“Addio fantasmi” non convince del tutto. Bonaiuto e Cervi sul palco del Ponchielli non riescono a spiccare, complice una trasposizione teatrale poco efficace
Quando si assiste ad uno spettacolo tratto da un libro che si è letto il pregiudizio si insinua.
Oltre il sipario la sottrazione è d’obbligo, tra quello che si vedrà e quello che la memoria prefigura.
Addio fantasmi di Fanny & Alexander, spettacolo tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice messinese Nadia Terranova (Einaudi, 2018), finalista al Premio Strega 2019, ha debuttato l’estate scorsa al Ravenna Festival, affidato a due interpreti di rilievo come Anna Bonaiuto e Valentina Cervi, con la regia di Luigi De Angelis e la drammaturgia di Chiara Lagani.
La storia è quella di una donna che da Roma, città in cui vive, ritorna a Messina per aiutare la madre nella ristrutturazione dell’appartamento di famiglia. Un’incombenza mal sopportata, un dovere da assolvere a cui è impossibile sottrarsi.
La permanenza forzata nella città d’origine costringerà Ida all’inevitabile resa dei conti con i fantasmi del passato, racchiusi nell’assenza del padre Sebastiano andato via e mai più tornato quando lei era ancora bambina.
Già il romanzo di Terranova soffre di taluni cliché letterari che annacquano la possibilità di librarsi della trama narrativa. Ogni esule sogna il momento in cui restituirà la sua storia a una dimensione universale e condividerà con la platea dei trapiantati il dolore del distacco dalla terra natìa: pochi riescono nell’intento con risultati che resisteranno al logorio del tempo.
Terranova non eguaglia i risultati letterari - tanto per citare un altro scrittore isolano - di Paolo Di Stefano, che nei suoi bellissimi romanzi proietta il dolore di chi va ma sempre vorrebbe tornare in una dimensione lacerante e di grande spessore letterario.
La trasposizione drammaturgica di Fanny & Alexander poteva avere la possibilità di riparare alle debolezze testuali staccando il testo dalla connotazione fortemente geografica e focalizzando l’attenzione sul rapporto irrisolto tra madre e figlia.
Ma i dialoghi incespicano, con sovrapposizioni che non rendono il senso della storia per chi non abbia ben presente la trama del libro, e con tagli poco pesati e proporzionati all’economia generale dello spettacolo.
Bonaiuto spicca e sovrasta Cervi, occupa tutta la scena, ma la dialettica tra le due attrici soffre della palese assenza di un registro indovinato per chi interpreta la figlia.
Accenti manierati, mancanza di spigliatezza, rendono il personaggio di Ida zoppicante e incolore.
Le voci fuori campo dei personaggi di contorno sono mal recitate, l’audio non ottimale interrompe la struttura della narrazione e quasi disturba il ritmo già poco saldo dell’azione drammaturgica.
Lo Stretto e la città di mare vengono evocate, maldestramente, tanto che sarebbe stato preferibile se fossero state espunte del tutto dalla trasposizione, diventando pretestuose in questo contesto sterilizzato da ogni elemento scenico.
Nel romanzo di Terranova il mare ha un peso importante, è una dramatis persona, e non darne conto taglia le gambe alla narrazione globale.
Le scene di Luigi De Angelis, tre pareti di eterei e candidi tendaggi che avvolgono alla stregua di un utero fluttuante le due protagoniste, sono forse l’unico elemento che attrae e crea una sottile fascinazione in questo spettacolo altrimenti arrancante e privo di un ritmo convincente. Il tessuto si anima e danza ravvivato da luci cangianti ogni volta che i fantasmi del titolo tornano a visitare le due protagoniste, prigioniere del loro passato.
Le belle musiche di Emanuele Wiltsch Barberio accompagnano la recitazione ma non sempre lasciano emergere la scarna parola quando il climax lo esigerebbe.
E il fantasma di Sebastiano, il padre scomparso, rimane, per lo spettatore disorientato, sospeso e sbiadito nelle brume dello Stretto tra Scilla e Cariddi.
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