Cecilia Bartoli canta il dramma di Orfeo per il Monteverdi Festival. Sarà la versione di Parma di Gluck del 1769, una prima italiana
Di certo la favola di Orfeo è la ‘fabula in musica’ che sancì il trionfo del ‘Divin’ Claudio sullo scenario non solo delle corti del Nord d’Italia, ma nell’intera Europa. E portò al massimo splendore l’iniziale capolavoro di Angelo Poliziano che, proprio a Mantova, aveva trionfato quasi due secoli prima.
E' per questa contiguità di temi narrativi che il Monteverdi Festival torna sul tema del mitico ‘cantore’ proponendo un’altra versione entrata nella storia del melodramma: ovvero quell’Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck, su libretto di Ranieri de’ Calzabigi.
Lo propone la sempre incredibile Cecilia Bartoli, sicuramente uno dei mezzi soprani più coinvolgenti nell’esecuzione di questo repertorio settecentesco. Nello spettacolo Cecilia Bartoli, per il Monteverdi Festival in programma mercoledì 11 giugno al Teatro Ponchielli (ore 20), veste proprio i panni di Orfeo. Con lei Mélissa Petit, nelle doppie vesti di Euridice e Amore; Gianluca Capuano dirigerà il complesso "Les Musiciens du Prince di Monaco"; Jacopo Facchini sarà il maestro del coro.
La Bartoli, per questa performance cremonese, ha scelto un vero e proprio gioiello che riporta nelle nostre terre, nella vicina Parma. L’opera che verrà rappresentata non è la versione dell’Orfeo ed Euridice andata in scena a Vienna nel 1762. E’, invece, quella che, nel 1769, Gluck inserì ne Le feste d’Apollo: opera in tre atti, il cui terzo altro non era che una rivisitazione dell’ Orfeo del 1762, adattata alla corte parmense. Si tratta di una prima italiana, rivisitata per i complessi disponibili alla corte di Parma. L'ouverture era tratta dal Telemaco composto del 1765.
Gluck si recò a Parma con questa sua opera in occasione delle celebrazioni per le nozze del duca Ferdinando I di Borbone e dell'arciduchessa Maria Amalia d'Asburgo-Lorena. Le prove presero il via tra il febbraio e l’aprile del 1769, ma la rappresentazione slittò al 24 agosto 1769. Il matrimonio era stato rinviato a causa della morte di papa Clemente XIII. Protagonista di quella rappresentazione un nome notissimo del teatro d’opera della seconda metà del Settecento: Lucrezia Agujari detta La Bastardella. Cantante apprezzatissima da Wolfgang Amadeus Mozart che ne descrive le caratteristiche in una famosissima lettera dopo averla conosciuta nel suo primo viaggio in Italia, proprio a Parma.
Le feste d'Apollo sono costituite da un Prologo su libretto dell'erudito Carlo Gastone (o Castone), che ha carattere esclusivamente celebrativo per il matrimonio reale. Da un primo atto Bauci e Filemone con la poesia di Giuseppe Maria Pagnini. Ed è la rievocazione di una delle tante Metamorfosi narrate da Ovidio. L’atto secondo è Aristeo su libretto di Giuseppe Pezzana, un mito narrato nelle Georgiche di Virgilio. Fu scelto per la sua connessione con Orfeo: Aristeo era stato considerato il colpevole della morte di Euridice, promessa sposa di Orfeo. La bella ninfa era dovuta scappare nei campi per sfuggire alle morbose attenzioni di Aristeo e lì era stata punta, mortalmente, dalla vipera.
Poi Orfeo e Euridice con la famosissima Aria: Che farò senza Euridice? Brano che ha reso quest’ opera immortale.
LA TRAMA
Scena I. La tomba di Euridice. Orfeo e un coro di ninfe e pastori piangono la morte dell’amata moglie Euridice. Orfeo canta il suo dolore e poi decide di voler riportare indietro Euridice dalla terra dei morti.
Scena II. Scena immutata. Appare Amore. Il dio riferisce a Orfeo che Zeus, mossosi a pietà per le sue sorti, gli permetterà di scendere nell’Ade, incantare le Furie con il suo canto e salvare Euridice. Ma se dovesse voltarsi a guardarla durante il viaggio di ritorno, la perderà per sempre.
Scena III. Un’orrida grotta vicino alle rive del fiume Cocito. Dopo una violenta introduzione orchestrale, si sente la musica della lira di Orfeo che si avvicina. Le Furie cantano e danzano all’impazzata e Orfeo cerca di calmarle. Alla fine, ci riesce e le Furie gli permettono di attraversare l’Ade per raggiungere l’Eliseo.
Scena IV. I Campi Elisi. Gli abitanti cantano la loro gioia di trovarsi nella terra dei beati. Orfeo entra, decantando la bellezza del luogo; le ombre elise gli dicono che presto Euridice gli sarà restituita. Euridice viene fatta entrare e Orfeo la conduce via senza volgersi a guardarla.
Scena V. Una grotta oscura di una landa desolata, che degrada dall’Ade. Orfeo conduce Euridice per mano senza guardarla. Euridice non riesce a comprendere lo strano comportamento di lui e richiede spiegazioni. Quando il semidio non riesce a proferire parola, lei si spazientisce. Incapace di contemplare la sofferenza della sposa, Orfeo si volta verso di lei, che però si accascia subito a terra e muore. Orfeo lamenta la sua morte risoluto a togliersi la vita per accompagnarla ai Campi Elisi
Musicologo
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