Cinque Stradivari e un Amati nel rifugio alpino di Hitler. E quel medico radiologo nazista che passò ai raggi X il violino del sommo liutaio per carpirne il segreto
Berchtesgaden è una piccolo paese immerso nelle alpi bavaresi; un posto idilliaco per gli amanti della montagna, perché, spostandosi verso nord senza fare troppa fatica, la vista si può aprire fino a vedere Salisburgo, distante circa 20 chilometri. Berchtesgaden era, fino al 1945, il luogo prescelto da Adolf Hitler dove passare il suo tempo libero, il dittatore austriaco aveva fatto ristrutturare ed ampliare, a poche centinaia di metri di distanza dal paese, il Berghof, una struttura che gli dava la possibilità di passare il tempo libero tra quei monti a lui tanto cari. Non fu l'unico edificio voluto da Hitler nella zona perché, alzando lo sguardo dal cortile del Berghof, si poteva osservare tranquillamente il rifugio alpino, poco frequentato dalla élite, che prese il nome di “Nido dell'Aquila”, visto come una sorta di ultima chance di difesa in caso di caduta del regime nazista.
Il preambolo “geografico” su quell'angolo delle Alpi bavaresi, e sul suo significato all'interno della storia del nazismo, può servire per far capire quanto importante fosse l'interesse degli Alleati verso quei luoghi dal maggio del 1945. Gli statunitensi e i francesi, che arrivarono al Nido dell'Aquila passando da Berchtesgaden e dal Berghof, vedevano in quel luogo il simbolo della ascesa di Hitler ma, soprattutto, erano interessati ai segreti, più o meno conosciuti, che il dittatore poteva aver lasciato nelle strutture da lui fortemente volute.
Berchtesgaden nel 1945 poteva vantare un singolare “record”, in pratica vi era un violino di fattura cremonese ogni 1000 abitanti circa, un numero impressionante che, con i dovuti paragoni, porterebbe Cremona a possedere un totale di circa 70 strumenti ad arco creati da Stradivari, Amati o dai Guarneri del Gesù. Un valore irrealistico per la città regina della liuteria, un valore che, contando gli abitanti, diventa ancor più difficile da accettare per quel piccolo borgo alpino.
Sul finire del 1945 gli Stati Uniti stavano cercando di capire quali fossero i segreti, militari o politici, che Berchtesgaden poteva nascondere e, partendo da quelli, cominciarono a tessere una ragnatela fatta di intercettazioni telefoniche ed epistolari che alzarono il velo su diversi violini cremonesi.
Dalle indagini venne fuori che il piccolo paese risultava in possesso, nel 1947, di ben sei strumenti ad arco, cinque Stradivari ed un Amati, tutti intestati al dr. Fritz Reuther, industriale bavarese, già arrestato nel 1945 e uscito dal carcere a metà 1946, ed accusato di aver sostenuto attivamente il nazismo intascando proventi extra con il processo di arianizzazione delle sue aziende.
I verbali delle intercettazioni sulla “strana” collezione degli archi cremonesi sono a dir poco esilaranti nella loro pochezza crittografica; chiamare un antiquario in Germania chiedendo come stavano i “sei pacchetti di sigarette” depositati al sicuro nella cassaforte del commerciante di opere d'arte avrebbe, al massimo, ingannato forse un paio di bambini della scuola materna, non di certo gli operatori dei servizi segreti che erano tranquillamente in ascolto.
Non servivano persone come Alan Turing o il cremonese Cicco Simonetta per capire i codici crittografici e definire che i violini in carico all'industriale, ammesso e non concesso che fossero di provenienza lecita, rappresentavano una sorta di garanzia personale visto l'enorme valore che gli veniva attribuito. Nel 1947, al termine delle indagini, gli statunitensi chiameranno Reuther per chiarire la sua posizione su quella collezione; ovvero come erano arrivati in suo possesso così tanti e pregiati strumenti cremonesi e come mai tutti erano in carico a due soli residenti di Berchtesgaden, quel luogo dove buona parte dei cittadini magari non condividevano gli ideali nazisti, ma che avevano visto per lustri i più importanti ranghi del partito sfilare per un appuntamento con il Fuhrer.
Se Reuther venne chiamato a rispondere della provenienza della sua collezione vi è oggi, a distanza di 80 anni, uno Stradivari, appartenuto al musicista Lauterbach, che non ha ancora trovato il legittimo proprietario. Nel 1944 dott. Hans Holfelder, medico radiologo, fervente nazista e posto al comando della unità speciale per i raggi X delle SS, saccheggiò il museo di Varsavia dopo aver soppresso la famosa rivolta impossessandosi di uno Stradivari donato anni prima da un industriale polacco.
Il medico morirà combattendo contro l'Armata Rossa a Budapest alla fine dello stesso anno ma con la chiusura delle ostilità un sottoposto di Holfelder, l'ufficiale Blank, venne arrestato e gli venne chiesto quale fosse stata la fine dello strumento. Blank, dichiarandosi ignaro di tutto, ipotizzava che il suo comandante volesse sottoporre il violino ad analisi tramite raggi X per scoprire qualcuno dei segreti di Stradivari ma il Lauterbach sparì dalla circolazione per decenni. Ad oggi non si sa ancora con chiarezza se uno Stradivari comparso in Francia pochi anni fa sia il famoso violino del museo di Varsavia, di certo si sa che lo stato polacco ne rivendica la proprietà mentre gli esperti, divisi sulla attribuzione, non riescono a trovare un punto in comune per l'assegnazione certa dello strumento. Un altro mistero lasciato da Antonio Stradivari.
Nelle foto Holfelder (seduto) visita le SS e l'elenco dei servizi segreti americani sugli strumenti presenti a Berchtesgarden
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