Aspettando la Pasqua, ricordando la Settimana Santa di un tempo: in Processione con i simboli della Passione issati su lunghi bastoni, la "sgùra" delle catene, il lungo sabato di attesa
Si apre la Settimana Santa che porterà alla Pasqua. Il giorno della Resurrezione arriva dopo una intensa preparazione. Parecchie sono le tradizioni cremonesi legate alla Settimana Santa. Ad esempio, quella del Giovedì Santo, giornata solenne per l'addobbo del Santo Sepolcro nelle chiese di città e di campagna. Dopo il “Gloria” le campane venivano legate per tre giorni in segno di lutto. Nelle chiese, in quei giorni, non si usavano i campanelli, che in alcune chiese venivano sostituiti dalle "trabàcule".
Alla sera le donne di casa mettevano in ammollo le lenticchie o i "fazulìin de l'ùc" che poi costituivano il piatto del Venerdì Santo insieme alle uova cotte. Al venerdì vigeva l'obbligo del mangiar di magro. Il fulcro delle celebrazioni era costituito dalla processione. Il Sabato Santo era invece caratterizzato dalla "sgüüra". I ragazzi si fissavano alla cintola con una corda la catena del focolare e la trascinavano per le viottole di campagna finché venivano lucide. Ogni tanto si fermavano per immergerle nell'acqua dei fossati.Come compenso-premio si davano ai ragazzi-sguratori qualche uovo sodo colorato, di verde con l'eerba "reza" o di marrone immergendoli nei fondi di caffè.
La Pasqua di solito veniva trascorsa in famiglia, contraddicendo il proverbo: "Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi". Il pasto tradizionale comprendeva: marubini in brodo, capretto o agnello, uova sode e la torta pasqualina.
Per ricordare l'attesa della Pasqua e i riti della Settimana Santa nelle nostre zone riproponiamo uno scritto realizzato 15 anni fa dal caro Giorgio Bonali.
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I fedeli che hanno "celebrato" il periodo quaresimale col magro del venerdì, che molti ritengono ormai anacronistico dato che il costo dei prodotti alimentari come pesce o formaggi supera quello delle carni e quindi sembra possibile solo ai più abbienti, con la pia pratica della Via Crucis, sempre meno frequentata dai giovani che in altri tempi ne erano protagonisti, o con qualche Messa feriale, sentono con partecipazione l'arrivo della Settimana che fa memoria della passione, morte e risurrezione di Cristo.
Con la Domenica delle Palme inizia da sempre la Settimana Santa ed ancora oggi è abbastanza diffusa la tradizione di portare a casa un ramoscello di ulivo benedetto in questa giornata, ulivo che verrà appeso sullo stesso chiodo al quale è appeso il crocifisso, ormai poco presente nelle case, o semplicemente assieme al calendario; popolarmente si ritiene così di porre la casa sotto la protezione del Padreterno.
Combattere la grandine bruciando l'ulivo benedetto
Un tempo, quando i sacerdoti erano più numerosi e la benedizione delle case ancora avveniva costantemente, e soprattutto nel tempo pasquale, il ramoscello d'ulivo benedetto veniva portato e distribuito dai chierichetti che accompagnavano il sacerdote, speranzosi di ricevere qualche piccola mancia o regalino dalle famiglie visitate; per questo mi si racconta che a quei tempi c'era una gara fra i chierichetti per contendersi il diritto di accompagnare un sacerdote piuttosto che un altro, valutando quale giro di case fosse il più redditizio e nella mia parrocchia, il Duomo, sembra che il meglio fosse accompagnare il parroco monsignor Boccazzi..
In campagna l'ulivo benedetto non veniva semplicemente appeso ad un chiodo in attesa di essere sostituito da quello fresco dell'anno successivo: era gelosamente custodito e ricordo direttamente come fosse ritenuto importante piantarne un ramoscello ai bordi di un terreno seminato ma, soprattutto, utilizzarlo da bruciare sull'uscio di casa, su alcune braci tolte dal camino con la paletta metallica, quando d'estate il cielo si faceva improvvisamente nero per scure nuvole che minacciavano grandine: in perfetta sincronia, le donne di casa uscivano con una paletta rosseggiante di braci, per mettervi a bruciare un ra- moscello dell'ulivo benedetto.
A quel punto, nell'aia della cascina, si diffondeva il bel profumo dell'ulivo bruciato, respirato con intensità da tutti mentre, sull'uscio di casa, si scrutava il cielo per vedere come evolvesse il minaccioso temporale estivo. Il più delle volte, fortunatamente, il tutto si risolveva in un violento acquazzone, "en sguasaròt", senza tracce di grandine o qualche granello piccolo misto all'acqua che non faceva danno, per cui si rafforzava l'idea delle virtù protettive di quel ramoscello d'ulivo bruciato; ricordo come gli uomini che tornavano di corsa dai vicini campi, per prima cosa chiedessero alle donne se avevano bruciato l'ulivo, lasciando in me stupore per questo misto di fede e superstizione in persone che si dichiaravano non credenti e che spesso condivano i loro discorsi con qualche sonora bestemmia. Erano altri tempi, tempi di povertà e di passione, che troviamo ben
interpretati dalle storie raccontate da Giovannino Guareschi, quelle storie inventate che sembrano vere, ma che forse sono tanto vere da sembrare inventate.
Col Giovedì Santo iniziavano le vacanze
Da ragazzo passavo tutte le mie vacanze presso una zia nella sua cascina di campagna; anche per le vacanze di Pasqua non perdevo un momento nel salire sul treno per Torre, abbandonando i solenni riti pasquali della mia parrocchia cittadina.
Quasi sempre avevo tale fretta che partivo da solo, con mio padre che mi affidava a qualche suo amico ferroviere del personale viaggiante del treno, affinché badasse a me durante il viaggio e, soprattutto, a che io scendessi al momento opportuno.
Il Giovedì santo assistevo nella chiesa del paese alla lavanda dei piedi, allora erano sempre degli anziani, e non dei bambini come si fa oggi, a rappresentare gli apostoli, e mi impressionavano quei dodici vecchi, coperti da una tunica bianca, con i quali il parroco inginocchiato ripeteva l'atto di umiltà di Cristo della lavanda dei piedi: confesso che il rito presentava una grande suggestione su di me, non sminuita dalle battute su pulizia e puzza dei piedi che circolavano tra i bambini del paese in mezzo ai quali partecipavo alla celebrazione.
C'era in tutti noi l'attesa del momento nel quale avremmo potuto suonare con forza i campanelli per l'ultima volta, assieme alle campane della torre prima che venissero "legate" per prepararci al silenzio di lutto per la morte di Cristo.
Le donne avevano già predisposto e infiorato l'altare chiamato del Sepolcro, nel quale riporre per l'adorazione l'Eucarestia; poi si ritornava a casa silenziosi e un po' mesti perché, in fin dei conti, noi bambini ci sentivamo partecipi con gli adulti di un avvenimento che forse non riuscivamo a capire fino in fondo, ma che sentivamo grande. Ci si preparava al giorno dopo, il Venerdì Santo, ed alla grande processione che si sarebbe svolta all'interno del parco del castello con la partecipazione di tutto il paese, anche di coloro che dicevano di non credere; era l'occasione per noi ragazzi di essere protagonisti, portando issati su dei bastoni predisposti, i vari simboli della Passione come chiodi, martello, corona di spine, panno della Veronica e quanto altro negli anni la fantasia popolare aveva predisposto per questa occasione, affinché sfilassero al seguito della pesante croce, che giovani robusti si alternavano a portare lungo il percorso della processione.
Erano i giorni nei quali si affrontava la pulizia radicale delle case, con le aie ingombre come per un trasloco, perché c'era chi, per meglio pulire, portava all'aperto una parte del mobilio: ci si preparava anche con questo all'apertura della primavera, al nuovo sole, ad una splendida fioritura ed al tanto lavoro che la nuova stagione avrebbe portato per la gente di campagna.
Il sabato, giorno di attesa
Il sabato diventava la giornata più intensa nei preparativi alla Pasqua anche perché a quei tempi le celebrazioni che formano oggi la veglia pasquale, si svolgevano il mattino, coinvolgendo così, in qualche maniera, tutta la popolazione con una partecipazione diretta o attraverso il suono delle campane che venivano "slegate" al Gloria durante la celebrazione.
Sul sagrato della chiesa avveniva la benedizione del fuoco e dell'acqua che in molti prelevavano con una bottiglia da tenere sempre in casa, pronta per ogni evenienza, anche nel ricordo dei tanti bambini nati in casa che avevano avuto bisogno di un battesimo immediato, e per l'approvvigionamento dei "santaróoi", le piccole acquasantiere capoletto.
Alla ripresa dello scampanio allegro delle campane, sembrava un concerto l'intrecciarsi del suono proveniente dalle chiese del circondario che allora avevano tutte un parroco residente, ci si bagnava gli occhi e ci si "segnava" anche usando l'acqua dei fossi per chi si trovava al lavoro nei campi: erano segni di una diffusa fede popolare.
In questa giornata continuavano le grandi pulizie casalinghe che prevedevano anche la lucidatura del rame, paioli, tegami e padelle, con l'uso di farina gialla e aceto, diffondendo nella casa un odore acre che noi bambini mal sopportavamo.
Il pomeriggio arrivava il momento tanto atteso, quello della pulizia e della lucidatura delle catene, che come fosse una vera gara atletica scattava puntualmente subito dopo il pranzo.
Oggi siamo costretti a chiamare e pagare ogni anno un idraulico affinché pulisca "ufficialmente" le nostre caldaie; allora si usava sempre il camino ed era opportuna una volta all'anno una pulizia della catena per togliervi tutta la fuliggine accumulata; questa operazione veniva affidata ai ragazzi che la svolgevano molto volentieri, accontentandosi di una piccola mancia.
Ci si metteva al collo una fune che teneva ben legata la catena e si partiva scalzi, "a pèe pèr tèera", verso percorsi in terra battuta, e poca ghiaia, dove ci si ritrovava a decine come per un silenzioso appuntamento per la "zgüüra".
Normalmente il nostro percorso si dirigeva verso il cimitero di S.Lorenzo per far ritorno poi ed avviarsi in direzione di Ca' de Caggi e capitava di incrociare gruppi di altri ragazzi che facevano il percorso opposto; a questo punto iniziava una gara a chi resisteva più a lungo per poter presentare catene pulitissime e lucide; i più grandicelli, per lucrare qualche mancia in più, trascinavano anche due o tre catene contemporaneamente.
E' certo che al ritorno da questa "gara", crollavamo così stanchi da faticare a lavarci ed a mangiare un boccone prima del lungo sonno ristoratore.
Arriva la Pasqua e la caccia alle uova colorate
E finalmente "esplodeva" la Pasqua! Sembrava che entrasse realmente in noi una profonda gioia per l'avvenimento del Cristo risorto.
Ci si vestiva bene per andare alla Messa grande, quella cantata, che non veniva celebrata troppo tardi dato che le regole per accedere alla Comunione chiedevano ancora il digiuno dalla mezzanotte ed era, per noi ragazzi, una dura prova di resistenza.
Tornati a casa ci aspettava una ricca colazione che normalmente prevedeva anche una fetta di torta casalinga, normalmente si trattava della torta margherita, che mangiavamo in fretta perché subito dopo ci aspettava la caccia all'uovo; numerose uova di gallina colorate, erano state nascoste nel verde dell'orto e la gara consisteva nello scoprirne il più possibile.
Nel frattempo in casa si preparava il pranzo pasquale che assomigliava molto, come menù, a tante altre feste con un bel piatto di marubini cotti nel brodo di una grassa gallina; parti della stessa assieme al ricco ripieno che la farciva, accompagnato da buon peperone conservato dall'anno precedente in un grande vaso di terracotta e mantenuto costantemente nell'aceto, da un coperchio premuto da alcuni grossi sassi. Al momento del dolce, normalmente arrivava l'uovo di cioccolato, che mio padre aveva fatto preparare dall'amico Baresi, con dentro come sorpresa una gradita mancia straordinaria
Le uova di gallina colorate finivano in una "concia" assieme agli ultimi castrini, radicchi nostrani ormai diventati molto amari, o al tarassaco ed altre erbe raccolte lungo le rive dei fossi, per il pranzo del lunedì dell'Angelo.
Sia che la Pasqua fosse "alta" o "bassa" rispetto al calendario, per noi ragazzi rappresentava il gioioso segnale dell'arrivo della primavera, rattristato dal fatto che bisognava tornare a scuola.
Tutte le foto sono di Ernesto Fazioli. L'operazione di pulizia delle Cattedrale avveniva generalmente la settimana prima dei riti della Settimana Santa. Si trattava di pulizie in grande stile. Una generale spolverata, la battitutra delle tende e dei panneggi, il lavaggio delle finestre, il ripasso delle cornici e dei quadri. Per raggiungere le porzioni più alte del Duomo si usavano lunghe scale e bastoni di diversi metri di altezza che permettevano di toccare anche le parti più nascoste e quelle difficilmente raggiungibili con i normali strumenti di pulizia. Squadre di uomini lustravano gli ottoni e gli oggetti di culto più d'uso, lucidavano le panche e si rendeva più bello ogni angolo. Si aveva così la sensazione di una chiesa diversa, in linea con la solennità in arrivo.
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