29 maggio 2025

Nell'anniversario della morte di Fabio Moreni, Giorgio Rampi racconta i suoi ricordi della missione cremonese a cui prese parte nel '92. "Dovevo poi tornare in ex-Jugoslavia con Fabio, ma non andai"

Sono passati già 32 anni da quel 29 maggio 1993, quando a Gornij Vakuf, nell'attuale Bosnia, durante una missione umanitaria il nostro concittadino Fabio Moreni cadeva sotto i colpi di kalashnikov; insieme a lui persero la vita anche due giornalisti bresciani, Sergio Lana e Guido Puletti.

Oggi a ricordare quelle missioni umanitarie è un altro cremonese, Giorgio Rampi, che da sempre si occupa di volontariato e che nel 1992 prese parte ad alcuni missioni in Croazia insieme ad un gruppo di cremonesi composto dall'allora sindaco Alfeo Garini, il professor Giovanni Borsella, don Elio Testa -allora parroco alla Beata Vergine-, don Alberto Mangilli -allora vicario a Vidalengo(BG)-, l'autista Franco Merli e il giornalista Roberto Fiorentini.

"Queste parole sono dettate da un’agghiacciante esperienza che ho vissuto in prima persona (non perché sia stato bravo ma, perché il cuore me lo ha suggerito), unitamente ad altre persone che con me si sono recate con una missione umanitaria a fine gennaio 1992 in Croazia, per portare aiuti di ogni genere a quella popolazione affamata, vessata da una guerra che, come tutte le guerre, ha portato distruzione, morte e fame e -senza aggiungere altro- lascio immaginare ciò che tutti noi abbiamo vissuto sulla nostra pelle" racconta Rampi rivivendo l'esperienza di quei giorni, tra freddo, incertezza, difficoltà e qualche momento di paura.

"Si parte da Cremona alle quattro del mattino, dopo aver caricato un paio di autocarri con derrate alimentari, uova fecondate, medicinali, vestiario ecc. A Padova, uno degli autocarri (quello messo a disposizione dalla Croce Rossa di Cremona) si guasta, al che il carico viene stipato non senza difficoltà sull’altro mezzo, con una notevole perdita di tempo sul programma di viaggio, pazienza".

Il viaggio riprende mentre il resto del convoglio era già andato avanti senza attenderli e, dal momento che la destinazione è territorio di guerra, bisogna restare con le antenne alzate e cogliere tutti i segnali di pericolo: "Giunti alla frontiera Slovena una soffiata ci consiglia di non transitare dalla frontiera di Villa Opicina ma, da quella di Gorizia (Nova Gorica). Al confine Sloveno iniziano molteplici controlli doganali sull’autocarro e un solerte doganiere ci accusa di essere commercianti che si recano oltre confine per vendere ciò che avevamo a bordo"

Una grande amarezza coglie Giorgio e l'autista, che in qualche modo si sente letteralmente abbandonato dalla delegazione politica cremonese che aveva proseguito senza attenderli: "Loro si sono recati senza problemi a Zagabria, dove erano attesi dai politici locali mentre noi siamo rimasti indietro. - ma tant'è ed a quel punto non resta altro da fare che uscire da questa empasse- A quel punto dunque mi reco dal comandante della dogana ma scopro che capiva solo la lingua inglese. Chiedo allora in un inglese maccheronico se qualche doganiere capisse il francese (lingua che capisco e parlo abbastanza correttamente), mi viene comunicato che il comandante che dava il cambio lo parlava e capiva".

A quel punto le cose sembrano prendere una piega positiva: almeno si trova un canale di comunicazione per chiarire le intenzioni dei due cremonesi: "Mi spiego facendogli capire la nostra missione e molto educatamente mi accompagna alla linea di frontiera, ordinando al doganiere di farci transitare. Un transito tuttavia abbastanza traumatico nel senso che i militari hanno verificato ancora il contenuto del carico. Siamo giunti a Zagabria alle 20 presso un convento dove in fretta e in furia i frati hanno scaricato il mezzo e la “Milicia” Croata ci ha prelevato portandoci al municipio, dove era iniziata la cena con il sindaco e consiglieri comunali della città".

Ma a quel punto però scatta qualcosa nel cuore di Giorgio e dell'autista del convoglio umanitario, che stava portando cibo e generi di prima necessità ad una popolazione stremata dalla guerra e dalla fame: "Notando l'abbondanza di ciò che hanno servito, io e l’autista ci siamo rifiutati di partecipare e, tornando al convento dove abbiamo pernottato, ci siamo accontentati di un piatto di riso e verze". La solita storia vecchia come il mondo, dove nessun politico è mai morto di fame nè di stenti.

Ma il peggio arriva il giorno dopo, quando la “Milicia” conduce il gruppo sulla linea del fronte Croato/Bosniaco, presso il paese di Turanj: qui la guerra è vera, le bombe cadono e la morte la vedi in tutta la sua crudele realtà: "Personalmente sto ancora rabbrividendo ricordando che su un ponte dove il fiume Kupa e il fiume Sava confluivano, notavo galleggiare cadaveri di persone (non so se civili o militari)" ricorda Giorgio, che ha ancora negli occhi quelle crude immagini di morte, fotogrammi che non hanno bisogno di tante parole per rendere l'idea di quanta sofferenza e distruzione abbiano incontrato in quella zona martoriata dalla guerra, con l'eco delle bombe in lontananza e la sensazione di essere in costante pericolo.

"Successivamente mi è stato riproposto di tornare in ex-Jugoslavia in un'altra spedizione, che avrebbe dovuto essere proprio quella in cui furono assassinati Fabio e i due giornalisti bresciani. -racconta Rampi, che in quell'occasione avrebbe voluto andare, ma rimase a casa, seguendo un presentimento- Io non partecipai per impegni di lavoro e familiari, ma anche per il timore -poi purtroppo confermato dalla realtà- della pericolosità di tale missione".

Partirono invece Fabio Moreni, Sergio Lana e Guido Puletti e per loro invece la storia si concluse drammaticamente come tutti sappiamo, trucidati da un gruppo paramilitare mentre portavano ancora medicinali e viveri per i civili stremati dal conflitto. Era, come oggi, il 29 maggio. In suo ricordo stasera alle 18.30 sarà celebrata la messa presso Cascina Moreni, presieduta da Mons. Antonio Napolioni.

Nelle immagini, una foto di Fabio Moreni e le foto di una scuola croata visitata dalla delegazione cremonese; un momento dei funerali di Moreni, il 4 giugno 1993, presieduti da Mons. Giulio Nicolini e il carro armato costruito dai bambini croati, con il cannone rivolto verso sè stesso, dedicato ai guerrafondai)

Michela Garatti


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