7 giugno 2022

I monumenti scomodi e la statua di Garibaldi a Crema

È una presenza strana, ormai, quella dei monumenti nelle nostre città. Sono statue di marmo o di bronzo, poste su basamenti che spesso recano altre sculture, fregi, motti, dediche riguardanti eventi lontani, spesso sconosciuti ai passanti frettolosi e distratti. Forse la loro è una presenza non solo strana ma anche estranea, visto che oggi la società è molto diversa, in parecchi casi del tutto opposta, rispetto a quella che esisteva al tempo in cui quei monumenti venivano edificati, compresi, apprezzati. Questo vale almeno per i monumenti storici, tradizionali, visivamente percepibili, a livello cognitivo, nelle loro forme estetiche. Si tace qui dei monumenti recenti, delle varie “installazioni” e “performance” odierne, delle esternazioni creative di certi virtuosi della stupefazione popolare, delle opere di taluni artistici fantasisti dell’originalità a tutti i costi. Se ne tace per decenza lessicale e, come si diceva un tempo, per carità di Patria, anche se capita a volte di imbattersi in qualche rara eccezione. I monumenti, quelli veri e risalenti al passato, ormai dicono poco a quasi tutte le persone che li guardano di sfuggita e probabilmente sono in molti a chiedersi quale sia il senso di questi vecchi manufatti, in una società diventata completamente differente, che non riconosce più i loro significati originari. Questo vale non solo per la monumentalità più evidente, come ad esempio quella delle statue poste nelle piazze, ma anche per quella espressa nei numerosi busti di personaggi vari, nelle lapidi poste in molti luoghi pubblici e talvolta anche privati (a Crema diversi palazzi nobiliari ne conservano di pregevoli), in tutte quelle altre forme artistiche che hanno avuto l’intento di fissare in modo stabile nel tempo la memoria di una figura di rilievo, di un avvenimento importante, di qualcosa ritenuto meritevole di essere ricordato. Ecco, appunto, questo è il problema. La memoria non c’è più, nessuno o quasi nessuno si ricorda, tutto questo è nel dimenticatoio. E forse non è nemmeno un problema. Oggi si vive senza aver bisogno di avere memoria, di ricordare. Forse avevano ragione i futuristi, già un secolo fa.

Ce l’hanno ripetuto in continuazione che viviamo in una società “liquida”, che tra l’altro potrebbe essere ormai definita addirittura “gassosa”. Che oggi esiste solo il presente, l’immanente, il qui ed ora, senza più un passato o un futuro. Che la velocità del divenire e l’immediatezza dell’obsolescenza di ogni cosa e situazione sono diventate la regola dell’esistenza, la misura del mondo. Ecco che i monumenti sono dunque contradditori con la nostra realtà odierna, con la nostra vita, con il nostro modo di essere. Sono fuori tempo, sono fuori gioco, sono sbagliati. Abbiamo nelle nostre piazze qualcosa di solido, stabile, fermo, duraturo, non qualcosa di liquido o gassoso, abbiamo qualcosa di non istantaneo, non volatile, non effimero. I monumenti sono qualcosa che rappresenta fatti, cose, storie, uomini molto differenti da ciò che oggi ci circonda, da ciò che oggi noi siamo diventati. Forse è anche per questo che ogni tanto i monumenti delle nostre città vengono messi in discussione, attaccati, qualche volta rimossi, spostati, abbattuti. Certe insofferenze e determinate opposizioni si possono spiegare anche con una mancanza di sintonia storica, con una perdita di riconoscimento dovuta al mutare delle epoche e degli uomini. È successo pure a Crema, in anni recenti, e forse la contraddizione tra questi reliquati di un mondo scomparso e la nuova città di oggi andrebbe meglio compresa.

Ovviamente, anche a Crema, quando si sono attaccati questi monumenti, quando si è tentato di trasferirli in luoghi secondari o periferici, quando si è cercato di impedire il loro restauro, quando si sono combattuti i progetti di una loro ricollocazione dopo che qualcuno li aveva distrutti o gravemente lesionati, gli argomenti usati sono stati di solito più immediati e specifici. Ad esempio, si sono utilizzati argomenti legati a qualche significato ideologico strumentale, a qualche beneficio di plateatico o di business spacciato per fruibilità sociale, a qualche tentativo di captatio benevolentiae politica, magari in periodo puntualmente elettorale. Uno dei leitmotiv è stato quello del “togliere l’ingombro” del monumento per facilitare la fruibilità di quegli spazi cittadini. Uno dei refrain è stato infatti quello di dare maggiore spazio alle attività commerciali e ludiche, intese come volano privilegiato del nostro benessere economico, sociale, civile. E si tratta di ragioni tanto concrete quanto reali. Però, a pensarci bene, probabilmente c’è qualcosa di più profondo, forse non sempre consapevole, che accomuna tutti questi solleciti cantori del bene pubblico commerciale al posto dei monumenti “che non interessano a nessuno”, tutti questi volonterosi orchestrali della vivibilità urbana, della festa popolare, della bancarella e della sagra, tutti questi solerti zelatori di una città dedicata all’umanità transeunte, al parcheggio e al parchimetro, alla tortellata come summa culturale e al mercatino come mito collettivo. 

Alla radice di questi comportamenti c’è probabilmente, in aggiunta alle strumentalizzazioni ideologiche, al business commerciale e agli interessi elettorali, proprio quella estraneità, quella mancanza di sintonia storica, quella assenza di riconoscimento che rendono oggi i monumenti cittadini del tutto fuori tempo e fuori luogo rispetto alla stragrande maggioranza dei cremaschi attuali, alla loro vita e alla loro società odierna. Certo, un motivo può essere che i novemila o i diecimila cremaschi di uno o di due secoli fa, quando la città non comprendeva i comuni limitrofi e la forte immigrazione era ancora lontana, sono diventati gli oltre trentaquattromila di oggi. E che i cremaschi effettivi, secondo la vecchia regola di almeno due nonni nativi cremaschi su quattro, si contano oggi non a migliaia ma a centinaia. Tuttavia, non sono soltanto questi i motivi della perdita così totale di sintonia e di riconoscimento rispetto al proprio passato. Non bastano i fatti, i dati, i numeri incontestabili della demografia a spiegare questa completa perdita della Memoria. Perché l’estraneità del nostro passato non riguarda soltanto i monumenti ancora esistenti nelle piazze cittadine. Riguarda molto di più. Il motivo principale di questa morte della monumentalità storica, come si è già cercato di dire, è che è cambiato, del tutto e per sempre, il nostro mondo. E nel mondo attuale questi monumenti, per quasi tutti, quasi sempre, non hanno più senso. Lasciano indifferenti nella migliore delle ipotesi. Altrimenti sono scomodi, fastidiosi, antipatici, da togliere di mezzo senza farsi troppi problemi. È il concetto stesso di “monumento”, così fisso e stabile, a non avere più senso, in una realtà a scomparsa quotidiana e basata sull’istante. Del resto, anche le neuroscienze e la biogenetica ci confermano che siamo solo sistemi di dati mossi da algoritmi, cioè da altri dati di tipo funzionale. Siamo un palinsesto su cui degli sconosciuti monaci, ipercinetici e compulsivi, scrivono e cancellano in continuazione a grande velocità, senza che resti traccia degli scritti precedenti. Apprezzare un monumento implica avere un passato e un apparato memoriale, due elementi che l’attuale fase evolutiva della nostra specie non possiede più.

Fanno eccezione quei pochissimi cittadini che ancora vedono in questi monumenti qualcosa, un significato, un valore, un legato. Ma si tratta, come si è ben compreso, di cremaschi in via di estinzione. Ogni tanto qualcuno riesce a restaurare una statua. Qualcun altro riesce a spostare un busto da un chiostro in una piazza, per renderlo più visibile. Qualcuno c’è ancora. Ma l’impressione è quella di un fin de race. In base alla legge della maggioranza, in base alla democrazia del numero, hanno quindi ragione, in termini di congruenza rispetto ai propri tempi e ai connotati storici del momento, coloro che attaccano i monumenti e ne tentano l’allontanamento dal centro città, proprio perché, a volte inconsapevolmente, sono i facitori e gli araldi del nuovo mondo attuale, della modernità incompatibile col passato, della gassosità, dell’estemporaneità, della fugacità dell’oggi, rispetto alla marmorea o metallica staticità e fermezza dei monumenti cittadini. Sono gli ambasciatori del nuovo che avanza, contro i monumenti ormai senza senso e valore, contro la loro mole obsoleta e ingombrante, da rinchiudere in qualche polveroso magazzino o tutt’al più da confinare in qualche periferia dove le incomode statue del passato non tolgano più spazio all’happy hour e non siano più d’intralcio alla movida.

L’esempio di Crema, con le contrarietà al riposizionamento del monumento di Vittorio Emanuele II e al mantenimento in loco del monumento ai Caduti, è in tal senso significativo. Si vedano in proposito gli articoli “Quella statua di Vittorio Emanuele II di Crema”, pubblicato l’11 gennaio 2022, e “L’Arciere di Crema”, pubblicato il 29 gennaio 2022. La “guerra al Re”, in un caso, e il tema dei “Caduti scaduti”, nell’altro, hanno riempito le cronache locali, i media cittadini, le discussioni e le polemiche per lunghi periodi. Basta rileggere gli articoli di giornale, gli interventi sui blog, le varie esternazioni di cui qualcuno ha tenuto buona nota, per ricordarsene subito e bene. Il fatto che questi due monumenti siano attualmente ancora al loro posto non significa che ci resteranno. Il nuovo avanza ed è sempre possibile la loro sostituzione con nuovi parcheggi aggiuntivi, ulteriori spazi di plateatico commerciale, maggiori metri quadrati calpestabili dal nomadismo popolare itinerante, attivo soprattutto nelle ore serali e nei fine settimana, in quella che sembra ormai destinata a diventare, senza troppe distinzioni tra le varie consorterie di partito, una città luna park. Ovviamente, il fatto di essere parte di un territorio che è il secondo più inquinato d’Europa, non è un argomento di grande interesse. Con il particolato, è meglio fare come una volta si faceva con la mafia. Non interessarsene mai e, se qualcuno ne parla, dire che non esiste. Mettersi contro le polveri sottili e i parcheggi fa perdere voti.

A Crema i principali monumenti storici non sono però solo due, quello dedicato a Vittorio Emanuele II e quello dedicato ai Caduti. Sono tre. E il terzo è dedicato a Giuseppe Garibaldi. Esistono poi in città, come si è detto, molti busti, lapidi e altri esempi di monumentalità storica, che costituiscono un patrimonio artistico diffuso e variegato. La stessa storia di Crema ha favorito questa dislocazione di beni culturali e di questa monumentalità distribuita, non solo negli edifici pubblici ma anche in vari palazzi e magioni del centro storico di origine aristocratica, per non parlare delle opere che si trovano in molte ville nobiliari poste in località più o meno vicine alla città, un tempo meta di villeggiatura familiare. In ogni caso, resta il fatto che, anche per evidenza visiva collettiva, sono queste tre statue, quella del Re, quella dell’Arciere e quella del Generale, a costituire il patrimonio monumentale cittadino più facilmente percepibile dal pubblico e di impatto più immediato per tutti i passanti, cremaschi o visitatori, senza nulla togliere ai busti, alle lapidi e agli altri numerosi manufatti artistici posti sotto i portici del Palazzo Pretorio, nei chiostri del Sant’Agostino o in altri luoghi sparsi per la nostra città.

Garibaldi è il personaggio risorgimentale (e forse non solo risorgimentale, almeno qui in Italia) al quale è stato dedicato il maggior numero di monumenti, in buona parte negli anni di poco posteriori alla sua scomparsa ma poi anche nei decenni successivi, in moltissime città della penisola. In tutte le regioni italiane, non si contano infatti i centri urbani che in poco tempo, dopo aver saputo della sua morte, si organizzano per procedere con una raccolta fondi, per stabilire una committenza artistica di spicco e per progettare nelle proprie piazze o vie una statua, magari a cavallo, in suo onore. Anche le città intorno a Crema edificano un monumento in sua memoria: basti pensare a Milano, Bergamo, Brescia, Cremona, Piacenza, Lodi, così come ad altri centri minori intorno a noi, ad esempio Soncino e Soresina. Sulla monumentalistica in onore di Garibaldi, le fonti e la letteratura sono sconfinate. Basti qui fare cenno, per motivi di spazio, al volume “Garibaldi nel bronzo e nel marmo”, a cura di Cristina Beltrami, Giovanni Carlo Federico Villa e Anna Villari, 2012, Cinisello Balsamo - Milano, Silvana Editoriale. Anche sulla monumentalistica risorgimentale in senso più generale, quindi riferita pure ad altri personaggi e ad altre imprese di quel periodo storico, la quantità dei testi a disposizione è sterminata. Ci si limita, sempre per motivi di spazio, a citare solo due opere: riguardo alla Lombardia, “La memoria in piazza. Monumenti risorgimentali nelle città lombarde tra identità locale e nazionale”, 2012, Milano, Effigie Edizioni; e “Scolpire gli Eroi. La scultura al servizio della memoria”, a cura di Cristina Beltrami e Giovanni Carlo Federico Villa, 2011, Cinisello Balsamo - Milano, Silvana Editoriale, anche in riferimento alla mostra del 2011 presso il Palazzo della Ragione a Padova.

A Crema, negli anni che seguono la morte di Garibaldi a Caprera il 2 giugno 1882 (era nato a Nizza il 4 luglio 1807), la maggioranza dei cittadini considera ormai da tempo il nizzardo come un Eroe del Risorgimento e come un Padre della Patria. Non tutti però ne danno un giudizio positivo, per ragioni a volte diverse, ad esempio per la propria stretta fede sabauda rispetto a quella repubblicana di Garibaldi, oppure per motivi convergenti su un punto allora molto dolente, anche se oggi abbastanza poco sottolineato in certe celebrazioni pubbliche collettive italiane: quello dell’anticlericalismo di Garibaldi, espresso sempre con contenuti molto forti e con modalità a dir poco sferzanti. Che anche a Crema sia giusto erigergli una statua, non è in discussione sin dalla notizia della sua scomparsa. Tuttavia non sono pochi i tiepidi, i nicchianti, coloro che per ragioni religiose stanno a guardare, a volte con dissimulato disappunto, lo sviluppo di questa iniziativa in onore del Generale. In Italia, in quei momenti, queste resistenze e perplessità sono del tutto minoritarie, però ci sono. A Crema non è difficile ricostruire, dalle cronache del tempo, dalle vicende e dai personaggi allora in campo, i malcelati portatori di questa riserva mentale e di tale cautela celebrativa, soprattutto in ambito cattolico.

Dobbiamo tenere ben presente quel momento storico, nel quale esisteva una frattura molto grave tra le autorità istituzionali del nuovo Stato italiano e le gerarchie religiose, private dei poteri temporali e delle facilitazioni ecclesiastiche precedenti. Per di più, Garibaldi aveva fatto di tutto per aumentare questa frattura. Basti pensare a certi suoi comportamenti pubblici, a talune sue prese di posizione politiche, ai suoi incarichi massonici di primo piano. Oppure anche, più semplicemente, al Garibaldi autore di testi anticlericali. È oggi abbastanza dimenticato e sconosciuto, probabilmente a ragione, il Garibaldi romanziere e poeta, mentre le sue Memorie ogni tanto fanno ancora timidamente capolino nelle librerie. Non era un uomo di penna, e lui lo sapeva. Difficile, nella storia degli Eroi, trovarne di abili sia con la penna che con la spada, sia con il calamo che con il fucile. Ce ne sono pochi, pochissimi. Ammesso che gli Eroi, forse non casualmente avversati dalla moderna filiera dei Gobetti e dei Brecht, dagli zelanti propalatori della retorica dell’antiretorica, possano ancora essere ricordati in un mondo come il nostro, nel quale gli Eroi suscitano sarcasmo e l’Eroismo non è smart, fancy, trendy.

Garibaldi scrisse il suo primo romanzo, piuttosto gramo letterariamente ma oggi involontariamente spassoso per il contenuto, soprattutto con l’intento di raggranellare un po’ di soldi, visto che tra il 1866 e il 1868 era a corto di quattrini, cosa che gli accadeva spesso, contrariamente a quanto succedeva ad altri padri nobili risorgimentali. A proposito di critica delle gerarchie clericali, se Dante, nel mettere quattro papi all’inferno e due al purgatorio, abbina al proprio giudizio di (de)merito un’arte poetica indiscussa, Garibaldi invece, ad esempio in “Clelia, il governo dei preti”, pubblicato nel 1870, si conferma prosatore tanto polemico quanto mediocre, anche se, come si è detto, diversi brani sono, letti oggi, non drammatici come era nelle intenzioni del romanziere ma, francamente, piuttosto esilaranti. D’altra parte, ricordiamoci che l’autore di questo libro definiva Mastai Ferretti un metro cubo di letame, cosa che ai nostri giorni nessuno oserebbe fare nei confronti del sommo pontefice in carica.

Tutto questo per dire che non pochi Padri della Patria risorgimentali, a partire da Garibaldi, erano sintonizzati su questa lunghezza d’onda riguardo alla politica ecclesiastica e che l’unità e l’indipendenza dell’Italia furono possibili grazie, in buona misura, anche a loro. Non è certo un dettaglio, e in effetti ci vollero settant’anni, dal 1859 al 1929, per risolvere questa lacerante frattura religiosa, per porre fine a una vera e propria guerra politica, economica e culturale interna al nuovo Stato nazionale, soprattutto a partire dall’avvento della Sinistra storica nel 1876, con un’operazione conciliativa che, piaccia o non piaccia, deve parecchio all’allora “concordatario” Capo del Governo. Per cui, quando Garibaldi a 75 anni muore, per una paralisi della faringe che gli impedisce di respirare, è anche per questo suo essere laico e antipapalino che viene pianto, commemorato, celebrato da moltissimi italiani di quel tempo, con manifestazioni di lutto collettivo, con commosse cerimonie rievocative, con innumerevoli monumenti realizzati in suo onore dai migliori scultori del momento, eretti in ogni parte d’Italia e anche all’estero. Ma è per le stesse ragioni che i suoi indubbi meriti militari e più in generale patriottici sono per molti italiani attenuati se non anche annullati: diventa difficile per un cattolico credente e praticante, un attributo allora molto diffuso in Italia, celebrare un personaggio che dichiara di considerare come miglior “rimedio ai preti” una buona carabina. Certo, poi alla fine tutti comunque plaudono alle sue imprese e al suo ruolo determinante ai fini dell’unità e dell’indipendenza nazionali. Perché Garibaldi, quando è venuto a mancare, era già da tempo un vero e proprio mito popolare, non solo sul territorio italiano ma anche in diversi paesi e continenti. Era, appunto, l’Eroe dei Due Mondi.

Il monumento, in ogni caso, viene deciso dalla municipalità di Crema e l’opera è commissionata a Francesco Barzaghi, che in città era già stato autore del monumento a Vittorio Emanuele II, inaugurato nel 1881, tre anni dopo la morte del sovrano. Sempre il Barzaghi realizzerà nel 1887 il busto di Pietro Donati, quattro anni dopo la sua scomparsa, busto posto oggi sotto i portici del Palazzo Pretorio. Optando per tale committenza anche per questo monumento dedicato a Garibaldi, i cremaschi continuano ad assicurarsi un nome di grande rilievo nello scenario della monumentalistica dell’Ottocento italiano. Il governo municipale è meno anticattolico e meno antipretesco di quello nazionale. In quegli anni, i nostri sindaci Vincenzo Freri e poi Francesco Zambellini, fatte peraltro le debite proporzioni di statura politica, hanno un entroterra politico e culturale piuttosto diverso da quello dei due primi ministri Agostino Depretis, 33º grado di rito scozzese, e Benedetto Cairoli, pure lui massone, il quale oltretutto aveva perso due fratelli per gli scontri di Villa Glori, nella sfortunata vicenda di Mentana. Crema e i cremaschi manifestano, in quel periodo, un anticlericalismo molto blando rispetto a quello esistente in molte altre realtà italiane. E sappiamo che sono presenti in città delle componenti confessionali ben munite e organizzate. Quando a Roma il 13 luglio 1878 viene attaccato il corteo funebre di Mastai Ferretti con sassaiole e bastonature, cercando di buttare la salma nel Tevere al grido di “al fiume il papa porco”, e non si riesce nell’intento, da molte città d’Italia si accusano gli autori di quel tentativo di incapacità e inettitudine, dicendo che in altri posti ci si sarebbe riusciti senza problemi. A Crema invece quel gesto suscita generale disapprovazione. Da noi nessuno avrebbe osato buttare la beata salma nel Serio, che allora era meno in asciutta di oggi. Del resto, i cremaschi hanno sempre riverito, e oggi più che mai, proprio la statua di Mastai Ferretti all’interno della loro cattedrale. Ricordiamoci che il termine brusacristi era originariamente riferito ai bergamaschi, non ai cremaschi.

Mentre nel caso dell’edificazione del monumento a Vittorio Emanuele II di Francesco Barzaghi e del monumento ai Caduti di Arturo Dazzi abbiamo fonti storiche abbastanza precise e dettagliate riguardo ai relativi progetti e alle loro fasi di esecuzione, nel caso del monumento a Garibaldi ci sono più che altro le informazioni esistenti presso l’Archivio Storico Comunale di Crema, soprattutto di tipo amministrativo e istituzionale, ma sono scarse le altre notizie che precedono l’inaugurazione del monumento. Una ricerca mirata potrebbe comunque fornire maggiori elementi. Sono peraltro interessanti alcuni articoli apparsi sui giornali locali dell’epoca, visibili presso la Biblioteca Comunale di Crema. Il risultato dell’opera svolta dal Barzaghi è, giunti al 1885, una statua raffigurante Garibaldi in marmo bianco di Carrara, collocata su un basamento in marmo grigio recante stemmi e dedicazione. Il Generale indossa la mantella militare, impugna con la mano sinistra il fodero abbassato della spada e tiene con la mano destra il berretto che allora era detto all’ungherese. È in una postura abbastanza rilassata, non aggressiva, ed è effigiato in età già matura, con atteggiamento fiero ma anche pensoso. 

Sui due fronti laterali del basamento si trovano gli stemmi commemorativi e sulla parte anteriore la scritta “A Giuseppe Garibaldi - I Cremaschi - MDCCCLXXXV”. Rispetto ad altri monumenti dedicati al Generale, mancano a Crema riferimenti antipapalini, come il celebre “Roma o morte” presente in innumerevoli altri casi, oppure più specificamente massonici, come la caratteristica stella fiammeggiante o altri riferimenti all’elevato ruolo di gran maestranza massonica (peraltro molto contestato) svolto da Garibaldi, come ad esempio la corona bronzea creata da Ettore Ferrari sui gradini a destra del basamento del monumento di Garibaldi sul Gianicolo a Roma, opera di Emilio Gallori. L’ambiente a Crema, come si è detto, non è tale da favorire tali esternazioni su un monumento pubblico. Diverso il caso del monumento di Garibaldi a Soresina, pure opera del Barzaghi, che reca il tipico “Roma o morte” e la stella fiammeggiante. Sul “Roma o morte”, non si tiene conto in questa sede della presunta opposta accezione attribuita al sacerdote Giacomo Margotti, che parrebbe aver dato un significato ben diverso alla medesima locuzione, in senso antirisorgimentale e filopapalino.

Il 6 settembre 1885, il monumento viene inaugurato con grande solennità, davanti a una folla molto numerosa e in presenza delle principali autorità istituzionali, economiche, civili e culturali di Crema e del territorio circostante. Partecipa alla cerimonia anche il ministro dei lavori pubblici, Francesco Genala, originario di Soresina e già combattente garibaldino nelle patrie battaglie. Interessanti informazioni sull’evento si trovano sui numeri del 5 e del 12 settembre 1885 del giornale “Gli Interessi Cremaschi”. Si tratta di una pubblicazione oggi a Crema ingiustamente dimenticata e tuttavia allora molto seguita e parecchio significativa. È un “Giornale Settimanale Agricolo, Commerciale, Industriale”, che esce da 31 gennaio 1880 al 27 dicembre 1890 e che esprime le posizioni del riformismo liberale cremasco, in contrapposizione alle forze locali più conservatrici e clericali. Ne è “editore proprietario” e “gerente responsabile”, oltre che editorialista molto apprezzato, il libraio e giornalista Serafino Giacomo Cazzamalli, il padre del noto psichiatra e scienziato Ferdinando Cazzamalli. 

Il monumento in onore di Garibaldi è collocato nella zona di Porta Serio, in quella che i cremaschi allora continuavano a chiamare piazza Castello, dove prima della sua demolizione si trovava per l’appunto la struttura militare del Castello di Crema. In realtà, pochi anni prima del 1885, come risulta dallo stradario del 1876, questa superficie urbana aveva preso il nome di piazza di Porta Serio. Circa un paio d’anni dopo l’inaugurazione del monumento, anche in relazione a questa collocazione della statua eretta in memoria del Generale, il consiglio comunale di Crema, con delibera del 3 aprile 1887, intitola la piazza a Giuseppe Garibaldi. Da allora la piazza non ha mai cambiato nome. È cambiata invece più volte, in tutto questo tempo, la geografia di quegli stessi luoghi urbani, così come sono state modificate, anche con interventi drastici e non sempre apprezzabili, le architetture circostanti. Però l’intitolazione a Garibaldi non è mai stata, almeno sino ad oggi, da quanto è dato sapere, messa seriamente in discussione. Del resto, se Cavour è stato probabilmente il personaggio più decisivo per il buon esito del nostro processo risorgimentale, non tralasciando Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II; se è comprensibile come la nostra Repubblica postbellica abbia cercato radicamenti storici e risalenze politiche e culturali, più o meno credibili, visti gli esiti allora poco significativi, nei repubblicani Mazzini e Cattaneo; tutto ciò posto, non c’è dubbio che Garibaldi sia stato e sia tuttora, tra i protagonisti del Risorgimento, la figura più amata dagli italiani, quella più emotivamente coinvolgente, quella che anche in occasione del centocinquantesimo anniversario del 2011 ha suscitato maggiore entusiasmo e successo popolare. Ovviamente, essendo mutati i tempi, questo è avvenuto glissando in modo acconcio sulle sue composizioni letterarie e sulle sue esternazioni contro le gerarchie cattoliche.

Proprio nell’anno 2011, anche in occasione di quell’anniversario, il monumento dedicato a Garibaldi è stato restaurato, a causa del degrado in cui versava da tempo. L’intervento è stato promosso dall’associazione “Araldo” di Crema in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici (allora di Brescia, Cremona e Mantova) e gli sponsor Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona, Banca Cremasca e Farmacia Bertolini. Il lavoro è stato condotto per alcuni mesi dalle restauratrici Veronica Moruzzi e Francesca Cè. Le condizioni critiche del monumento derivavano soprattutto dagli agenti atmosferici e dalla scarsa manutenzione nel tempo. Sono stati eliminati lo sporco e le croste nere che erano divenute molto evidenti, così come i danni causati dagli attacchi biologici e dalle ossidazioni dovute all’umidità. Sono state sistemate le fessurazioni, le decoesioni dei materiali in varie parti e le colature di verderame. Inoltre si sono rimosse le aiuole ai piedi della statua e sostituite da un rialzo in porfido, con la delimitazione dell’area mediante supporti di protezione. Il momento dello svelamento dell’opera restaurata è stato sabato 12 novembre 2011 alle ore 10, in una piazza gremita di gente e al cospetto delle autorità municipali e del territorio, oltre che delle associazioni d’arma con i rispettivi drappi e bandiere. La stampa locale ha dato risalto all’iniziativa con vari articoli e resoconti. Ci si limita in questa sede, per brevità, a citare il numero del Nuovo Torrazzo di sabato 19 novembre e il numero di Primapagina del 18 novembre di quell’anno.

A riprova di quanto, al momento dell’inaugurazione del monumento nel 1885, come s’è detto, il clima delle celebrazioni dell’Eroe dei Due Mondi e della sua statua non fosse, anche a Crema, del tutto condiviso e univoco, il direttore del Nuovo Torrazzo, Giorgio Zucchelli, sul numero di sabato 5 novembre 2011 di questo giornale, in vista dell’imminente nuova inaugurazione del monumento restaurato, cita in prima pagina le preoccupazioni del parroco di San Benedetto, Luigi Valdameri, che in quel 6 settembre 1885 temeva uscisse, da sotto il telo posto a copertura del monumento da inaugurare, qualche immagine irriguardosa e provocatoria contro la Chiesa cattolica. Il direttore Zucchelli definisce l’amministrazione municipale cremasca del momento come “laica e anticlericale”, cosa forse non del tutto inesatta, visti i tempi, anche se, come si è già fatto notare, a Crema l’ambiente istituzionale e politico era molto lontano dalle posizioni veramente anticlericali e ferocemente antipapaline esistenti in altre realtà italiane, anche nei territori lombardi e pure nel nostro ambito provinciale. In ogni caso, dice Zucchelli, il parroco, essendo il monumento posto dirimpetto a un lato della sua chiesa, “era molto, molto preoccupato. Il giorno dell’inaugurazione si aggirava circospetto tra la gente in una sorta di ricognizione della statua”. Poi il telo viene tolto e si vede che Garibaldi ha la spada abbassata nella mano sinistra e il cappello nella mano destra. A questo punto, riferisce Zucchelli, il parroco disse ai suoi fedeli: “Tranquilli: danànc al Signùr, Garibaldi al ga caàt al capèl!”. Insomma, tutto è bene quel che finisce bene, questo sembra essere il messaggio. Che dire? Forse, a diciotto anni da Mentana e a quindici da Porta Pia, il Generale poteva anche rilassarsi un poco. Beninteso, non si può ignorare il fatto che il Gran Maestro (per quanto molto contestato) e 33º grado di rito scozzese impugni la sciabola con il battisasso del fodero in avanti e non nella normale postura all’indietro, cosa che Barzaghi fraternamente segnalò a chi non si concentrava solo sul berretto. E di fronte c’è il campanile di San Benedetto. Per cui, quando Zucchelli dice: “Caro Garibaldi, non arrabbiarti. Ti abbiamo perdonato tutto da tempo”, questa è una buona notizia. Però, siamo proprio sicuri che lui abbia perdonato? Tranquilli: l’arma che la statua puntava in avanti si era spezzata diverso tempo fa e, per qualche motivo al momento non conosciuto, non è stata restaurata nel 2011, ricostruendo la parte mancante. Quanto ad altre due affermazioni di Zucchelli contenute in questo stesso articolo, si fa presente che l’inaugurazione originaria è avvenuta nel 1885 e non nel 1887 (in quella data ci fu invece l’intitolazione della piazza a Garibaldi) e che sul Gianicolo, a impugnare la pistola, peraltro puntata verso l’alto e non verso San Pietro, non è la statua di Giuseppe Garibaldi ma quella di sua moglie Anita, opera di Mario Rutelli, bisnonno del politico Francesco Rutelli, già sindaco di Roma dal 1993 al 2001.

Ovviamente, quanto detto in precedenza riguardo alla monumentalità storica cremasca in generale, vale anche per la statua di Giuseppe Garibaldi. Come per il monumento di Vittorio Emanuele II, per quello ai Caduti, per i numerosi busti, lapidi e manufatti lapidei o metallici dedicati ai personaggi illustri e alle gesta celebri del tempo che fu, di cui Crema conserva abbondante dotazione e scarsissima memoria, anche il monumento del Generale costituisce ormai un reliquato del passato, l’avanzo di un’epoca perduta e ignota per la maggioranza dei cremaschi di oggi, in particolare per le giovani generazioni e soprattutto per le sempre più numerose componenti alloctone e in buona parte extracomunitarie della popolazione di recente immigrazione. La statua è circondata dal traffico cittadino e dal disinteresse generale degli automobilisti e dei passanti, che attraversano la piazza incuranti e indifferenti. La posizione urbana del manufatto lo rende un punto di svolta frequente per il flusso del traffico, nel senso che il gioco dei sensi unici circostanti porta i veicoli a ruotare vicino al basamento e a rendere la piazza un luogo di transito frequente e a volte intasato dai mezzi di trasporto. Nelle ore serali e nei fine settimana, questa zona è spesso invasa dalla movida, più o meno giovanile, con le conseguenze ben note. Gli episodi di intemperanza e in alcuni casi di vandalismo vengono raramente calmierati dalle forze dell’ordine, ovviamente insufficienti a presidiare le varie aree che in città sono diventate meta del divertimento a tutti i costi, con schiamazzi e situazioni sempre più insostenibili per i residenti. Guarda caso, le tre zone in cui principalmente la movida cittadina sta prendendo sempre più piede sono proprio quelle intorno ai tre principali monumenti di Crema. Le tre statue, ormai di nessun significato storico, artistico, culturale per le masse che invadono le tre piazze, svolgono più che altro funzioni di facilitazione all’entertainment: nelle loro pertinenze ci si siede a bere, ci si appoggiano bottiglie e bicchieri, ci si lasciano cicche di sigaretta, avanzi di cibo e cartacce, poi quando la gente diminuisce ci si può anche orinare o svolgere altre faccende contando sul favore delle tenebre.

In realtà, il monumento del Generale presenta una caratteristica che i monumenti del Re e dell’Arciere non possiedono. Quella dell’ornamento tessile mediante arrampicata. In pratica, la statua di Garibaldi è l’unica delle tre a beneficiare, con una certa frequenza, di orpelli colorati di diversi tessuti, in genere posti intorno al collo dell’Eroe dei Due Mondi, con fogge e misure differenti a seconda dell’estro individuale del momento. Avviene cioè che un ardimentoso, spesso munito di un cospicuo tasso alcolemico, si arrampichi sul monumento e ponga al collo del nizzardo un vessillo di qualche realtà sportiva, politica o d’altra natura, particolarmente gradito al climber e alla folla dei sottostanti simpatizzanti di quella stessa congrega. Gli esempi più frequenti sono quelli in cui l’addobbo consiste nella bandiera di una squadra di calcio, con i colori amati dai tifosi della fazione calcistica risultata vittoriosa nella circostanza. Così Garibaldi ogni tanto si trova adornato in rossonero, nerazzurro, bianconero e via dicendo. Ma pure in gialloblu o in bianconero, perché esistono, giustamente, anche le piccole patrie calcistiche. Ci sono stati casi in cui forse il Generale ha potuto fremere nuovamente d’orgoglio, quando si è trovato al collo una bandiera tricolore. Ma non era per le ragioni che credeva lui. Era solo perché, ogni tanto, la nostra nazionale di calcio vinceva ancora.

 

Foto 1 e 2   Immagini del monumento di Garibaldi dopo il restauro del 2011.

Foto 3        Una cartolina d’epoca e il monumento prima del restauro.

Foto 4 e 5 Particolari tra le impalcature durante le operazioni di restauro.

Foto 6       Conferenza stampa di presentazione del restauro nel 2011.

Le immagini riferite alle operazioni di restauro e alla conferenza stampa sono di proprietà dell’associazione “Araldo” di Crema.

Pietro Martini


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commenti


François

7 giugno 2022 10:28

grazie per questo excursus storico/artistico; la realtà contemporanea è molto più banale e prosaica: i basamenti dei monumenti posti all centro delle nostre piazze tolgono spazio a ben più redditizi posti macchina, veri monumenti celebrativi della "modernità".

François

7 giugno 2022 10:29

grazie per questo excursus storico/artistico; la realtà contemporanea è molto più banale e prosaica: i basamenti dei monumenti posti all centro delle nostre piazze tolgono spazio a ben più redditizi posti macchina, veri monumenti celebrativi della "modernità".