30 maggio 2025

La messa in ricordo di Fabio Moreni nell'anniversario della sua morte, celebrata a Cascina Moreni. "Oggi sarebbe già partito per Gaza", le parole del vescovo Antonio Napolioni

Dall’assassinio di Fabio Moreni, ucciso il 29 maggio 1993 a 39 anni, insieme gli amici Sergio Lana di Rivarolo Mantovano e Guido Puletti di Brescia mentre portavano aiuti umanitari nell’ex Jugoslavia, allora dilaniata dalla guerra, lungo la strada verso Gorni Vakuf, in Bosnia, sono passati 32 anni. "Anni che sono stati un sacrificio e un dono. Ma anche anni di impegno, di creatività nella solidarietà, nell’accoglienza". Lo ha sottolineato il vescovo Antonio Napolioni nella Messa di suffragio presieduta nel pomeriggio di giovedì 29 maggio nel cortile interno di Cascina Moreni, la struttura nella periferia di Cremona che "con le opere che custodisce è il segno principale, ma non l’unico", "portando nel cuore ferite rimarginate e fruttuose".

L’Eucaristia è stata concelebrata da don Pier Codazzi, direttore della Caritas Cremonese e consigliere della Fondazione Moreni, don Graziano Ghisolfi e don Alberto Mangili, legati alle realtà presenti nella struttura di via Pennelli. Nelle prime battute dell’omelia, iniziata citando il Vangelo, mons. Napolioni ha fatto un forte riferimento alla situazione attuale, in cui "credo che molti di noi si siano detti “Fabio sarebbe già partito!”. Il vescovo, riprendendo le parole di Gesù “un poco e non mi vedrete più, un poco ancora e mi vedrete”, si è voluto soffermare proprio sul significato di “un poco”: "Io direi che è quello che c’è tra la tristezza e la gioia", in uno scenario che per i credenti è drammatico e insopportabile. Eppure, mentre il dramma di centinaia di migliaia di persone si consuma, "il mondo sembra tranquillamente farsi le sue cose, addirittura sfruttare tutto quello che accade, immaginare spiagge miliardarie al posto delle rovine di Gaza".

Fabio sarebbe già partito, se ne avesse avuto la possibilità. Invece "noi stiamo a guardare, con il rischio di abituarci, di capovolgere la tristezza e la gioia, di cadere nella tristezza maledetta e di non avere quella buona. Perché a volte la tristezza ci vuole. La tristezza che diventa insofferenza, ribellione. La tristezza che ci muove, che diventa compassione, diventa partenza, diventa rischio".

Un rischio che Fabio, Sergio e Guido hanno corso, considerando il bene degli altri più prezioso delle loro vite perché, come ha ricordato il vescovo, "c’è una tristezza buona che ci aiuta a vincere la tristezza cattiva, quella che diventa accidia, che diventa rabbia. Stiamo ricordando persone che erano fatte così e vogliamo essere persone fatte così, anche se abbiamo tanti limiti, tante paure, ma c’è quel “un poco” che ci mette Gesù. Basta fare un passo, cominciare: un poco di fiducia, un poco di fede, un poco di amore, un poco di tempo".

Alla fine della celebrazione un breve ma intenso discorso di Gianluca Arata, cugino di Fabio e presidente della Fondazione Moreni, che ha salutato e ringraziato non soltanto i presenti, ma tutti coloro che rendono possibili le molte attività della fondazione, della cascina e delle realtà che ruotano attorno ad essa.

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commenti


Danilo

30 maggio 2025 10:27

E'vero se fosse ancora tra noi avrebbe certamente fatto qualcosa per aiutare quella popolazione che soffre;ricordo che quando ci fu ol terremoto in Irpinia appena saputo non esito" a partiro con un suo camion con sopra un escavatore per poter dare un aiuto .Era una persona buona e generosa ed era sostenuto dauna fede profondissima; ogni giovane dei nostri tempi dovrebbe poterlo conoscere a fondo.