecchi essendo di quelle zone, non si curò di indagare però sull’origine dei Capelletti e diede per scontato che fossero anche loro di Verona. Non fece però, come si direbbe oggi, un semplice copia incolla del testo dantesco. Adattò un po’ personaggi e interpreti e, per non saper né leggere né scrivere, trasformò il nome Capelletti in Capuleti. Ma anche Da Porto non immaginava che la sua Historia potesse essere tradotta a Venezia e finire così nelle mani proprio di Shakespeare insieme ad altre versioni, più o meno note, della stessa vicenda.
Il Bardo prese per buona la versione di Da Porto e ci costruì quella tragedia che tutti conoscono come Romeo e Giulietta dando vita a una storia mai esistita dove Romeo era sicuramente un Montecchi di Verona e Giulietta una Capelletti di Cremona. Bello da pensare, purtroppo solo frutto di fantasia e di un pasticciaccio letterario.
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commenti
Gregorio Grasselli
14 aprile 2021 07:47
Ricordiamo che:
- Luigi Da Porto conobbe personalmente i discendenti della famiglia Montecchi espulsa da Verona, ossia i Monticoli di Udine, infatti li cita espressamente nella sua novella;
- la trasformazione da Capelletti in Capuleti non si deve a Da Porto ma alle traduzioni (prima in francese - Capellet - poi in inglese - Capulet) che portarono la novella in Inghilterra. Non si sa perché, nel ritornare in Italia, il cognome rimase Capuleti. Qualcuno nell'800 ci provò, a tradurlo in Capelletti, ma con scarso successo...