L’Adafa accoglie Magma musica e l’eredità di Mario Pilati: un approfondimento storico
Il prossimo 5 aprile, l'Adafa di Cremona ospiterà un concerto patrocinato dall'Archivio Storico Ricordi, con la partecipazione dell'orchestra MAGMA musica. Questo giovane ensemble, da poco affacciatosi sulla scena musicale cremonese, si distingue per l'attenzione al repertorio del Novecento storico italiano, proponendo programmi ricercati, che pongono l’ascoltatore in un’ottica del tutto nuova. Il programma prevede l'esecuzione di brani di Johann Sebastian Bach, Antonio Savasta, Alfredo Casella e Mario Pilati. La disponibilità e la lungimiranza dell'Adafa nel sostenere e promuovere iniziative di tale valore contribuiscono a diffondere la conoscenza di autori meno noti, ma fondamentali per il panorama musicale italiano. In quest'ottica, diventa essenziale riscoprire la musica di Pilati non solo attraverso l'ascolto, ma anche approfondendo gli aspetti biografici e stilistici, affinché se ne possa cogliere appieno lo spessore artistico e umano.
Mario Pilati (Napoli, 16 ottobre 1903 – 10 dicembre 1938) studiò presso il Conservatorio S. Pietro a Majella sotto la guida di Antonio Savasta, mostrando fin dagli anni di formazione una notevole versatilità compositiva e una precoce attitudine all'insegnamento. La sua carriera si sviluppò in ambiti molteplici: fu docente di composizione, storia della musica e direzione d'orchestra, critico musicale e curatore di riduzioni per canto e pianoforte per conto della Casa editrice Ricordi.
L’attività di insegnante iniziò nel 1924, quando vinse un concorso presso il Civico liceo musicale di Cagliari, solo due anni dopo, Pilati si trasferì a Milano. Clausetti e Valcarenghi, allora direttori della Ricordi, lo conoscevano ancora poco, ma, colpiti dalla sua affidabilità, non esitarono a presentarlo a Ildebrando Pizzetti, a cui fu legato da grande stima, tanto da ritenersi suo ‘allievo spirituale’.
Nei primi dieci anni di carriera, fino al ’31, si dedicò con determinazione alla volontà di affermarsi nel mondo musicale. Il premio Coolidge, conquistato nel 1927 con la Sonata per flauto e pianoforte, fu il trampolino di lancio: a soli ventiquattro anni, Pilati si trovò sullo stesso podio di Malipiero e Bloch, che lo avevano vinto negli anni precedenti. La critica dell'epoca riconobbe immediatamente il talento del giovane compositore, considerandolo destinato a una carriera luminosa.
Parallelamente all'attività compositiva, Pilati sviluppò un'idea didattica innovativa, espressa nel progetto incompiuto Trattato di contrappunto e composizione musicale. Qui, mirava a superare l'impostazione tradizionale dell'insegnamento del contrappunto, adottando un approccio storico-evolutivo che collegasse la pratica compositiva all'evoluzione delle forme musicali nel tempo. Questa visione rispecchiava la sua convinzione riguardo l’importanza della continuità storica nell’ambito della creazione artistica, un principio evidente nella sua musica, caratterizzata dalla fusione tra tradizione e innovazione.
Negli ultimi anni della sua carriera, il compositore si avvicinò sempre più ai caratteri peculiari della musica napoletana, come testimoniano lavori quali Echi di Napoli (1933) e Tammurriata (1936), culminando nell’opera incompleta Piedigrotta, concepita come “un'opera popolare napolitana”.
La Suite per pianoforte e archi, che ascolteremo a Cremona il prossimo 5 aprile, con la partecipazione del M° Gabriele Galleggiante Crisafulli al pianoforte, è uno dei primi brani che rivelarono il giovane compositore napoletano. Scritta nel 1925, fu eseguita per la prima volta il 30 maggio dello stesso anno al Teatro Civico di Cagliari, con Pilati stesso alla direzione e Renato Fasano al pianoforte. L'opera riscosse un notevole successo e fu pubblicata dalla casa editrice Ricordi subito dopo la vittoria del premio Coolidge. Grazie a un ambizioso progetto di digitalizzazione, l'Archivio Storico Ricordi, memoria storica dell'omonima casa editrice musicale fondata nel 1808 da Giovanni Ricordi, ha reso accessibili online molti dei suoi tesori, permettendo a studiosi e appassionati di visionare documenti unici. Tra le iniziative, il progetto Le lettere di Casa Ricordi offre la possibilità di consultare la corrispondenza tra l’editore e i più grandi nomi della musica, rivelando retroscena affascinanti e dettagli inediti sulle opere e sugli artisti dell'epoca. Custodisce un patrimonio che abbraccia oltre due secoli di storia musicale e le sue collezioni comprendono partiture autografe, lettere di compositori, librettisti e cantanti, bozzetti scenografici, figurini, libretti d'opera, fotografie d'epoca e manifesti Art Nouveau.
Proprio tra questi documenti è possibile leggere alcune lettere che raccontano parte della storia della Suite di Pilati. Il giovane compositore, infatti, inviò al Commendatore Carlo Clausetti, allora Gerente della Casa editrice, una copia della Suite per orchestra d’archi e pianoforte affinché potesse valutarlo per una futura pubblicazione. Nella lettera dell’8 Aprile 1926, a cui lo spartito era stato allegato, Pilati comunicava di aver pensato questo brano per i propri allievi della Scuola d’orchestra, tenendo quindi in considerazioni le possibilità tecniche ed espressive degli stessi. Il compositore precisava che il brano aveva avuto già delle esecuzioni pubbliche: «il buon favore col quale è stato accolto da persone di diverse opposte tendenze e ancor più da pubblici diversi e lontani uno dall’altro per qualità di cultura e gusti (rispetto ai professi della musica odierna) quali quelli di Cagliari e Napoli». La lettera ci informa poi che nel programma del concerto napoletano, oltre alla Suite era stato eseguito il Concerto italiano di Mario Castelnuovo. Dichiarazione degna di nota è la volontà di arricchire la letteratura musicale italiana per l’orchestra da camera, in quanto era molto semplice formare un ensemble cameristico dappertutto, specialmente se di archi. E guardando alla produzione di Pilati ci accorgeremo che questo intento non fu mai abbandonato: nonostante il poco tempo concesso all’autore, si contano di sua penna una decina di brani strumentali e numerose liriche da camera.
La lettera ci permette dunque di comprendere l’intento didattico con il quale Pilati compone la Suite, l’obiettivo di contribuire a delineare un repertorio cameristico tutto italiano, e la concezione stilistica secondo cui ha composto, chiarezza, semplicità e «nei limiti di una sobria “modernità”».
Il 27 luglio dello stesso anno, viene comunicato a Pilati che la sua Suite entrerà nel catalogo Ricordi, e solo qualche giorno dopo il compositore esprime, con tono carico di riconoscenza, la sua gratitudine alla Casa editrice.
La pubblicazione avvenne nel 1927 e fu seguita da una capillare diffusione della partitura, inviata a musicisti di spicco come Pizzetti, Casella, Marinuzzi e De Sabata.
Questo fu solo l’inizio di una fortunata collaborazione. Infatti, è necessario sottolineare che l’editore milanese si occupò di pubblicare altre composizioni di Pilati, come il Quintetto in Re minore per archi e pianoforte, la Sonata per violino e pianoforte e la Sonata per violoncello e pianoforte, tutti editi nel 1930, il Tema con variazioni per violoncello e pianoforte ed una strumentazione dei Tre pezzi per orchestra, il Concerto in Do maggiore per orchestra eseguito al Festival di Venezia del 1938 su invito di Goffredo Petrassi.
Gli venne commissionata dalla Casa Ricordi la riduzione per canto e pianoforte dell’opera del Maestro Persico, La bisbetica domata (cfr. lettera del 3 agosto 1928, Napoli); propose una raccolta per pianoforte dedicata a Pizzetti in occasione del cinquantesimo compleanno, un Omaggio musicale, una sorta di parodia che, sulla base di temi del Maestro citati o solamente accennati, ne contraffaceva lo stile (cfr. lettera del 14 agosto 1927).
Nel novembre del 1930, da Napoli, Pilati indirizzò un’altra lettera alla Ricordi con la richiesta di far apporre all’interno della copertina delle partiture per il noleggio della sua Suite alcune precisazioni riguardo i numeri dell’organico. La dicitura che il Maestro trascrive nella lettera lascia intendere che 16 violini, 6 viole, 6 violoncelli, 4 contrabbassi, sia un’indicazione inserita per le esecuzioni da svolgersi in piccole sale, contesto per il quale il brano è stato pensato, ma in caso di ambiente vasto il compositore avrebbe voluto che i direttori si sentissero liberi di aumentare in proporzione i componenti dell’ensemble.
La struttura della Suite riflette l’affetto di Pilati per le forme classiche, reinterpretate attraverso un linguaggio armonico e ritmico personale. L'uso di danze storiche come la Sarabanda e il Minuetto, integrate in una cornice moderna, evidenzia la volontà di fondere tradizione e innovazione. La ripresa del primo tema nel Finale sottolinea la coerenza formale dell'opera, mentre l'orchestrazione per pianoforte e archi è contraddistinta da un equilibrio timbrico che valorizza sia la componente solistica sia quella d'insieme. Limpidezza e trasparenza qualificano il linguaggio compositivo, architettura e colore sono in perfetto equilibrio: all’interno di questa Suite è possibile riscontrare tracce di uno spirito neoclassico, che prende vita da un lavoro di rivisitazione degli stilemi settecenteschi. L’artista Pilati considerava vera sostanza dell’arte il sentimento, in questo molto vicino a Pizzetti; dato il sentimento come punto di partenza, il resto, la forma e i mezzi sono a portata di mano nella tradizione.
Tra le recensioni viene riprodotta quella apparsa nel «Mattino» del 16.7.1927, all’interno della rivista «Musica d’oggi», edita da Ricordi, e interamente consultabile online tramite il sito dell’Archivio. Si parla di «coraggiosa affermazione della Italianità sana nella musica degli Italiani sopravvenuta a tempo col giusto risorgere del sentimento di fierezza nazionale». La Suite viene descritta come «solida, quadra, energica e maschia nei tempi e misurata negli sviluppi». Viene riconosciuto il sapore classico impreziosito da un moderno senso armonico.
È doveroso sottolineare che in quel periodo circolava in Italia come monito, l’eco di una frase divenuta presto motto per moltissimi musicisti: «tornate all’antico e sarà un progresso». La citazione verdiana venne utilizzata da alcuni come barriera da interporre fra l’avanzata della modernità e la tradizione. Altri, colsero l’insegnamento come un invito a studiare quanto ciò in passato era stato fatto. Altri ancora, come Pizzetti, lo interpretarono come un incentivo a riscoprire le opere del passato e trovarvi al loro interno il punto di partenza di un linguaggio musicale nuovo ma ben radicato nella nostra storia. E certamente in quest’ultima visione possiamo contare anche il caro Pilati: «Reimpossessarsi del passato e richiamare ad esso il presente».
Queste considerazioni, tuttavia, aiutano a individuare nel percorso compositivo di Pilati una prima fase, poiché di lì a poco, l’indirizzo del giovane compositore sembrò mutare orientamento. La critica contemporanea faticò a trovare una corrente, uno stile nel quale circoscrivere la troppo breve esperienza artistica di Mario Pilati.
La Suite per pianoforte e orchestra d’archi è certamente un brano che merita di essere eseguito e offre l’opportunità di riscoprire una figura poliedrica del Novecento italiano, quale fu Mario Pilati. Insieme ad altre pagine celebri e meno note della storia della musica, avremo il piacere di ascoltarla nella prestigiosa sala di una delle associazioni orgoglio e patrimonio della città di Cremona.
Le immagini sono state fornite dall'Archivio Storico Ricordi
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