Busseto svela i suoi tesori: arte, storia e spiritualità nel monastero di Santa Maria degli Angeli
Per gli appassionati d’arte e cultura cremonesi (e non solo) è da segnarsi bene, in agenda, una data, quella di domenica 5 ottobre. Infatti, a Busseto, terra del maestro Giuseppe Verdi, nell’ambito dell’iniziativa “Monasteri Aperti” (promossa da Visit Emilia Romagna, Emilia Romagna Slow e Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna) sarà possibile ammirare il prezioso dipinto raffigurante la “Madonan col Bambino e i Santi” (1580 circa) del cremonese Antonio Campi, uno dei più grandi artisti del Rinascimento, incredibilmente dimenticato da Cremona in occasione del quinto centenario della nascita. L’opera è custodita nel convento francescano di Santa Maria degli Angeli (oggi di proprietà dei missionari Iod di Cristo Redentore, meglio conosciuti come Identes) e domenica sarà tra i “tesori” che si potranno appunto ammirare in occasione della giornata dedicata alla scoperta del patrimonio spirituale, artistico e culturale. Giornata che prevede, alle 11.30, la visita guidata al monastero, al meraviglioso “Compianto sul Cristo Morto” di Guido Mazzoni e ai tesori della chiesa. Tra questi, appunto, l’opera di Antonio Campi. Alle 13, pranzo nel chiostro dal titolo “Quel che passa il convento” con pisarei e fasò, costine al forno con patate, torta, acqua e vini. Alle 16, quindi, performance di teatro-danza <Estatico> nella chiesa del monastero con la compagnia Weltanschaung con musiche di Debussy, Stradner, Part e antiche melodie abbaziali. Per informazioni e prenotazioni è bene mettersi in contatto quanto prima col 3394007459.
Per quanto riguarda, nello specifico, il dipinto di Antonio Campi, questo è conservato negli ambienti interni del complesso monastico e proviene dall'altare della cappella del Santissimo Sacramento. Viene ricordato dalle fonti come opera di Vincenzo Campi e in tempi recenti (1964) da Teodosio Lombardi che lo descrive in questi termini: "Raffigura la Vergine Santissima in atto di presentare San Francesco d'Assisi al bacio del piede di Gesù Bambino, dal quale è dolcemente accarezzato”. Vi si osservano pure le figure di S. Giovani Battista e del compagno di San Francesco, frate Leone". Gli studi successivi, come ricorda anche l’esperto Guglielmo Ponzi, hanno risolto la questione dell'attribuzione assegnando il quadro definitivamente ad Antonio Campi, ma si deve rilevare che il soggetto del dipinto risulta alla fine seriamente sovvertito e ciò non è privo di conseguenze. In occasione dell'importante mostra sulla pittura del Cinquecento in Lombardia, allestita nel 2001 nelle sale di Palazzo Reale a Milano, la tela è stata infatti presentata nella scheda di catalogo come "La Madonna col Bambino e santi Giuseppe, Giovannino, Antonio da Padova e un altro santo francescano". A rendere omaggio alla Vergine non sarebbe dunque il Poverello di Assisi, come finora si è sempre ritenuto, ma il popolare santo di Padova, mentre resta indefinita l'identità del secondo frate.
Questa singolare interpretazione iconografica, che contraddice tutta la letteratura precedente, risale agli interventi di G. Godi e G. Cirillo che, in uno studio pubblicato nel 1975 (su "Biblioteca Settanta" e in parte ripreso in "Antonio e Vincenzo Campi, pittori bussetani", Po, 1995, n. 4), che affermano di aver identificato Sant’Antonio da Padova nel frate prostrato ai piedi di Maria. I due studiosi adducono come prova dell'avvenuto riconoscimento il giglio riapparso sul gradino del trono della Vergine in seguito a un radicale restauro effettuato in quegli stessi anni. Sempre secondo Guglielmo Ponzi si può subito obiettare che il giglio, classico emblema di purezza e castità, è un simbolo diffuso, comune a molti altri santi, tra cui lo stesso Francesco. Pertanto la sua presenza sulla scena pittorica non può prescindere da altri riscontri iconografici: non ultime le caratteristiche fisionomiche dei personaggi: come ad esempio, nel nostro caso, la folta barba che si arriccia sul mento del giovane frate adorante. Presente nelle raffigurazioni di San Francesco d'Assisi fin dai primi "ritratti" conosciuti, la barba incolta è invece in netto contrasto con l'immagine convenzionale di Sant’ Antonio, glabro secondo la tradizione e la pietà popolare, che lo rappresentano come un giovane religioso vestito del l saio francescano con il giglio in mano e il libro della Sapienza. A questi specifici attributi antoniani, come ricorda Ponzi, si aggiungerà, ma a partire dal Seicento, la visione del Bambino.
Diventa veramente difficile a questo punto sostenere l'ipotesi di un Sant’ Antonio da Padova con la barba: immagine che, appunto, non ha precedenti significativi nell'arte e nell'iconografia tradizionale, nella tela di Antonio Campi, databile verso il 1580, la Vergine appare in trono con alle spalle san Giuseppe dormiente. Seduto sulle sue ginocchia il Bambin Gesù viene offerto all'adorazione del santo frate, in un atteggiamento che ripropone uno dei motivi cari alla mistica francescana e di cui non mancano esempi nel periodo post tridentino, particolarmente in ambito emiliano. Si pensi alla famosa Madonna dei Bargellini (1588), ma soprattutto alla non meno nota "Carraccina" (1591) di Ludovico Carracci: opere che confermano la crescente fortuna di un tema devozionale, volto a esprimere l'attaccamento di Francesco all'umanità del Cristo e la sua intimità con Dio. A questi modelli si è ispirato più tardi anche il fidentino Giovanni Battista Tagliasacchi con la pala giovanile nella Chiesa dei Cappuccini di Fidenza. Tornando al quadro di Busseto, sempre secondo quanto rileva l’esperto Guglielmo Ponzi, è curioso notare come il pittore abbia accortamente evitato di evidenziare i fori delle stimmate, segno distintivo di San Francesco. Proiettato in avanti, con il dorso della mano sinistra parzialmente coperto, il santo sembra quasi voler "nascondere" le ferite prodotte dai raggi divini del misterioso serafico. Ma non è da escludere la volontà di "storicizzare" l'apparizione di Maria con il Bambino prima dell'episodio della Verna.
Anche per quanto riguarda l'identità del frate assistente, la cui figura è delineata di scorcio sul lato sinistro della composizione, non si può non concordare con padre Lombardi. Lo studioso francescano, forse sulla scorta di dati tradizionali, ritiene che il religioso assorto in preghiera possa essere individuato nel fedelissimo compagno di Francesco, solitamente relegato ai margini, come testimone privilegiato delle estasi del santo. Vale a dire lo stesso atteggiamento del frate che si affaccia con discrezione sulla sinistra della scena dipinta da Antonio Campi. Similmente, nella pala di Cento, frate Leone è rappresentato con le mani giunte e lo sguardo rapito, mentre guarda San Francesco impegnato nell'affettuoso omaggio a Gesù Bambino: siamo in piena sintonia con il gusto dell'epoca e le tendenze dell'arte religiosa post-tridentina. Qualche considerazione infine sulla presenza del piccolo Giovanni Battista che nel quadro di Busseto sembra andare incontro a frate Leone. Si direbbe, secondo Ponzi, che il precursore di Cristo mostri una particolare simpatia per l'umilissimo frate, chiamato per la docilità del suo carattere "agnello" o "pecorella di Dio" (se si osserva attentamente il gioco delle ombre associandolo allo sguardo di Giovannino, il suo atteggiamento potrebbe essere rivolto al sole nascente, nota immagine profetica di Cristo).
Non va dimenticato tuttavia che Giovanni è anche santo eponimo di colui che viene indicato come ideale destinatario del prezioso dipinto, probabilmente commissionato da Camillo, Giulio e Lucrezia Palla vicino in memoria del padre Giovan Battista (G. Godi G. Cirillo, cit.). La sua presenza insieme a San Francesco ed a frate Leone potrebbe rappresentare un'ulteriore traccia per ricostruire la vicenda storica di questa eccezionale iconografia francescana, travisata forse da una lettura un po' superficiale. Va detto però che i Missionari Identes che operano a Busseto ormai da anni, hanno già rimediato all'equivoco riproponendo nelle didascalie la vera identità dei personaggi raffigurati. Per quanto riguarda complesso monastico che domenica sarà appunto tra le “tappe” di Monasteri Aperti, va detto che la chiesa, dedicata da sempre a Santa Maria degli Angeli, insieme all’attiguo convento fu eretta per disposizione testamentaria il 25 luglio 1453 da Orlando Pallavicino il Magnifico e vi diedero esecuzione i figli, Gian Ludovico e Pallavicino nel 1470. Un ritardo dovuto non solo alla risoluzione di questioni familiari riguardanti l’eredità paterna, ma anche alla mancata accettazione del legato da parte dei frati Minori Francescani, adunati in capitolo nella chiesa di Sant’Angelo in Cremona il 3 maggio 1463 e nel monastero di Cesena il 23 maggio 1471. La costruzione della chiesa iniziò nel 1470 e quella del chiostro nel 1472, un anno prima che i religiosi, vinti dalle insistenze dei Pallavicino, accettassero, il 22 maggio 1473, il dono nella congregazione tenutasi a Bologna. I lavori terminarono nel 1474 ed il padre provinciale Lorenzo da Parma ottenne da papa Sisto IV la formale erezione con breve 1 ottobre di quell’anno. Il pontefice delegò monsignor Giovanni Stefano Butigelli, vescovo di Cremona (all’epoca Busseto faceva parte della Diocesi di Cremona) a visitare il convento per accertarsi se questo fosse adatto ad ospitare una famiglia religiosa; ma, essendo gravemente ammalato il presule, l’incarico fu dato ad altri prelati della diocesi cremonese, a partire da Donnino Raschi, prevosto di Busseto. Questi, con Taddeo Platoni, parroco di San Martino in Olza e canonico della collegiata, ed i canonici Paolo Andrea di Castelfranco e Cosimo Cozii, visitò il fabbricato e ne fece consegna a Jacopo Capelletto Vitali e Giovanni Marliani, sindaci dei frati, che accettarono la chiesa, il chiostro e l’annesso terreno donati dai fratelli Pallavicino. Tra le “meraviglie” che si potranno ammirare e approfondire domenica, spicca certamente il celebre “Compianto sul Cristo Morto” di Guido Mazzoni (1476-77), capolavoro della scultura emiliana del Quattrocento, composto otto figure a grandezza naturale in terracotta policroma, di cui due riconducibili per la fisionomia ai committenti (secondo la tradizione, le sembianze di Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea riproducono la fisionomia dei committenti Gianludovico e Pallavicino Pallavicino), rese con straordinaria introspezione psicologica ed intensità emotiva, che il recente restauro (finanziato dal Ministero per i Beni Culturali) ha contribuito ad esaltare. Il maestro Giuseppe Verdi frequentava questa Chiesa fin da fanciullo e il 6 gennaio 1836, nel clima acceso delle polemiche per il concorso a maestro di cappella della Collegiata, vi tenne un seguitissimo concerto d’organo. È quindi lecito supporre che abbia interiorizzato, per farli poi riaffiorare nella produzione musicale della sua maturità, il dolore silenzioso e la teatralità contenuta che il gruppo statuario esprime. Infine, tra le opere di cui il quattrocentesco monastero è scrigno, c’è anche un “San Francesco d’Assisi in estasi” del cremonese Rocco Scotti, datato 1902.
Eremita del Po
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