Dopo la scoperta della vera identità della madre di Leonardo, le tracce dell'artista nel cremonese: la modella preferita, Soncino, gli affreschi a Rivolta, Cecilia Gallerani
Ha fatto il giro del mondo la notizia dell’eccezionale scoperta, da parte del professore Carlo Vecce, filologo e storico del Rinascimento, docente all'Università di Napoli “L’Orientale”, sulla vera identità della madre di Leonardo da Vinci: una principessa dei Circassi, di nome Caterina, figlia del principe Yakob, che governò uno dei regni sugli altopiani delle montagne settentrionali del Caucaso. Dopo essere stata rapita, probabilmente dai tartari, fu fatta schiava e rivenduta ai veneziani che la trasferirono nella laguna di Venezia nel 1440, mentre nel 1442 giunse a Firenze intorno a 15 anni, dove fu serva e balia in casa di Ginevra. Fu qui che Caterina conobbe Piero da Vinci, il notaio con cui concepì il figlio illegittimo nato il 15 aprile 1452, ad Anchiano, piccolo borgo del comune di Vinci. Non è l’unico mistero che circonda la figura del grande artista rinascimentale, di cui possiamo trovare tracce anche nel cremonese.
Lo stesso Leonardo Da Vinci nei suoi scritti annota “a Sonsino sol cremones” accanto a un disegno di canali irrigui. Una probabile testimonianza di un suo passaggio a Soncino nell'estate del 1498, accompagnato dall'amico fra Luca Pacioli. E, con una punta d’orgoglio, possiamo solo ricordare che un cremonese, Luciano Sassi di Isola Dovarese, massimo esperto in conservazione del patrimonio librario e archivisti, ha scoperto che sul registro notarile stipulato a Milano il 25 aprile 1483 per la realizzazione della tavola di altare “La Vergine delle Rocce”, conservato all’Archivio di Stato, c’era l’unica firma del Genio e in più l’unica “dritta”, non speculare. Sassi è riuscito a vedere l’eccezionalità che altri non avevano visto: “Io Lionardo da Vinci in tesstimonio ut supra scripsi”. Un lavoro lungo, durato un anno intero. Una scoperta importante che non cambia la storia del grande artista e scienziato, ma che ne testimonia direttamente e per la prima volta l’esistenza. «Siamo arrivati a stabilire che questa è l’unica dichiarazione che fa Leonardo di esistere perché normalmente sono altri che parlano di lui – dice Luciano Sassi -. E’ ovvio che non c’è niente di certo: la firma è unica appunto fino a questo momento, domani non si sa cosa si potrà scoprire”.
Si può forse supporre una presenza di Leonardo anche a Villa Medici del Vascello residenza di Cecilia Gallerani, la giovane amante di Ludovico il Moro, andata sposa nel 1492 al conte Ludovico Carminati di Brembilla feudatario di san Giovanni in Croce, ritratta nelle vesti della Dama con l’ermellino, oggi custodito al Museo Czartoryski di Cracovia, dipinto tra il 1488 ed il 1490 durante il soggiorno di Leonardo alla corte milanese degli Sforza.
E' certa invece l’altra traccia di una presenza leonardesca nel cremonese nella clamorosa volta a botte interamente affrescata della chiesa dell’Immacolata a Rivolta d’Adda, che costituisce la più completa trasposizione del trattato leonardesco sulla pittura, ideato dal grande artista toscano tra il 1489 ed il 1490 con lo scopo di fornire ai propri allievi un supporto teorico sul quale fondare la propria arte. La nota di pagamento, datata 1506, del ciclo di affreschi, ha permesso di identificare quali autori del ciclo Martino Piazza e Giovan Pietro Carioni. I 104 tondi che costituiscono la decorazione della botte rappresentano un vero unicum per invenzione, originalità, sterminata varietà delle pose, espressioni, tipologie dei personaggi raffigurati. Per alcuni tondi il preciso riferimento ai disegni di Leonardo mette in evidenza la stretta dipendenza di questa decorazione pittorica dall’opera del maestro fiorentino nel suo primo soggiorno milanese tra il 1482 ed il 1499, dimostrando la precisa volontà dei frescanti di aggiornarsi sulle novità introdotte dal maestro fiorentino.
E che dire delle frequentazioni cremonesi del giovane Leonardo? Ci ha provato anche Il produttore Luca Bernabei nella mini serie Tv “Leonardo” andata in onda un paio d’anni fa, tratteggiando il ritratto di Caterina da Cremona, prima modella, e poi amica di Leonardo da Vinci interpretata da Matilda de Angelis. In realtà chi cercasse notizie su Caterina non le troverebbe mai. Troverebbe, però, il nome di un’altra modella, anch’essa cremonese, storicamente documentata, che in comune con la nostra ha non solo l’origine ma anche il destino di cortigiana.
Leonardo da Vinci, contrariamente a quanto vorrebbe una certa maldicenza popolare, non era per nulla indifferente al fascino femminile. Anzi smessi i panni del pittore spesso indossava quelli più prosaici del libertino, trascorrendo il resto della giornata con una giovane prostituta cremonese. Ne era talmente invaghito che pensò bene di ritrarla in una versione meno nota e più scollacciata della Gioconda più conosciuta, appunto la cosiddetta “Gioconda nuda” una delle quali conservata oggi all’Accademia Carrara di Bergamo e considerata fino al tardo Seicento il ritratto di una meretrice. Il vago ed enigmatico sorriso della Gioconda “vera” lascia qui spazio ad un ammiccamento che il non più giovane Leonardo doveva ben conoscere e replicare in più di una versione. Ad ispirarlo in un modello poi seguito anche da Giulio Romano e Raffaello fu proprio la bella cremonese che esercitava il mestiere più antico del mondo. A squarciare il velo su questo Leonardo meno conosciuto è stato qualche anno fa Carlo Pedretti, uno dei maggiori esperti della vita e delle opere di Leonardo, scomparso nel 2018.
Proprio il ritratto conservato oggi all’Accademia Carrara di Bergamo dal 1664, quando ancora si trovava al museo Settala di Milano, era catalogato come il ritratto di una meretrice eseguito da Leonardo: “Mulier, creditur meretrix, opus magni illius pictoris Leonardo a Vincio”. Come se non bastasse un’altra versione dello stesso soggetto a cui si sono senza dubbio ispirati Raffaello e Giulio Romano con le loro “fornarine”, realizzata da un artista della scuola di Fontainebleau e conservata al museo di Digione, rappresenta la nostra cortigiana nell’atto di portarsi una mano al petto tenendo tra le dita un medaglione ovale nel quale si sarebbe riconosciuto il profilo di Leonardo, con un’iscrizione che reca la data del 1501.
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