20 luglio 2023

Cent'anni fa la prima colonia climatica cremonese a Zone in Valcamonica, da cui nacque poi il Sanatorio di Croce di Salven a Borno, oggi in rovina

C'erano proprio tutti la mattina di lunedì 3 giugno 1929, a Croce di Salven. Ad iniziare dal prefetto Francesco Rossi e dal dottor Stefano Foletti, presidente del Consorzio antitubercolare. Si doveva inaugurare il complesso dell'Istituto Climatico cremonese di Borno, costruito in tempo record nel giro di poco più di un anno da Achille Verdelli, ma già attivo dal 1923 quando cent’anni fa, era stata inaugurata la prima colonia climatica cremonese in Valcamonica a Zone. C'erano Tullo Bellomi, il podestà Giovanni Bellini, il professor Sandro Rizzi, direttore del Preventorio Antitubercolare, il vescovo monsignor Giovanni Cazzani, e molti altri. Non c'era Farinacci, ma sua moglie Anita. Almeno un centinaio, tra autorità ed invitati, che si erano dati appuntamento in questa “incantevole pineta piena di aria e di sole e di verde” dove il progettista aveva “profuso nella costruzione dell'edificio tutta la sua capacità di tecnico, tutta la sua intelligenza, tutta la sua bontà non badando a sacrifici, non curante del lavoro veramente grandioso”. Sono le 10,30 precise quando la signora Anita taglia il nastro posto sulla porta di ingresso per inaugurare il primo istituto climatico italiano nato dopo l'avvento del fascismo. Tocca poi al vescovo Cazzani, ricevuti i paramenti dal superiore dei Camilliani padre Mario, benedire i locali e consacrare l'altare della cappella. Il dottor Stefano Foletti, nel corso dei discorsi di circostanza tenuti sul piazzale antistante la struttura, riepiloga le fasi che hanno preceduto l'inaugurazione. Nel 1923 era sorta la “Colonia climatica cremonese” di Zone che per sei anni aveva ospitato i “minorati di guerra”, poi, ricorda Foletti “venuti dunque nella fortunata determinazione di promuovere la costruzione in località più idonea di apposito fabbricato il quale potesse anche in prosieguo di tempo essere eventualmente trasformato in un vero e proprio Sanatorio antitubercolare, a noi sembrò che la cosa ideata su tali basi assumesse carattere provinciale e permanente e non già di solo interesse particolare del Comitato pro tubercolotici di guerra, così che si pensò di affidare al Consorzio provinciale la soluzione dell'importante problema”. 

In realtà, a suggerire il trasferimento delle colonia climatica da Zone a Borno erano state, con ogni probabilità, motivazioni di carattere politico, sapendo la riluttanza della popolazione al fascismo,  tanto che i gerarchi fascisti bollarono il paese come "fuori legge”. Infatti, qualche anno prima, il 16 marzo 1925 una settantina di donne, partite dalla frazione di Cislano e dal paese, si erano recate silenziosamente in municipio, avevano salito le scale tra urla e grida ed entrate d'impeto nell'ufficio del Commissario prefettizio Giovanni Berghinzoni, lo avevano disarmato cercando anche di gettarlo dalle scale ma questi era stato salvato dall'intervento di alcuni soccorritori ed era fuggito.

Pertanto il Consorzio antitubercolare provinciale cremonese aveva avuto, nel 1928, l'idea di costruire a Borno un sanatorio, in una località immersa nei boschi dell'altipiano, la ̇Croce di Salven ̈, situata a cinque chilometri dal paese e a 1.200 metri d'altitudine. Lo spiega Foletti: “Avviate pratiche in tal senso e vinta la riluttanza delle popolazioni di questa fra le più belle e ridenti plaghe della Val Camonica, ad ospitare una Colonia di malati, si è ottenuto, mercè il personale validissimo interessamento di S.E.il gr. Uff. Rossi, Prefetto di Cremona, e di S.E. Il Prefetto di Brescia, l'offerta gratuita da parte dell'egregio Podestà di Borno, animato da alto senso di civismo, di cinquemila metri quadrati di terreno in questa località denominata Croce di Salven. Risolto in tal modo il quesito inerente alla scelta della località non rimaneva che arrivare ai mezzi coi quali far fronte all'ingente spesa, che secondo il progetto redatto dall'egregio ing. Achille Verdelli, si poteva presumere in L. 400.000. Il benemerito Comitato Pro Tubercolotici di guerra, disponeva intanto di conferire un contributo di L. 150 mila per l'impianto della Colonia e la rimanente somma a coprire il fabbisogno venne con delibera 26 luglio 1927 dell'Assemblea Consortile provveduta coi mezzi di bilancio a vantaggio del quale si era potuto inscrivere un avanzo di amministrazione abbastanza rilevante, tenendo conto che anche la benemerita Cassa di risparmio delle PP.LL. conferirà un contributo di L. 50.000. Si iniziò così la esecuzione del progetto sotto la guida dell'ingegnere progettista, progetto che subì nel corso dei lavori, importanti variazioni ed aggiunte quali, per citare la più importante, la costruzione di appositi locali per i servizi di lavanderia e di disinfezione.Naturalmente – aggiunge Foletti – la spesa in un primo tempo indicata in L. 400.000 salì a cifra ben più importante, anche per il fatto che si ritenne opportuno costruire un fabbricato che potesse eventualmente essere in prosieguo di tempo trasformato come si è detto in un vero e proprio sanatorio”.

“Per quanto riguarda l'esercizio della Colonia – racconta Foletti- e precisamente per ciò che concerne l'assistenza sanitaria, infermiera e religiosa, si è disposto perchè, per tutta la durata della stagione, un medico incaricato dall'Amministrazione consortile assuma la direzione dell'Istituto, mentre alla assistenza infermiera, morale e religiosa provvederanno un Padre ed due Fratelli Camilliani oltre a due inservienti, secondo una convenzione stipulata fra l'amministrazione consortile e la Pia Casa di Cura San Camillo. La parte amministrativa venne invece affidata ad apposito personale. Alla migliore riuscita dell'opera ed al disbrigo delle numerose pratiche succedutesi nel corso dell'importante lavoro, cooperarono validamente l'ingegnere progettista Achille Verdelli e, con fede di apostolo, l'egregio medico provinciale cav. Dott. Francesco Angelillo”. 

I primi ospiti arrivano il 5 giugno, “lavoratori dei campi e delle officine, molti di quelli che ancora portano le tracce delle sofferenze incontrate nel disagio della trincea, altri votatisi al sacro ministero della nostra religione, ed altri ancora ne seguiranno, in tutto 120 a carico dell'O.N. Invalidi di guerra, del Consorzio Antitubercolare dei Comuni della Provincia e della Congregazione di Carità di Cremona”. In realtà per poter realizzare l'Istituto Climatico Cremonese era stato necessario vincere innanzitutto la diffidenza della popolazione, preoccupata per un possibile contagio. “E non sono questi i malati che stremati dalle sofferenze e colla buia visione di una morte vicina cercano nelle auree balsamiche di queste pinete un passeggero refrigerio, una remora alla tappa finale. No – insiste Foletti – essi non vengono quassù a portare come qualcuno, in un errato pregiudizio, può credere, il contagio del morbo terribile: essi sono coloro che per le nostre cure sfuggirono alle insidie del male e che vogliamo togliere dal quotidiano lavoro per ritemprarne le forze, per rinvigorirne la fibra: sono coloro che per la debole resistenza organica da pregresse malattie sono più disposti ad ammalare: sono giovani che vogliamo restituire alla fervida attività del lavoro per dar braccia robuste alla patria nostra”. Ma Foletti, a corroborare le proprie convinzioni, aggiunge anche una pesante allusione: “Cercate negli alberghi alpini, nelle case private che si aprono nell'estate sui pianori e nelle valli amene, la moltitudine dei veri malati contagiosi, perchè ignorati: essi destano nell'opinione pubblica, quasi sempre ignorante, alcuna apprensione: non cercateli certamente nel nostro istituto ove con una rigida disciplina i nostri colonizzanti trarranno dal conveniente regime igienico e dietetico e da queste purissime auree le novelle energie per ritornare al loro lavoro. E giova il dirlo! Gli abitanti di Zone ci hanno espresso tutto il loro rimpianto per l'assenza dei nostri colonizzanti ai quali quella popolazione si era tanto affezionata”. A riprova di quanto sostiene, ed in velata polemica con la comunità di Borno, Foletti enumera le iniziative intraprese dalla Provincia di Cremona contro la tubercolosi: “Mentre Borno inizia così la sua nuova vita nell'attesa di ulteriori sviluppi, il Consorzio Antitubercolare invia alle cure alpine di Serina e di Alagna oltre 100 giovani donne, spose e madri bisognose di cura e manda al mare ed al monte oltre 100 bimbi: dalla Provincia tutti in cura al nostri Istituto c'accertamento mentre diffonde nella Provincia una intensa propaganda antitubercolare a mezzo di una film da noi preparata illustrante tutto quanto Cremona ha fatto e fa per combattere la Santa battaglia.

Per essa dall'aiuto materno della Croce Rossa a tutte le varie Istituzioni Antitubercolari di Cesenatico, Finalpia, di Vestone e di San Colombano e delle Colonie nostre Cremonesi del Po, dalle colonie fluviali della Provincia, alla Federazione Provinciale dell'O.N. Maternità ed Infanzia e alla fiorente colonia balilla di Roberto Farinacci è tutto un meraviglioso fiorire di provvidenze che onorano la nostra Cremona antesignana in questa lotta di grand e provvida umanità”.

Il primo padiglione per il ricovero di malati di tubercolosi, riservato agli adulti, viene inaugurato quella mattina di giugno. Seguirono una serie di altri interventi a pochi chilometri di distanza, che portarono il paese di Borno a essere considerato uno dei più importanti centri riabilitativi in Italia: nel 1933 fu infatti costruito il secondo imponente sanatorio e nel 1934 il terzo, riservato ai bambini. 

Già dal 1969 si stava interessando all'acquisto del complesso l'ente Colonie riunite cremonesi, quando lo stabile era ormai abbandonato da cinque anni. In quell'anno vennero presi i primi contatti con il Consorzio Antitubercolare di Cremona per un eventuale acquisto o, in alternativa, un contratto di locazione con un patto di futura vendita per il Padiglione infantile dell'ex villaggio sanatoriale, per poterlo adibire a colonia montana. 

Già allora ci si rese conto delle enormi potenzialità  del complesso, posto all’interno di un vastissimo parco. Un primo contratto di locazione venne stipulato nel 1972, per la durata di sei anni e un importo annuo di un milione di lire. Tre anni dopo si dovette rinunciare all'acquisto. Si pensava, infatti, di ricavare la somma necessaria dalla vendita di un appezzamento di circa 8.000 metri quadrati situato a Bergeggi, in provincia di Savona, dove nel frattempo l'ente aveva acquistato il complesso di villa san Sebastiano. Ma la cosa non andò in porto per la mancata approvazione del piano di edificazione intercomunale, che lasciava margini di incertezza sugli indici di fabbricabilità. Il terreno non fu venduto e non si potè acquistare Borno. Ci si dovette accontentare del contratto di locazione che, nel 1980, vista la scarsa rilevanza dell'utenza cremonese, non fu più rinnovato. Questo segnò, di fatto, la fine di Borno. Il complesso attualmente è chiuso da circa quarant'anni, ma lo era già stato nel periodo dal 1964 al 1972, quando venne preso in affitto dall'ente Colonie riunite cremonesi. Ora è proprietà della Provincia ma ha sempre destato una scarsa attenzione da parte della speculazione privata. Forse perchè, in ogni caso, il lavoro di ripristino presenterebbe notevoli oneri e difficoltà, visto lo stato di conservazione in cui giace l'immobile. La rovina interessa in questo caso un grande fabbricato e ben 52.830 metri quadrati di terreno. Il solo fabbricato ha un volume di novemila metri cubi, un tempo utilizzati come sanatorio infantile.  La Provincia di Cremona lo ha inserito nel piano delle alienazioni per un valore di 2.294.000 euro. Ormai nascosti da una fitta vegetazione gli edifici stanno cedendo al tempo e all’incuria. L ‘edificio meglio conservato è una palazzina ad uso uffici che faceva anche da portineria, e che dava accesso a tutta la struttura, distribuita in vari edifici dislocati in posizioni strategiche fronte sole e circondate da boschi e pascoli. Esternamente si presenta ancora ben tenuta, interamente un po’ meno. Lo stato di conservazione è quello documentato dalle fotografie del sito “Polveresupellicola” che pubblichiamo. Alcune strutture del complesso sanatoriale, tra cui il cinema, sono crollate quasi completamente. L'unica che si è salvata è la pineta: diecimila metri quadrati di parco, aggiunti altri oltre quarantamila di prato e pascolo, oramai non goduti più da nessuno. Intanto però negli anni scorsi su quel terreno sono stati tagliati decine di alberi senza che l’ente locale fosse stato avvisato.

Fabrizio Loffi


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commenti


Marco Ruffini

20 luglio 2023 09:59

Essendo stato l'allievo dell'ing. Achille Verdelli nella direzione del Naviglio della citta' di Cremona se ben ricordo lo stesso Ing. Verdelli fu il progettista del sanatorio di Borno