13 gennaio 2023

Clima: Coldiretti, questo gennaio lascia i campi a secco. Ricordi di inverni di altri tempi. La grande nevicata del 1985, quando Cremona rimase seppellita sotto un metro di neve

A lasciare l’Italia a secco è un inverno che dal punto di vista climatologico fa segnare fino ad ora una temperatura superiore di 2,09 gradi la media storica ma l’anomalia è stata addirittura di 2,54 gradi nel centro Italia e di 2,65 gradi nel mezzogiorno, valori mai registrati prima. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla banca dati aggiornata Isac Cnr che rileva le temperature dal 1800 e che classifica il 2022 come l’anno più bollente con una temperatura media superiore di 1,15 gradi e la caduta del 30% di precipitazioni in meno, rispetto alla media storica del periodo 1991-2020. La pioggia e la neve – sottolinea la Coldiretti – sono importanti per dissetare i campi resi aridi dalla siccità e ripristinare le scorte idriche nei terreni, negli invasi, nei laghi, nei fiumi ma si registra anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell`arco alpino ed appenninico come evidenziato dall’ Anbi. Gli effetti sono evidenti con i grandi laghi che – continua la Coldiretti – hanno ora percentuali di riempimento che vanno dal 19% di quello Maggiore al 23% di Como fino al 35% del lago di Garda mentre il livello idrometrico del fiume Po al Ponte della Becca è a -3,1 metri e si registra anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell’arco alpino ed appenninico. Se le piste da sci nel centro Italia sono deserte con un pesante danno per l’economia locale, la mancanza neve in questa stagione – continua la Coldiretti – crea difficoltà anche per l’agricoltura secondo il vecchio adagio contadino “sotto la neve il pane. Ma a preoccupare – sostiene la Coldiretti – è anche il caldo anomalo con le coltivazioni ingannate da una finta primavera che si stanno predisponendo alla ripresa vegetativa come noccioli, pesche, ciliegie, albicocche, agrumi e mandorle dove iniziano ad aprirsi le gemme a fiore fuori stagione. Il rischio concreto è che – spiega la Coldiretti – nelle prossime settimane le repentine ondate di gelo notturno brucino fiori e gemme di piante e alberi, con pesanti effetti sui prossimi raccolti e sul carrello della spesa. Si accentua – sottolinea la Coldiretti – la tendenza al surriscaldamento in Italia dove la classifica degli anni più roventi negli ultimi due secoli si concentra nell’ultimo decennio e comprende nell’ordine dopo il 2022 il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2020. Il cambiamento climatico è stato accompagnato da una evidente tendenza alla tropicalizzazione che – continua la Coldiretti – si manifesta con una più elevata frequenza di eventi violenti, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi. L’agricoltura – conclude la Coldiretti – è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici con i danni provocati dalla siccità e dal maltempo che hanno superato nel 2022 i 6 miliardi di euro.

 
Inverni di altri tempi, quando nevicava veramente ed il freddo era pungente. Sono passati quasi 40 anni, ma è uno di quegli eventi che chi ha vissuto si ricorderà sempre. Erano i primi giorni di gennaio del 1985. Tutto il nord Italia venne investito da quella che ancora oggi è ricordata come la grande nevicata dell’85. Tre giorni di neve caduta incessantemente anche in città, preceduti da un’ondata di freddo gelido e nelle campagne della bassa pianura padana, si toccarono anche i 22 gradi sottozero.  
A partire dal 4 gennaio, una massiccia ondata di gelo proveniente dall’artico russo (più precisamente dal mare di Kara) raggiunse il mar Mediterraneo, avanzando con estrema velocità. Non si trattò quindi di aria polare continentale di origine siberiana, come ancora pensano molti.
L’ondata di gelo, in un primo momento, provocò estese nevicate su Toscana, Umbria, Marche, Lazio (Roma compresa), Campania e anche, in misura minore, in Pianura Padana (sebbene non si trattasse di fenomeni eccezionali per il clima dell’Italia Settentrionale). A causa dell’inversione termica e dell’effetto albedo, le temperature minime in Toscana ed Emilia-Romagna scesero anche al di sotto di -20 °C.
Successivamente, tra il 13 ed il 17 gennaio 1985, una depressione centrata sul mar di Corsica provocò quella che (assieme alle altre che seguirono nei giorni successivi) è ancor oggi ricordata a Milano e in tutta la Lombardia come la nevicata del secolo o la nevicata dell’85, costituendo la nevicata più forte registrata nella regione nel XX secolo.
In una sola nevicata, che durò oltre 72 ore, caddero tra i 70 ed i 90 cm di neve. Il totale dei centimetri di neve caduti raggiunse livelli record: 20 centimetri a Genova, 30 a Venezia, 40 a Padova e Treviso, 50 a Udine e Vicenza, 60 a Biella, 80 a Bologna, 110 a Como, 122 a Varese, da 130 a 150 cm a Trento. A Milano, dopo 4 giorni e 3 notti di nevicata, il manto nevoso arrivava fino a 90 cm. Nevicò addirittura a Cagliari e in tutta la Sardegna.
L’inizio fu il 13 gennaio. Un giorno freddo, in cui il termometro scese oltre 10 gradi sotto lo zero. La sera dovettero chiudere per il maltempo gli aeroporti di Malpensa e Linate. Il giorno dopo tutta la Lombardia si risvegliò con oltre 30 centimetri già caduti e dal cielo i fiocchi continuavano incessantemente a cadere. Strade completamente coperte da un manto bianco. Un silenzio surreale. Mezzi spalaneve insufficienti. Il tutto durò per tre lunghissimi giorni. Tre giorni in cui sembrava di essere stati catapultati in un altra realtà. Scuole chiuse, uffici con metà dei dipendenti e l’altra metà bloccata in viaggio. Non mancarono i danni provocati dalla perturbazione: tetti sfondati, incidenti, cadute. A Milano crollarono i tetti del Palazzetto dello sport e del Vigorelli. L’eccezionalità del fenomeno provocò caos e problemi in tutto il Nord Italia, impreparato ad una simile situazione. Inoltre, parte delle attrezzature antineve della metropoli lombarda erano state precedentemente inviate a Roma, dal momento che la Capitale era già stata bloccata, il 6 gennaio, da una nevicata di dimensioni anomale per il luogo.
E' stata la “grande nevicata del 1985, ricordata anche in una famosa canzone dei “Bluevertigo”, il gruppo di Morgan, ed immortalata nelle splendide immagini di Giuseppe Muchetti. La mattina del 16 gennaio era già caduta una quarantina di centimetri di neve e la situazione iniziava a farsi critica. Era mercoledì, giorno di mercato, e le condizioni atmosferiche non promettevano nulla di buono. Sarebbe stata un’altra giornata di nevicate. I commercianti di via Mercatello avevano realizzato un pupazzo per protestare contro l’isola pedonale che impediva l’accesso dei mezzi spazzaneve. Gelava l’acqua nelle canne ed il gasolio nei serbatoi delle auto. A ruba pale, badili, stufe elettriche. 
Davanti ai cancelli dei magazzini comunali in via Del Macello la fila degli aspiranti spalatori: ne erano già stati assunti 160 suddivisi in undici squadre che sarebbero diventati 250 entro sera. Bastava entrare nei magazzini, fornire le proprie generalità e poi si veniva fatti uscire dalla finestra per l’impossibilità di fendere la folla che si era accalcata alle spalle. Il Centro di coordinamento della Protezione civile aveva d’altronde già avvertito che le basse temperature e le forti nevicate previste fra domenica 13 e mercoledì 16 gennaio avrebbero richiesto grande attenzione, soprattutto nell’approvvigionamento di sale, che iniziò ben presto a scarseggiare. Dal 10 gennaio, all’arrivo della prima gelata notturna, per lo scoppio di due radiatori dei gruppi elettronici diesel che alimentavano la rete di sicurezza, era stata fermata la centrale nucleare di Caorso. Il consumo eccezionale di metano costringeva l’Aem ad aumentare i prelievi dalla rete Snam, superando il fondo scala contrattuale con il risultato di dover spendere qualche centinaio di milioni di lire di sovrapprezzo. La municipalizzata era stata costretta a richiamare in servizio il personale in ferie per far fronte alle prime rotture di condotte dell’acqua potabile a Picenengo, in corso XX Settembre e in via Bissolati, con turni di lavoro di 12-13 ore consecutive. Anche gli autobus e i filobus in servizio in città avevano registrato le prime rotture ai sistemi frenanti e ai meccanismi di apertura e chiusura delle porte. Ritardi di due o tre ore anche sulle linee ferroviarie, a causa della neve che si accumulava sui binari senza il tempo di poter essere rimossa. 
La mattina di giovedì la neve aveva già raggiunto i 60 centimetri ed erano iniziati i primi crolli. I vigili del fuoco intervenivano ripetutamente in una cascina di via Giuseppina, in via Ceccopieri, via Aselli, corso Garbaldi e via XI Febbraio, per mettere in sicurezza gli alberi in via San Bernardo: «La situazione già oggi è stata caotica – spiegava il comandante ingegner Denaro – abbiamo richiamato tutti i vigili, anche quelli che dovevano godere dei turni di riposo, per far fronte alle decine e decine di chiamate. Lo strato di neve ha provocato crolli dappertutto e se dovesse piovere temiamo che possa succedere qualcosa di ancor più grave. Speriamo di no. La gente ha paura, ora ha davvero paura anche se bisogna calcolare che i tetti, per essere collaudati, dovrebbero essere in grado di sopportare anche due metri e mezzo di neve!»
La circolazione è paralizzata, un paio di tir restano bloccati in via Zaist, le linee telefoniche sovraccariche vanno in tilt. A Crema l’Olivetti decide di mettere in ferie per una settimana i 750 dipendenti ed anche la Feraboli, a Cremona, sta pensando ad una riduzione dell’orario di lavoro, mentre la Harden di Sospiro annuncia la chiusura a seguito del crollo dell’intera copertura. 
Chiudono gli istituti scolastici superiori, mentre continuano a funzionare regolarmente medie ed elementari. “La città è nel completo caos” titola il quotidiano “La Provincia”: parcheggi bloccati, marciapiedi impraticabili. La Guardia di Finanza prende vanghe e badili e libera provvisoriamente dalla neve piazza Castello e via Zara, mentre una cinquantina di militari intervengono a liberare i binari e gli scambi della stazione di Cavatigozzi. Sale a 320 il numero degli spalatori impegnati a cui si aggiungono 130 militari della Col di Lana che il Prefetto Beatrice ha ottenuto dal Comiliter di Torino perchè si presentino ai magazzini comunali per essere inviati nelle zone cittadine di particolare interesse pubblico, ospedali e cliniche private. Vengono impegnati anche i mezzi dello Snum, che interrompono il normale servizio di raccolta dei rifiuti. Camion e camion scaricano la neve nel Morbasco, dal piazzale di via Boscone all’angolo con via Del Sale, si ripulisce piazza Marconi ma gli ambulanti non arrivano. Resta bloccato lo stadio Zini, stracolmo di neve, ma si decide di affrontare prima l’emergenza sulle strade, visto che l’intervento si presenta particolarmente lungo e complesso. 
“Caos nel traffico, paura per i crolli – scrive il cronista il 18 gennaio – Ormai siamo allo stato di emergenza completa anche se ancora si cerca di non riconoscere la gravità della situazione. E’ anche questo un motivo per tentare di fronteggiare lo stato di calamità senza allarmismi. Ma non si possono dimenticare i numerosi crolli; capannoni che hanno provocato danni alle industrie, stalle e silos danneggiati in modo anche grave, numerosi capi di bestiame morti sotto le macerie”. “L’auto sobbalza sui crostoni di ghiaccio: si circola peggio di mercoledì, però sono arrivati trecento quintali di sale e la macchina è uscita di prima mattina a spargerlo. «Il sale serve a sciogliere i crostoni, poi interverremo con le lame spartineve», dice un funzionario comunale...Ma c’è anche chi spala la neve e non è in divisa: continua infatti a crescere il numero di coloro che si presentano ai magazzini comunali. Ieri erano circa quattrocento e tra di essi c’era pure qualche donna. La paga è poco più di diecimila lire all’ora e i conti sono presto fatti, se si pensa che l lavoro li impegna per una decina di ore al giorno. Ma hanno sgobbato anche quei volontari, circa una trentina, che hanno cominciato a spalare la neve allo stadio Zini. L’operazione continuerà anche oggi e nella notte con i riflettori accesi”. Quattro giorni di nevicata ininterrotta, 105 centimetri di manto sulle strade. Quasi come nel 1911. Per un attimo, giovedì 17 gennaio, la neve cessa di cadere, e si può iniziare una prima stima dei danni. In provincia la situazione è drammatica: crolli in cascine a Corte de’ Cortesi e Cella Dati, Vicomoscano, Persico Dosimo, Isola Dovarese, Pieve San Gacomo e all’Aipm di Cà d’Andrea, dove la neve ha sfondato i coperchi di sette silos. Il cremasco è in ginocchio: la Galbani non riesce a raccogliere il latte munto, che resta nelle stalle.
Si arriva a sabato, 19 gennaio, ma la situazione non migliora: “Siamo ormai al limite della sopportazione; la circolazione stradale è impossibile e l’intera città è quasi paralizzata. Sembra incredibile, la gente non riesce a capacitarsi come mai in cinque giorni non sia stato possibile rimuovere la neve dalle strade. D’accordo, l’evento è di portata eccezionale, non poteva essere preventivato. E tanto meno Cremona e provincia possono sopportare spese annuali per garantire un servizio di efficienza, proprio in considerazione del fatto che mezzi ed anche uomini si renderebbero utili soltanto ogni decennio. Tuttavia abbiamo avuto l’impressione che non fosse pronto alcun piano di coordinamento, che ci si sia affidati un po’ troppo all’arte italiana di arrangiarsi, Oppure si è sperato in un mutamento delle condizioni atmosferiche? Sta di fatto che in città e provincia sono ferme ed inutilizzate un centinaio di lame, quindi anche trattori e ruspe; inoltre i dipendenti delle imprese edili sarebbero disponibili perchè in questo periodo sono senza lavoro”. Ma a soffrire sono anche le attività produttive: “Disastroso l’attuale momento delle industrie; non arrivano i materiali da lavorare sempre a causa delle strade impraticabili. Industriali, piccoli industriali, artigiani e commercianti sono ormai senza lavoro o quasi; il 50 per cento delle industrie hanno chiuso sino a lunedì; fra questi anche l’Acciaieria Arvedi. I piccoli industriali hanno fatto pervenire una lettera di protesta ai parlamentari cremonesi. La stessa cosa si deve dire delle aziende agricole; alcune sono senza rifornimenti di mangime. Eppure la nostra è una provincia piatta...”. Vengono richiesti dalla Prefettura altri 60 soldati per lo sgombero della neve alla stazione ferroviaria e nelle principali vie di comunicazione. Un camion si blocca sul passaggio a livello di via Rosario, mentre dalla stazione di Cremona sta arrivando un treno, i due autisti si buttano nella neve pochi istanti prima che il convoglio investa l’automezzo ad una velocità di circa 80 chilometri all’ora. Solo per un miracolo nessuno resta ferito. Solo con domenica la situazione migliora, il lunedì successivo riaprono tutte le scuole ed i ritardi dei treni si mantengono accettabili. Tocca al prefetto Giulio Beatrice, una volta cessata l’emergenza, stilare il bilancio dei danni: “Per quanto riguarda la zone maggiormente colpite e la valutazione dei danni devo dire che nel periodo interessato dalle precipitazioni era già possibile valutare in alcune decine di miliardi i danni subiti. Le numerose e ripetute constatazioni eseguite consentivano di valutare le categorie di danno: 1) scoperchiamento e crollo di un centinaio di edifici privati o pubblici; 2) gravi lesioni e danneggiamenti a tettoie o coperture di fabbricati industriali, ad aziende agricole, a imprese artigiane e commerciali. In particolare per le aziende agricole i crolli ed in danneggiamenti sono risultati quasi sempre accompagnati dalla perdita di ragguardevoli scorte; 3) grave danneggiamento di intere coltivazioni, distruzione per congelamento di vaste colture, distruzione e grave danneggiamento di impianti e strutture zootecniche; 4) lesioni e danneggiamenti a strade statali, provinciali e comunali, nonché alle reti di acquedotto e di fogne; 5) notevoli danneggiamenti ad impianti elettrici e telefonici. Durante il periodo delle nevicate e nei giorni seguenti le autorità centrali venivano costantemente ragguagliate sulle rilevazioni dei danni, facendo presente l’urgenza della declaratoria di pubblica calamità, previo il parere della Regione Lombardia, nell’intento di assicurare per l’intera area coinvolta dalle precipitazioni nevose la concessione delle provvidenze previste dalle leggi”.
 
Le fotografie sono di Giuseppe Muchetti
Fabrizio Loffi


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