18 gennaio 2025

Ca' de Bonavogli, la messa nella stalla per celebrare Sant'Antonio, il santo protettore degli animali. Il ricordo delle tradizioni e della festa del passato nella piccola frazione di Derovere

Sant'Antonio Abate protettore degli animali e dunque quale modo migliore per ricordare la sua festa se non celebrare la messa direttamente nella stalla, tra mucche e vitelli, là dove la sua effigie resta tutto l'anno come benedizione per quegli animali e per chi li alleva.

Così anche quest'anno si è rinnovata la tradizionale funzione nella stalla, come negli anni precedenti, in quel di Ca' de Bonavogli, frazione di Derovere a due passi dalla via Postumia ed affacciata sul Santuario di Maria Madre della Parola Divina; un piccolo borgo che però resta sempre molto legato alle sue radici e tradizioni.

Vnerdì pomeriggio, accompangati da una bella giornata di sole, seppur fredda, i fedeli si sono riuniti nella stalla della cascina Bozzetti dove don Ernesto Marciò e don Francesco Tassi hanno celebrato la messa su un bell'altare allestito per l'occasione, con la tovaglia bianca di pizzo ed accanto un cavalletto con il classico quadro di Sant'Antonio tra gli animali arricchito da un mazzo di fiori. E per rendere ancora più solenne la funzione, non è mancato l'accompagnamento musicale ed i tradizionali canti dedicati al Santo dalla barba bianca. 

Al termine della celebrazione, la lettura di un testo in dialetto dedicato proprio alla tradizione della festività: 

"Sant'Antoni de la barba bianca, fàme truuà chèl che me manca. Ma l'è anca èl sant prutetur de li bestie" e da qui il racconto della tradizione a Ca' de Bonavogli e nelle campagne:

Nelle cascine il 17 gennaio era una grande festa: si iniziava quindici giorni prima, quando le donne iniziavano a preparare dei fiori con i fogli di carta colorata "me mama e me nona li fia i garofui, la Cia e la Giulia li rosi, e la Ida i gigli. Gh'era n'altarin in ogni stàla, dedicat a Sant'Antoni Abate". Per l'occasione la stalla veniva pulita bene dalle ragnatele "e me pupà l'endiva in di càamp a catà l'edera, che èl la metiva a mò de ghirlanda inturnu à l'altarin". Era la devozione semplice che aguzzava l'ingengo per utilizzare le poche e povere cose che erano a disposizione per rendere più ricca e solenne la celebrazione.

"èl pret èl vengiva a bendì ogni stala, cun tanta fede anca da part dei bergamìin": era la fede delle persone semplici, che vivevano ogni giorno del loro duro lavoro. Anche la cucina aveva la sua importanza nella celebrazione delle festività: ognuna aveva il suo piatto dedicato e per Sant'Antonio erano i gnocchi, tanto divertenti quanto poveri e semplici da preparare, a base di farina e patate e conditi con la conserva fatta coi pomodori coltivati nell'orto: "a misdè me mama e tüti li duni de la cassina i fiva i gnòch cun li patati e cundit cun la cunserva de pumatès fata d'estat".

Poi alla sera, dopo una frugale cena, tutti ancora una volta in stalla, a dire il rosario, a scaldarsi un po' e fare un po' di festa: "la siöra Norma e la siöra Santina cui so fioi e i so om, i purtava dei gran vasoi de biscòot e dèli butigli de vìin de bevèr in cumpagnìa. Per nualtèr regàss l'era 'na bèla festa, curìum per l'andaduura e fium li scavargnoli in sö li bòtuli de paja". Capriole e corse nella stalla, accompagnate da qualche biscotto per i ragazzi e da due bicchieri di vino per gli uomini, mentre le donne facevano filòs. E, in questa scena di povertà e semplicità, l'unica fonte di consolazione era la benedizione del Santo, che diventava tangibile e quasi scaldava l'ambiente : "anca li vachi e i manzulìin i sentiva la festa i'era quacch e i ne scaldava. I sentiva àanca luur che Sant'Antoni èl li prutegìiva".

Infine la riflessione si è conclusa con un ringraziamento al santo dalla barba bianca: "nualter se sunten truuàt incò per ricurdàa chèi bei mumèent e per dì a Sant' Antòni: grassie de la too benevulèenza".

Michela Garatti


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