Milena Fantini, la biologa che ha elevato il dialetto a forma d'arte. Dagli esordi a 16 anni all'incontro con Cantarelli, Manfredini e Gazzoni
E' salita sul palco a 16 anni e da allora non è più scesa. Milena Fantini, classe 1950, biologa, dal 1974 al 2004 tecnico del laboratorio analisi dell'ospedale Maggiore e sua coordinatrice dal 2004 al 2009, è 'la signora del dialetto'. Ma lei si schermisce. “Addirittura! Davvero volete scrivere di me?”.
E' nata a Cremona ma la sua famiglia (il padre faceva il fornaio) arriva da Isola Dovarese. “In casa i miei genitori parlavano tra loro il dialetto isolano, che è diverso da quello cremonese perché ha influenze mantovane, mentre con me si esprimevano rigorosamente in italiano. Isola Dovarese è il mio paese, ci tornavo ogni anno per le vacanze estive. Con gli altri ragazzi del posto andavamo in riva all'Oglio a prendere il sole e fare il bagno, a Casalromano per mangiare le angurie, a Piadena a ballare. Mi sono divertita con cose semplici. Insieme abbiamo messo in piedi una compagnia dialettale e debuttato all'oratorio. La commedia si chiamava 'In città è un'altra cosa'. Fu un grande successo. Da allora non ho mai smesso di amare la poesia e il teatro”.
Di quel 'circolo' facevano parte anche Fausto Malinverno, del ristorante la 'Crepa', e Dario Cantarelli, l'attore preferito da grandi registi come Paolo Sorrentino e Nanni Moretti. “E' stato Dario, che poi sarebbe partito per Roma in cerca di fortuna, a insistere perché entrassi nel Gruppo studio teatro di Walter Benzoni al Monterverdi. E, nel 1969, accettai. C'erano fior di scenografi, c'erano sarte e costumisti”. Un sodalizio di professionisti che recitavano gratis. “Ricordo la nostra prima opera: la 'Clizia', di Niccolò Machiavelli. Gli spettacoli erano bellissimi. Li portavamo in giro, spesso all'aperto, nel cortile della Biblioteca di Cremona o agli ex monasteri, poi nei paesi. Il Gruppo studio era un'alternativa al Ponchielli, dove, per inciso, ho recitato diverse volte”.
Milena ricorda con emozione quel periodo e l'incontro con Gigi Manfredini, colonna del Gruppo 'El Zàch'. “Faceva il maestro, era autore, poeta, regista, appassionato di dialetto. Una delle sue traduzioni più importanti è stata la prima, quella della 'Moscheta', di Angelo Beolco, il Ruzante. E' stato Manfredini a insegnarmi il dialetto cremonese che, beninteso, non è quello di oggi, italianizzato”.
La giovane attrice reclutata spesso come caratterista alternava i classici, da Molière a Pirandello, alle commedie dialettali. Lavorava allora a Milano (“Il mio mestiere mi è sempre piaciuto tantissimo”) ma la sera tornava a Cremona per le prove e ripartiva il mattino dopo. “Ho cominciato a studiare gli autori cremonesi come Alfredo Carubelli e la letteratura in vernacolo. Non è facile recitare in dialetto, bisogna prepararsi per dare il senso ad ogni parola. Mi sono divertita proprio perché non ho mai dovuto campare con il teatro”.
Poi un altro incontro indimenticabile, quello con Michelangelo Gazzoni. "Ho iniziato a fare serate in cremonese, con lettura di poesie e pagine di prosa”. Molto tempo è passato dai primi passi. “Sono restata praticamente da sola, tanti culturi del dialetto ci hanno lasciato e sono pochi gli autori rimasti. Ma continuo ad andare dove, gruppi o altri, mi chiamano, spaziando dagli oratori alle case di riposo e a quartieri come il Cambonino e anche ai teatri. Purtroppo il dialetto si va perdendo, anche a causa dell'invasione degli inglesismi, e i giovani sembrano poco interessati. Eppure è con esso che si portano avanti le nostre tradizioni contadine, quelle della vita in cascina, con tutti i pro e i contro ma dove, ad esempio, se uno si ammalava, erano in dieci pronti ad accorrere per dare una mano”.
Non ha dubbi: “Il dialetto è una vera e propria lingua”. Con un nota bene; “Molti, quando ascoltano un brano dialettale, si aspettano la battuta volgare, il doppio senso. Invece con il dialetto si possono dire frasi romantiche, riassumere una situazione con una sola parola mentre con l'italiano ce ne vogliono dieci. Il dialetto va dritto al cuore delle cose, dal dialetto esce un quadro. C'è anche la parolaccia, che però non è fine a se stessa, ma un normale intercalare. Con il dialetto è possibile descrivere la natura, il Po, le nostre campagne”. Si guarda intorno: “E i meravigliosi colori di questo autunno”. Ci sono il dialetto napoletano, romanesco, toscano, veneto e così via. E il cremonese, “che per me non è greve, assolutamente no, ma musicale”.
Gli anni d'oro sono alle spalle, ma non del tutto. “Prima di Natale è in programma l'interpretazione di Dante e di alcune pagine della Divina Commedia tradotte in cremonese da Gigi Manfredini. No, il dialetto non è letteratura, cultura di Serie B. Del resto, oggi tantissimi scrivono libri in italiano, ma non venitemi a dire che sono tutti di un certo livello”. La biologa con l'hobby del teatro tornerà anche negli ospizi per proporre versi dialettali. “Una volta lo facevo in compagnia di altri, ora ci andrò da sola. E' una soddisfazione impagabile vedere quegli anziani rivivere, spesso con le lacrime agli occhi, i giorni felici del loro passato. Sono, in un certo senso, una libera professionista e vado dove vengo invitata”.
Da sola, in realtà, non è rimasta. “Quando incontro, a Cremona o Isola, Dario (Cantarelli, ndr), ci abbracciamo, siamo grandi amici”. Milena è anche una viaggiatrice instancabile. “Mi è capitato di visitare alcuni dei più grandi teatri del mondo e ne ho approfittato per recitare il 'Congedo' della 'Moscheta' scritto da Manfredini. E' un inno al dialetto”. Lo conosce a memoria e ancora una volta lo declama: bravissima.
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commenti
Mussi Adriano
2 ottobre 2021 15:06
Bravissima.adès sto a Cremuna ma sunti oriundo dè Poso(fr.dè Litùur). Èl dialèt èl segui dà i gruppi del smartphone. Èl me piàs tant.tè saluti cordialmente.buna dumenica