Elezioni del '54 a Motta Baluffi: il sindaco con gli zoccoli. Comunisti e cattolici, un clima alla don Camillo e Peppone. Il racconto di Sergio Lini
Qualche anno fa il collega giornalista Sergio Lini scrisse per la "Cronaca" questo racconto autobiografico sulla politica di 70 anni fa nelle nostre campagne. Un pezzo di storia, alla Don Camillo e Peppone, tra dure contrapposizioni, umanità e compromessi per il bene della comunità. C'erano le elezioni del 1954, una storia da non dimenicare.
Dalla gonfia bisaccia dei ricordi tiro fuori alcune memorie riferite a luoghi diversi da quelli che hanno incantato la mia fanciullezza.
Dunque: abitavo lontano (ma non troppo) da Santa Margherita, da Sommo, e da San Daniele Po per finire ai confini di quella che ancora recentemente il professor Gianfranco Taglietti ha identificato con la Regona Cremonese, differente, per dialetto e costumi, dal cremonese e dal casalasco, pur essendo inserita fra i due territori.
Nel 1949 la mia famiglia si trasferì, dunque, in quel di Solarolo Monasterolo (località che passa nel tradizionale idioma dei vicini come “Sularol dal Corgnac”, per via della figura marmorea di un corvo imperiale che sovrasta uno dei più importanti cortili della frazione) e così le mie frequentazioni si consumavano presso l’emporio – trattoria – tabaccheria – drogheria di Pino Bolsi, oppure a Motta Baluffi (il capoluogo) ove il convegno era presso il bar di Bastoni, sull’argine, oppure presso la casa parrocchiale, ove da poco era giunto un aitante e simpatico prete, di origine bergamasca, don Guido Galimberti.
E fu proprio nell’entourage di don Guido – ove si discuteva più di politica che di dottrina cristiana – che nacque l’idea, nel 1954, di mettere insieme una lista di candidati da portare in consiglio comunale per contrastare lo “strapotere della sinistra”, anche se i rapporti elettorali erano di ottocento voti per la sinistra coalizzata e quattrocento per i restanti, che erano, poi, i rappresentanti dell’allora Democrazia Cristiana. Don Guido ne parlò alla conferenza della San Vincenzo, al suo collega di Solarolo Monasterolo, agli esponenti più in vista della Coldiretti e della Libera Associazione Agricoltori.
Tutti d’accordo e con eccessivo ottimismo si arrivò a contare, sulla carta, anche tanti voti da mandare a casa socialisti e comunisti. Io, pur fra i più giovani, del gruppo, smontai tale ipotesi e concordammo, addirittura, di presentare una lista di minoranza, con tre soli candidati (tanti erano i seggi che toccavano alla minoranza) su cui far confluire i voti disponibili degli elettori non social- comunisti.
Ed i tre furono: Giovanni Gerevini, insegnante con interessi nel settore agricolo, Sandro Decordi, uno dei titolari dell’omonima casa vinicola, ed il sottoscritto. Già nella prima seduta del neo-eletto consiglio iniziammo la nostra battaglia, decisi come eravamo a raggiungere due obiettivi: contrastare, fino a farlo dimettere, il sindaco socialista e indurre il segretario comunale – giunto fra noi dal lontano Alto Adige per un trasferimento disciplinare - a chiedere una nuova destinazione. Ad ogni seduta del consiglio lo scontro verbale rischiava di diventare anche fisico, tanto che, allarmati, i carabinieri di Cingia de’ Botti giungevano puntuali a presidiare la stretta aula consiliare, mentre all’esterno vigilava per noi don Guido con un gruppetto di giovani. Dopo due anni raggiungemmo il primo obiettivo: sotto l’incalzare delle nostre critiche, adducendo motivi di salute, il sindaco si dimise.
E scoppiò una autentica lacerazione, all’interno della maggioranza (dodici consiglieri, sei per il Partito Comunista Italiano ed altrettanti per il partito Socialista) in quanto i comunisti rivendicavano l’incarico di sindaco, incarico che i socialisti non intendevano mollare. Fummo contattati, separatamente, anche noi dell’opposizione per verificare un eventuale nostro appoggio, necessitando per l’elezione almeno otto voti su quindici, ma ovviamente noi rifiutammo. Alla fine prevalse la tesi dell’alternanza e toccò ai comunisti designare il primo cittadino nella persona di Angelo Dondi, che ottenne anche quattro dei sei voti socialisti disponibili.
Era un personaggio singolare, questo Dondi, di stretta osservanza comunista, dormiva con il ritratto di Stalin sul comodino, comprava (ma forse non leggeva) ogni giorno L’Unità, parlava solo in dialetto.
Arrivava in Comune con un paio di zoccoli che completavano un abbigliamento spartano: camicia di flanella a quadri, calzoni di fustagno. Uomo di poche parole, dai metodi spicci, ma, come potremmo verificare nel corso del suo mandato, era di una onestà personale, intellettuale e politica eccezionale, alieno da ogni compromesso, pronto a metterci alla porta ma altrettanto pronto, una volta usciti dal suo ufficio, a convocare il segretario comunale o l’assessore da noi indicato, per una ... lavata di testa che non lasciava dubbi.
Diciamo pure: con la sua complicità il suo silenzio - assenso, riuscimmo nel secondo obiettivo: costringere il segretario comunale a richiedere il trasferimento, dopo un burrascoso incontro a tre: sindaco, segretario ed il sottoscritto che propose una scelta: o il trasferimento spontaneo, o il deferimento alla commissione disciplinare.
Mentre le sedute del consiglio andavano perdendo di mordente, ci venne assegnato come segretario un personaggio che mi era noto per altre ragioni: Francesco Guzzini, che avevo conosciuto a Cremona come collaboratore del quotidiano “Fronte Democratico” e poi come direttore del settimanale satirico “Padus” (di vita breve).
Nello stesso periodo un altro valente giornalista aveva sostenuto e superato gli esami di segretario comunale: Giacomo Jalenti, già redattore della pagina cremonese del quotidiano “L’Italia”. Ricordo che far il 1946 ed il 1950 a Cremona, nel palazzo che fu di Farinacci, del suo quotidiano “regime Fascista” e del settimanale “Crociata Italica” di don Calcagno, avevano la sede le redazioni cremonesi dei giornali “Il Popolo”, democristiano , “L’Unità”, comunista, “L’Italia dei cattolici, mentre nella collegata tipografia venivano stampati i settimanali “La riscossa” della Democrazia Cristiana, “Lotta di Popolo” del Partito Comunista e “l’Eco del Popolo” socialista. Nel frattempo anche il mio collega di minoranza Gerevini aveva superato l’esame di segretario comunale e il Decordi disertava le riunioni consiliari per gli impegni connessi alla sua attività imprenditoriale. Io stesso, nel 1958, mi trasferii a Cremona, così il sindaco con gli zoccoli potè più tranquillamente concludere il suo mandato.
Dieci e passa anni dopo quella esperienza fui costretto a inviare una lettera al quotidiano “La Provincia” per difendere l’operato del sindaco Dondi, a fronte di un manifesto del Partito Socialista di Motta Baluffi che, presentando il nuovo candidato sindaco, ignorava completamente la difficile stagione del sindaco comunista, scrivendo di ventennale continuità socialista. Forse Dondi, dimen- ticata la sua naturale pacatezza, ebbe l’occasione per imprecare due volte: contro gli ingrati compagni socialisti e contro quell’ex consigliere democristiano che tanto lo aveva angustiato e che ora pretendeva di difenderlo.
Ma, in cuor suo, mi sarà stato grato. Comunista con il ritratto di Stalin sul comodino, è vero, ma dal cuore buono e generoso. Impossibile dimenticarlo.
Nelle foto un angolo di Motta Baluffi e la chiesa di Solarolo
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commenti
ennio serventi
24 settembre 2023 17:01
Francesco Guzzini, citato nel ricordo, era iscritto al Parto Socialista Italiano, quello di Nenni. Poi passò con Saragat e fu attivo nel PSDI. Quando questo organizzò la venuta Cremona di Angelica Balabanoff per un comizio, che si tenne nel teatro Filodrammatici, fu lui a presentarla. Emilio Zanoni, sull'Eco del Popolo del tempo, dedicò all'oratrice un corsivo di derisione ed anche offensivo, chiamandola "Befana Babalanova, riferendosi alla età della socialdemocratica russa."FRancesco Guzzini era stato attivo nel Fronte della Gioventù e vice direttore, poi direttore prima di Fiorino Soldi, del settimanale "AVVENIRE" giornale del Fronte della Gioventù. dei Reduci, e dell'ANPI.