26 febbraio 2023

I misteri della chiesa di San Martino delle Ferrate a Olmeneta. Quel teologo protagonista al concilio di Costanza. Gli affreschi e i resti di un grande convento

Trovarla non è facile. Ci si arriva attraverso una strada sterrata che non ha nome e che non compare nemmeno sulle mappe di Google. Sorge all'interno di una cascina agricola, una proprietà privata. e non si scorge da fuori. E' la chiesa di San Martino delle Ferrate, in territorio di Olmeneta. Un piccolo, grande scrigno di cultura e storia, un antico gioiello nascosto e dimenticato, purtroppo come ce ne sono altri nella Bassa, ma ora uscito dall'oscurità grazie alla passione e alle competenze di due ricercatori cremonesi: Simona Bini e Fausto Ghisolfi. Lei, laureata in arte medievale presso l'Università di Pavia con una tesi sulle Torri campanarie cremonesi, sta conducendo un approfondimento sistematico delle chiese di Cremona e della provincia (come San Zavedro, a san Giovanni in Croce). Lui, architetto con studio in città, dal 2019 è sindaco di Sospiro. Il loro sodalizio letterario dura da anni e li ha portati anche lungo le sponde dell'Oglio. Le loro indagini sono state affidate al libro 'La Chiesa di San Martino delle Ferrate nei secoli XII e XIII', (Pàtron editore) presentato di recente dai due autori in Biblioteca Statale.

Su un lato della cascina, simile a tante altre, ci sono le reliquie, i resti della chiesa, priva di facciata, che in origine era un monastero benedettino femminile di cui è noto l'atto di consacrazione, risalente al 1149. Ma, secondo Bini e Ghisolfi, i documenti fanno pensare che le strutture del monastero e della chiesa, “con molta probabilità”, potessero esistere anche prima di quella data. “Infatti la notizia della consacrazione da parte del vescovo Oberto induce a supporre una campagna di lavori, anche importanti forse a seguito di una qualche calamità, che ha reso necessaria la riconsacrazione”. La porzione di chiesa sopravvissuta rappresenta la sola testimonianza materiale dell'antico complesso monastico. “Quanto si è conservato restituisce un edificio a navata unica, composto da due campate coperte da volte a crociera con leggere 'costolonature' che convergono nel rosone centrale. Dove un tempo c'era l'attracco tra fronte e muro perimetrale, sopravvive la traccia di una sequenza di sette archetti, di cui solo quattro sono ancora integri”. L'elemento più significativo dal punto di vista architettonico è rappresentato dai beccatelli cremonesi (o falsi fornici) che decorano l'abside. “Non sono lunghi e serrati ma si sviluppano con un ritmo più morbido e ampio rispetto alle chiese di Cremona, ascrivibili alla fine del XII secolo e alla metà del successivo. I beccatelli di San Martino sembrano riflettere uno stadio intermedio dell'ultimo periodo della loro evoluzione, non facile da documentare, e testimoniano una fase non più rintracciabile in Cremona. Proprio per questo motivo, acquistano una considerazione e un significato di grande valore”.

Un altro capitolo è dedicato alla torre campanaria, successiva alla chiesa e databile ai primi decenni del XIII secolo, se non oltre. Sul lato meridionale è murata una lapide “che, pur essendo spezzata in tre frammenti esattamente ricomposti, reca al centro il monogramma cristiano intorno al quale si snoda, in un cerchio perfetto, un'iscrizione in caratteri tardo-gotici. Lo scioglimento del testo è molto semplice: il reverendo padre, signore e frate Bartolomeo da Racivengo di Cremona dell'Ordine dei Frati Minori”. Bartolomeo da Racivengo (oggi Ricengo) venne nominato vescovo di Kastoria, in Grecia e fu un influente teologo tanto da intervenire al Concilio di Costanza (1414-1418), convocato per porre fine allo scisma d'Occidente. “Resta un quesito da chiarire: come mai una figura così importante ha un collegamento con la chiesa di San Martino delle Ferrate?”, si chiedono Bini e Ghisolfi.

Poi i due studiosi, nel loro libro, conducono per mano a scoprire l'affascinante sequenza dei quattro quadri dipinti conservati sulla parete settentrionale della chiesa: una 'Virgo lactis' affiancata da un vescovo benedicente (forse san Martino, titolare della chiesa?); un'opera il cui soggetto non è ben chiaro poiché la pellicola è molto danneggiata a causa della caduta di colore; un santo benedicente; infine, una Crocifissione, situata in prossimità del presbiterio. “Nel complesso gli apparati decorativi sembrano essere stati realizzati da mani differenti, forse due o più, tra la fine del XIII secolo e i primi anni del 1300, e da maestranze di medio livello e in ristrettezza economica, circostanza rivelata dall'utilizzo di pigmenti poveri, quali terre con una limitata gamma cromatica”.

Il viaggio alla scoperta di San Martino delle Ferrate è, almeno per il momento, finito. “Ma niente esclude che uno scavo possa riportare in vita parti del monastero precedenti al 1140. Abbiamo scritto questo libretto come avvio delle ricerche. Ben vengano altri studi e integrazioni”, ha detto, durante la presentazione del volume, la professoressa Bini. Già, gli scavi. Il problema è quello di sempre: i fondi. Comunque sia, per San Martino delle Ferrate non è davvero eccessivo parlare di svolta perché, come ha affermato la direttrice della Biblioteca Statale Raffaella Barbierato, “far conoscere è il primo passo per salvare”.

Gilberto Bazoli


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commenti


michele de crecchio

26 febbraio 2023 18:20

I deliziosi "beccatelli" che coronano anche le absidi di altre antiche chiese cremonesi (cito San Lorenzo, San Vincenzo e Santa Lucia) divennero un carattere distintivo del romanico cremonese, come scriveva Angiola Maria Romanini in un saggio che lessi da studente, saggio del quale non dispongo purtroppo copia. Mi affretterò ora a procurarmi il lavoro di Bini e Ghisolfi, lavoro del quale non avevo ancora avuto notizia e che mi affretterò a procurarmi, ringraziando Bazoli e Cremona Sera per avercelo segnalato.