All'asta a Roma la "Deposizione di Cristo nel sepolcro", capolavoro inedito di Romanino stimato 470.000-620.000 euro. Nel 1519 affrescò anche il Duomo di Cremona
La "Deposizione di Cristo nel sepolcro", capolavoro inedito di Girolamo Romanino (Brescia, 1484 - 1566) è uno dei dipinti più importante comparsi negli ultimi anni sul mercato italiano degli Old Masters: lo mette all'incanto la casa d'aste Bertolami Fine Art nella sua prossima vendita di pittura antica, programmata per giovedì 27 aprile a Roma, con una stima di 470.000/620.000 euro. L'opera, un olio su tela delle dimensioni di 102×80 cm, sarà esposta al pubblico nelle sale della sede romana di Bertolami, a Palazzo Caetani Lovatelli, sino al 26 aprile.
Tra la tarda estate e l’autunno del 1519 sappiamo che Girolamo Romanino affrescò quattro riquadri con Storie della Passione di Cristo nella navata centrale del Duomo di Cremona, lavoro che doveva continuare con altre scene; ma i nuovi massari, eletti nel 1520, gli tolsero l’incarico affidandolo al Pordenone, probabilmente giudicando ormai fuori moda la tecnica nordica del Romanino rispetto alle novità romane introdotte dal pittore friulano.
Racconta Luca Bortolotti, responsabile del dipartimento di Old Masters di Bertolami Fine Art: "Nel campo dell'arte antica le attribuzioni troppo generose si sprecano. Nel caso però di questo superbo olio su tela che già alla prima osservazione denuncia le qualità del capolavoro, le cose sono in prima battuta andate nella direzione di una sorprendente sottovalutazione. Descritto nei suoi precedenti passaggi sul mercato come opera anonima di scuola lombarda del XVI secolo, è stato di recente sottoposto dal suo attuale proprietario al giudizio, separato, dei due massimi esperti della pittura di quell'area, Alessandro Nava e Francesco Frangi, e da entrambi senza perplessità riconosciuto come opera sicura di Girolamo Romanino. Nessuna delle annose, appassionate polemiche che solitamente dividono la comunità degli studiosi in presenza di attribuzioni così importanti ha accompagnato la scoperta, data da tutti per certa". Nava e Frangi, quest'ultimo in procinto di pubblicare uno studio sull'opera, si mostrano inoltre concordi nel collocarla ai vertici della produzione di Romanino, il sommo maestro della felicissima congiuntura stabilitasi tra pittura veneta e pittura lombarda negli anni cui il settore orientale della Lombardia era territorio della Serenissima. Come sempre anticlassico e anticonvenzionale, Romanino si affida in questo suo capolavoro ritrovato a una iconografia poco consueta: non la classica Deposizione dalla Croce, ma una Deposizione nel sepolcro. Il soggetto, in sintonia perfetta con l'inclinazione dell'artista verso il registro tragico, è qui magistralmente interpretato grazie all'invenzione di una claustrofobica composizione in cui le figure dei protagonisti - il corpo livido del Cristo, la Vergine stravolta dal dolore, Giovanni Evangelista e Giuseppe d'Arimatea - giganteggiano in primissimo piano compresse in una dimensione senza spazio.
Anche le fisionomie dei personaggi, le loro espressionistiche posture e la sapiente paletta cromatica appaiono tipiche dello stile di un artista che può essere considerato l'altra faccia della migliore pittura italiana del '500, il contraltare del suo perfetto coetaneo Raffaello, nonché il più illustre, intrigante e misterioso tra i capostipiti di quella linea realistica che sfocerà nell'arte di Caravaggio. Girolamo Romanino è considerato la punta di diamante della pittura lombarda del '500, protagonista eccelso e originalissimo dell'arte del tempo di Raffaello e Michelangelo, noto al pubblico degli appassionati come autore della "Cappella Sistina dei poveri", un portentoso ciclo di affreschi sul tema della Passione di Cristo dipinto dal pittore, negli anni '30 del '500, sulle pareti di una chiesa di Pisogne, piccolo centro della Val Camonica a ridosso di Brescia. Nella stessa asta riemerge, dopo una quarantennale permanenza in una importante collezione privata, un tondo devozionale di sicura mano del fiorentino Biagio d'Antonio Tucci (1445-1510 ca), coetaneo di Botticelli e Perugino e, insieme a loro e a tanti altri protagonisti dell'arte della seconda metà del '400, attivo nella celebre bottega di Andrea Verrocchio. "Il passaggio di un tondo quattrocentesco in asta è di per sé un evento raro - spiega Luca Bortolotti - un evento che diventa rimarchevole se, come in questo caso, siamo anche in presenza di un'opera in eccezionale stato di conservazione e sicuramente ascrivibile alla migliore produzione di un maestro di alto rango quale è Biagio d'Antonio".
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