28 marzo 2023

"I Vini di Bortolo" e "SecondoME" della Cantina Galbignani, vini di Cremona che raccontano Cremona

"Quando ero piccolo i miei amici sognavano di diventare calciatori, io invece dicevo che da grande avrei fatto l’enologo". E’ un figlio d’arte, anzi un nipote d’arte, Marco Galbignani, 33 anni, che rappresenta la quarta generazione di questa storica famiglia di osti a San Martino in Beliseto.

Il suo bisnonno Rosolino aprì l’osteria oltre un secolo fa, iniziando da subito nella minuscola cantina nel cortile la tradizionale produzione di vino imbottigliato dall’oste, che poi rifermenta in bottiglia.

Il nonno Bortolo è stato un'istituzione, e ha guidato l’attività di famiglia per oltre 50 anni, diventando un punto di riferimento per chi cercava il buon vino di una volta, frizzante e abboccato, ideale da accompagnare ai tradizionali salumi artigianali.

All’inizio degli anni 2000 è la volta di papà Carlo e mamma Alice, che raccolgono il testimone da Bortolo e riescono in un’impresa apparentemente facile ma in realtà difficilissima ai giorni nostri: non cambiare.

Ancora oggi, il “Bar Ricevitoria Galbignani Carlo” (questa è la denominazione del locale che si trova su google) propone il proprio vino sfuso, taglieri e panini di ottimi salumi selezionati e stagionati da loro. Stop. Niente voli pindarici, nessuna voglia di inseguire le mode dell’Aperitivo Milanese, dove ordini una cosa da bere e ti presentano vassoi infiniti di scadente cibo precotto e surgelato, che all’avventore sprovveduto può sembrare un eccesso di generosità, salvo poi pagare 12 euro per un bicchiere di tanto ghiaccio e poca bevanda.

Ecco, il vero motivo del successo dei Galbignani è quello di avere tanta sostanza e poca apparenza: gentili, sorridenti, modesti e dai prezzi popolari, come è sempre stato nelle nostre osterie di provincia.

Ma veniamo a Marco: classe 1990, abbiamo già detto che fin da piccolo ha eletto la cantina come proprio regno, e così la scelta di studiare Enologia all’Università di Agraria di Piacenza è stata tutto fuorché difficile. Nel percorso di studi, però, Marco si appassiona anche dell’altra faccia della medaglia, l’agronomia, e così consegue la Laurea Triennale in Agronomia nel 2014 e la specialistica in Enologia un paio d’anni dopo. Iscrittosi all’albo dei Dottori Agronomi, inizia l’attività di consulenza e ad oggi offre supporto agronomico ad oltre 35 aziende, sparse nelle province di Bergamo, Pavia e Piacenza.

Ma la minuscola cantina di via Ponchielli rimane il suo buen retiro e così Marco piano piano inizia a modellarla a sua immagine e somiglianza. Le vasche di cemento lasciano il posto alle autoclavi di acciaio, una stanza viene refrigerata per la conservazione dei mosti dolci (che servono per la rifermentazione in bottiglia dei vini della linea “I Vini di Bortolo”, dedicati al nonno paterno); arriva la pigiadiraspatrice, la linea di imbottigliamento, e le vasche ogni anno diventano sempre più numerose, tanto da non starci più in cantina.

Già, la cantina: quello che colpisce anche il visitatore più distratto è la cura maniacale di ogni fase della lavorazione dell’uva, l’ordine e la pulizia che regnano sovrani, e anche la capacità di sfruttare ogni piccolo spazio a disposizione ("abbiamo tutti i macchinari su ruote -ci spiega Marco- così da poterli muovere e spostare a seconda della necessità").

E d’altronde Marco in pochissimi anni è cresciuto esponenzialmente, ed oggi lavora 1.400 quintali d’uva, che danno vita a circa 100.000 litri di vino, suddivisi tra lo sfuso, ancora oggi vero core business dell’attività, e 35.000 bottiglie, per il 60% della linea “I Vini di Bortolo” e per il 40% della linea “SecondoME”

E proprio i vini della linea SecondoME sono quelli che hanno iniziato a far circolare il nome di Marco al di fuori dei clienti storici dell’osteria di famiglia: ottenuti da uve acquistate da aziende di fiducia, scelte sia tra quelle in cui Marco lavora che tra quelle che già rifornivano nonno Bortolo, rappresentano l’idea di vino di Marco.

Sono etichette di grande pulizia e rigore tecnico, che Marco produce con un unico scopo: "non potendo per ovvi motivi parlare di terroir, il mio lavoro è simile a quello di uno chef: esaltare la materia prima senza snaturarla e stravolgerla".

Privilegiare il varietale diventa allora la parola d’ordine, e per farlo Marco vinifica con lieviti neutri, utilizzando quasi esclusivamente l’acciaio e limitando al minimo l’apporto del legno.

Il risultato sono 7 vini di grande interesse, tutti realizzati a San Martino, che lo rendono uno dei pochissimi produttori di vino in provincia di Cremona ("siccome l’Asl ogni anno deve fare dei controlli a campione per ogni categoria merceologica, ogni anno ci viene a visitare, visto che siamo tra i pochissimi produttori di vino della Provincia" ci racconta Marco tra il serio e il divertito).

Ma veniamo alla degustazione delle cinque etichette assaggiate tra quelle prodotte da Marco:

ASTRO: Metodo Classico Bianco Brut. Da uve Pinot Nero dell’Oltrepò, sosta 30 mesi sui lieviti e viene dosato a 5 grammi. Il più trattenuto fra tutti i vini degustati, ha un ottimo perlage e una carbonica ricca e avvolgente. Il naso ha lievi sentori di frutta secca e la bocca è fresca e delicata, timida e con pochi slanci gustativi.

NINFEA: Metodo Classico Rosé Brut. Ancora Pinot Nero, qualche mese in meno sui lieviti e un pizzico di dosaggio in più (7 gr/lt.) L’esatto opposto del “cugino” bianco: naso espressivo ed esuberante, di piccoli frutti rossi e floreale d’albero; la bocca è avvolgente, morbida, di grande pienezza gustativa e bella persistenza. Un ottimo vino che invoglia alla beva e che ben si presta ad accompagnare paste ripiene di verdura, carni bianche e antipasti sapidi.

502: Vino Bianco Secco. Da uve Incrocio Manzoni coltivate in Oltrepò. Marco ha confessato di avere un debole per quest’uva, che ha caratteristiche di grande freschezza e neutralità in gioventù, ma che sa evolvere nel tempo fino a “rieslingheggiare” con note iodate e salmastre. Il vino fermenta in acciaio e poi affina in vetro. La versione da noi assaggiata ci ha convinto per sapidità della bocca, finale ammandorlato e chiusura coerente e gustosa. Forse un pelo di troppo la sensazione alcolica finale.

ACCORDO: Vino Rosso Secco. 60% bonarda e 40% barbera dei Colli Piacentini. Il rosso “entry level” di Marco, vinificato solo in acciaio e con la percentuale “al contrario” del classico Gutturnio. Dopo un inizio leggermente tannico (e d’altronde è il biglietto da visita della croatina), il vino si distende e fuoriescono deliziose note di piccoli frutti rossi, amarena, confettura di ciliegie e lampone. La bocca è rotonda, avvolgente, scorrevole e di bella chiusura armonica. Ci ha convinto.

EGEA: Vino Frizzante Bianco Abboccato. Abbiamo concluso la nostra degustazione con l’etichetta forse più famosa della linea “I vini di Bortolo”, una Malvasia di Candia Aromatica Piacentina vinificata semi-secca. L’abbiamo abbinata a una splendida Pancetta stagionata 12 mesi da Carlo, e ad ogni sorso ci sono venuti in mente ricordi d’infanzia, di osterie fumose e chiassose, di lavoratori dei campi che al tramonto vi si riversavano per chiacchierare e fumare prima di prendere la via di casa. Gente d’altri tempi, riti ormai quasi scomparsi che rimangono solo nella memoria di chi li ha vissuti ed osservati, e che con ogni probabilità non torneranno mai più.

Terminiamo la nostra chiacchierata con l’ultima battuta di Marco, che ci racconta come abbia voluto raccontare cose note e meno note di Cremona attraverso i nomi dei suoi vini (502 sono gli scalini del Torrazzo, Astro è l’orologio sempre della principale torre campanaria cittadina, Accordo è riferito alla fusione di barbera e bonarda, ecc.) e che "mentre mia moglie era incinta del nostro primo figlio, un futuro padre normale avrebbe pensato al nome da dargli, mentre io pensavo a come chiamare i miei vini". E in questa frase è racchiusa tutta la passione e l’amore di Marco verso il proprio lavoro.

Andrea Fontana


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti