Nella piccola Torricella del Pizzo ben due cimiteri: uno parrocchiale (abbandonato da un secolo) e uno civile. La storia del sergente Mario Lupi
Due cimiteri in un comune che ha solo poche centinaia di abitanti. Un piccolo primato per Torricella del Pizzo, borgo fluviale a due passi ormai da Casalmaggiore. I due cimiteri sono distanti un “tiro di schioppo”, vecchia e popolare espressione per dire che distano solo pochissime centinaia di metri l’uno dall’altro. Il primo, il più vecchio, all’ombra della imponente chiesa parrocchiale è della parrocchia stessa e ha continuato a funzionare fino agli anni Venti del Novecento. Qui da un secolo non viene più sepolto nessuno. Il secondo, molto più grande, risalente agli anni Trenta del Novecento è invece comunale ed è quello che, da ormai quasi un secolo, ospita tutte le sepolture del paese.
I cimiteri sono luoghi del silenzio, della preghiera (naturalmente per chi crede) e della memoria. La memoria che è quella che affonda le proprie radici nelle vicende umane delle persone che vi sono sepolte e che si tramanda nelle “pietre parlanti”, come le definisce chi scrive queste righe, alludendo chiaramente alle lapidi. In tante di queste, leggendole e studiandole (anche se purtroppo, un po’ ovunque, le vecchie lapidi si stanno cancellando a causa degli effetti inesorabili dello scorrere del tempo e delle conseguenze delle intemperie), si conservano vere e proprie pagine di storia, che è quella dei nostri villaggi di fiume.
Se quando si entra in un cimitero, in silenzio (e magari in preghiera) ci si portasse un piccolo quaderno in cui annotarsi i contenuti di tante lapidi (da approfondire poi con adeguate ricerche) e si parlasse con gli anziani del paese, ovunque si ricaverebbero in poche ore, vere e proprie miniere di storia. In un articolo, per quanto possibile, è giusto farla breve e quindi ci si prova. Del cimitero vecchio di Torricella del Pizzo si può ad esempio dire che vi sono sepolti anche i tanti che morirono tra il 1918 ed il 1919 a causa dell’influenza spagnola, epidemia che fece più vittime della peste nera e della prima guerra mondiale. Nel mondo ci furono almeno 50milioni di morti e l’Italia, uno dei Paesi più colpiti, pianse almeno 600mila vittime.
A Cremona città, secondo i rapporti degli ufficiali sanitari dell’epoca, i morti tra il 1918 ed il 1919 a causa dell’influenza spagnola furono 1621, ma si ha ragione di ritenere che il numero in realtà è molto più alto, anche tenendo conto del fatto che nel periodo di maggior virulenza la censura vietò ogni tipo di manifestazione pubblica, funerali compresi, vietò l’apposizione degli annunci funebri nelle plance e silenziò anche le campane. Tra le memorie più preziose dell’epoca restano quelle di don Gioacchino Bonvicini, storico parroco di Ognissanti, che nel suo diario raccontò tutto del diffondersi dell’epidemia nella sua parrocchia.
Anche a Torricella del Pizzo, e non poteva essere diversamente, vennero applicate le rigide regole di allora (niente annunci, niente campane, niente funerali). Ma, stando a quanto riferito dallo storico locale Gabriele Marchetti pare che le vittime della spagnola, nel borgo rivierasco, siano state una settantina: davvero tante per un paese di campagna. Per quanto riguarda invece il cimitero comunale, quello degli anni Trenta, tra le sepolture da indicare, tra i personaggi che in qualche modo sono finiti nel “dimenticatoio” ecco che merita certamente di essere citato il sergente Mario Lupi (nato il 15 agosto 1914 e morto l’8 luglio 1944), morto in combattimento e decorato di medaglia d’argento al valor militare. Lupi, dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, si arruolò nel Corpo Italiano di Liberazione comandato dal generale Umberto Utili e morì nella celebre battaglia di Filottrano, nelle Marche. Erede del I Raggruppamento Motorizzato, che combatté la Battaglia di Monte Lungo l’8 dicembre 1943, e precursore dei Gruppi di Combattimento che parteciparono alla fase finale della campagna d’Italia per la liberazione del nostro Paese dal dominio straniero, il Corpo Italiano di Liberazione – C.I.L. seppe dimostrare a tutti la ritrovata piena capacità operativa dell’esercito italiano dopo i drammatici eventi seguiti all’armistizio dell’8 settembre 1943.
La partecipazione a fianco delle truppe alleate durante il superamento della Linea Gustav e la conseguente liberazione dell’Abruzzo e delle Marche, con il glorioso fatto d’arme di Filottrano, rappresentarono una indubbia riscossa per il morale dei soldati italiani, offrendo al contempo un contributo indiscutibile alla riuscita delle operazioni alleate nella primavera-estate del 1944.
Tutto questo fu possibile grazie anche ad una capace e determinata leadership militare italiana, primo fra tutti il Comandante del C.I.L. Generale Umberto Utili, che seppe far fronte al meglio non solo alle avversità del momento ma anche all’iniziale scetticismo degli Alleati.
La storia del C.I.L., come quella del I Raggruppamento Motorizzato e dei Gruppi di Combattimento, è quanto di grandioso seppero fare i soldati italiani quando era per altri “vanità sperare e follia combattere”. Per questo è necessario conoscerla, tramandarla e ricordarla, specie nel giorno della Festa della Liberazione. Il sergente Mario Lupi faceva parte del 183° Reggimento Paracadutisti “Nembo”, unità cui è stata per altro conferita la cittadinanza onoraria del Comune di Filottrano. Giusto ricordare che nel mese di luglio del 1944, i paracadutisti italiani inseriti nel Corpo Italiano di Liberazione, insieme alle forze polacche, furono impegnati nella riconquista della città di Filottrano che rappresentava, in quel momento, un pilastro difensivo tedesco che bloccava l'accesso al porto strategico di Ancona. Per dieci giorni la città, situata al centro di due eserciti in conflitto, subì una cruenta battaglia che si concluse con l’allontanamento delle truppe tedesche il 9 luglio 1944.
L’inestimabile contribuzione della divisione paracadutisti Nembo del Corpo Italiano di Liberazione e del Corpo Polacco, entrambi sotto il comando dell’VIII Armata britannica, fu fondamentale per la liberazione della città dai tedeschi. Lupi morì proprio l’8 luglio in occasione dell'ultimo grande scontro che avrebbe portato il giorno dopo alla liberazione della città. Alle 6 iniziò il bombardamento con l'artiglieria, che consisteva nel prendere a cannonate gli obbiettivi ritenuti strategici. Alle 7.10, dopo 70 minuti in cui l'artiglieria riversò 4.500 granate di medio calibro su Filottrano, si mosse la fanteria. Tre compagnie, la 44^, 45^ e 46^, attaccarono Tornazzano, cogliendo di sorpresa i tedeschi, che ancora erano nelle buche per difendersi dal fuoco dell'artiglieria; molti vennero fatti prigionieri e altri riuscirono a fuggire. Ma già alle 7:30 i tedeschi aumentarono il tiro delle loro artiglierie, colpendo duramente Tornazzano e la rotabile Centofinestre-Filottrano, bloccando così l'avanzata in questa linea.
Dall'altra parte del fronte invece i reparti italiani si spinsero fino a San Giobbe dove però furono bloccati da un'accanita resistenza tedesca. Intanto sull'altra parte del fronte i reparti della "Nembo" avevano conquistato il convento dei Cappuccini, che era sottoposto ai tiri dell'artiglieria tedesca. Nel frattempo si verificarono numerosi tentativi italiani di sminare il "bivio della morte" (l'attuale rotatoria), totalmente ricoperto di mine anticarro, ma l'intenso fuoco tedesco impediva di toglierle, quindi soltanto la fanteria italiana attaccò l'ospedale. Prima i soldati si rifugiarono sotto il muro di cinta, poi, una volta individuati i punti deboli poco sorvegliati dai tedeschi, andarono all'attacco e riuscirono ad attraversare il parco. Entrarono in un portone che dava nel seminterrato, dove si erano nascoste le suore con i malati. Successivamente riuscirono a cacciare i tedeschi, che si ritirarono negli edifici vicini.
Nel frattempo i paracadutisti dal Monastero dei Cappuccini avevano conquistato il Mulino. Sull'altra parte del fronte lungo la rotabile Imbrecciata-Filottrano la Nembo attaccò San Giobbe e riuscì a toglierlo ai tedeschi, si spinsero fino a Villa Corallini, ma furono costretti a ripiegare a causa dell'accanita resistenza nemica. Dopo le 13 i tedeschi organizzarono un contrattacco, riuscirono a togliere al nemico quasi tutti gli obiettivi conquistati; l'unico che i paracadutisti riuscirono a difendere fu l'ospedale, anche se l'artiglieria tedesca non faceva che colpirlo ed ora presentava squarci e buchi da tutte le parti. I tedeschi infatti avevano utilizzato dei cannoni semoventi e data l'impossibilità dei carri armati alleati di intervenire (i carri armati avevano provato ad andare verso Filottrano ma erano stati distrutti nel "bivio della morte") gli italiani erano stati costretti a ritirarsi.
Proprio in quel drammatico momento nel pomeriggio dell'8 luglio gli alleati proposero alle truppe italiane di bombardare la città. Ma il generale della Nembo, Morigi, si oppose perché sapeva che il bombardamento avrebbe inevitabilmente causato la morte di moltissimi civili. Fu così che una volta chiarita la situazione venne organizzato un contrattacco, ma anche questo non andò a buon fine. Intanto era giunto ai tedeschi l'ordine che avrebbero dovuto abbandonare quel tratto del fronte a partire dalle 22:30. Fu così che durante la notte i tedeschi coperti da piccole unità di retroguardia lasciarono Filottrano per sempre. Il sergente Lupi perse purtroppo la vita a poco più di un mese dal suo trentesimo compleanno, rimanendo tuttavia tra i grandi protagonisti di quella pagina di storia che gli valse la medaglia d’argento al valor militare.
Eremita del Po
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commenti
Lilluccio Bartoli
6 febbraio 2025 19:55
Al proposito di rispettare chi non crede, questa l'ho letta nelĺ'eremo della Verna in una epigrafe...
SE CREDI, PREGA
SE NON CREDI, AMMIRA
SE SEI STUPIDO, SCRIVI IL TUO NOME SUI MURI.
Jim Graziano Maglia
6 febbraio 2025 20:13
Un'altra puntata con la Storia nazionale e soprattutto locale.Ancora complimenti Egr.Paolo Panni.Sai recuperare,far conoscere e valorizzare Storie e Personaggi che probabilmente in pochi conoscono(e riconfermo la mia ignoranza) e che grazie ai tuoi veri e propri racconti, vengono riportati alla luce.Come quella del Serg.Mario Lupi,dei due cimiteri di Torricella d/Pizzo ,dei feroci scontri contro i tedeschi...e così.Ma credo di non sbagliarmi quando dico che quello che mi avvince nella tua narrazione/ ricostruzione storica(e non solo) è la Passione che permea nel tuo appassionato scrivere e che è talmente coinvolgente che in un baleno ci si trova alla fine dell'articolo quasi senza accorgersene..Una 'cattura' emotivamente molto intensa che appassiona e che nutre sia a livello di conoscenza storica che culturale.Grazie ancora a te e a Cremonasera.
Michele de Crecchio
9 febbraio 2025 01:46
Un cimiterino nei pressi delle chiese era sempre presente in tutte le città ed i paesi di Italia, sino a quando Napoleone con il famoso editto di Saint Cloud (1815 credo) e provvedimenti locali conseguenti, quasi in tutta Europa, per ragioni igieniche, impose che la sepolture venissero effettuate fuori dagli abitati. Evidentemente nel simpatico paesino di Torricella del Pizzo tale disposizione fu intesa solo nel senso di costruire il nuovo cimitero fuori l'abitato, ma non nel senso di eliminare anche il cimitero preesistente. Personalmente ho verificato, con una certa sorpresa, che analoga singolare (anche se simpaticissima) sopravvivenza si può constatare anche nella provincia di Bolzano.