26 settembre 2021

Novembre 1951, settant'anni fa la grande piena del Po. Devastazione, morte, desolazione ma anche solidarietà e tenacia

E’ una pagina di storia rimasta indelebilmente fissata nella memoria e nella vita delle nostre terre. E’ la straordinaria piena del Po del 1951 e, da allora, sono trascorsi settant’anni esatti: un anniversario che non può e non deve passare inosservato. Perché fare memoria del nostro passato significa costruire il presente e generare il futuro, con la consapevolezza di ciò che, nel bene e nel male, ci ha accompagnato e preceduto.

Era il mese di novembre del 1951 quando le terre attraversate dal Grande fiume venivano colpite dalla grande piena del Po. Che, come è normale che sia, non risparmiò nessuna delle due rive, creando devastazione, morte e desolazione. Del resto il Po, anche in questo è un maestro: non conosce confini né campanili né appartenenze di sorta. La furia delle sue acque, quando dice sul serio, non risparmia nulla. 

Di quella storica piena sono sopravvissute le immagini di maestri fotografi quali Ezio Quiresi, Giovanni Amoretti, Bruno Vaghi; gli scritti di altrettanti maestri quali Cesare Zavattini, Baldassarre Molossi e Giovannino Guareschi, per citarne alcuni.

Ma sono rimaste anche le memorie, tante, di coloro che l’hanno vissuta sulla loro pelle, nelle loro case, nelle loro campagne. Nelle memorie degli uomini e delle donne del Po, abituati a conoscere il fiume, fonte di vita, ispiratore di mille tradizioni, ma anche motivo di una lotta antica, e spesso impari, con la sua furia. L’ira di un fiume che sa sfogarsi, sa essere dirompente e devastante, sa coprire di limo ciò che invade, per poi tornare in silenzio, nel suo “letto”, proseguendo il suo costante viaggio verso il mare. 

Settant’anni dopo, più che raccontare ancora una volta i noti fatti dell’epoca, è forse più significativo ripercorrere i grandi valori che, anche in quella occasione, gli uomini e le donne del Po, emiliani e lombardi, piemontesi e veneti, avevano saputo, come sempre del resto, mettere in campo fornendo molteplici prove di coraggio, generosità, solidarietà e altruismo, tirandosi su le maniche per salvare il salvabile, aiutare (prima, durante e dopo) chi aveva bisogno, rispondendo “presente” ai rintocchi dei campanili e agli appelli delle autorità. Non erano affatto tempi facili, molti di loro portavano ancora nelle mente e nel corpo i segni della guerra finita solo pochi anni prima. Molti erano stati protagonisti della Resistenza; altri ancora avevano tirato avanti la “baracca” tra mille difficoltà e crescente povertà; altri avevano pianto la scomparsa, tragica e improvvisa, di figli e nipoti, genitori e fratelli. Ma, nonostante le frustrazioni e i dolori, si erano di nuovo messi in trincea, per la pesante disputa contro il fiume. Una nuova e dura prova, che la gente aveva appunto affrontato, e superato, tra prove di coraggio, solidarietà e generosità. Anche le più piccole comunità si erano mobilitate. Soltanto a Santa Croce, frazione di Polesine Parmense, come si evince dalle memorie, inedite, dell’allora parroco don Adamo Cicognini (scritti che, fortunatamente, ho avuto modo di consultare e di avere) si era fatta una raccolta “bussando a tutte le porte” scriveva don Adamo aggiungendo che “il generoso contributo di ognuno ha fatto sì che siano raccolte 220mila e 200lire; quintali 15,62 di viveri, indumenti vari ed in buono stato”. All’epoca era tanta roba e parecchie altre, ovunque, su entrambe le rive, erano state le prove di solidarietà, altruismo e generosità realizzate dalle genti, tutte, del Po.

Settant’anni dopo cosa si sta facendo per ricordare quella pagina di storia? Sperando non finisca nel dimenticatoio come accaduto invece, non più tardi dello scorso anno, per il ventennale della storica esondazione del 2000, i territori del fiume è giusto e doveroso che, una volta tanto si organizzino, tutti insieme, dando vita a iniziative comuni. No ad eventi isolati e campanilistici; sì a progetti comuni, che vedano unite le due rive del Po. Magari dando vita a una mostra fotografica itinerante, da promuovere tra l’autunno e l’inverno. Ma anche i cittadini, tutti, si sentano coinvolti e non spettatori, mobilitandosi, mettendo le mani (nel vero senso del termine) nei vecchi cassetti o negli scatoloni impolverati e accatastati in soffitta, tirando fuori immagini e ricordi di quelle giornate, mettendoli a disposizione di tutti. E’ giusto che, chi può, metta mano a carta, penna e calamaio fissando, nero su bianco, i ricordi di allora, lasciando una memoria e una testimonianza in più. Perché le persone passano, ma la storia e i fatti che la costruiscono restano. Infine, l’occasione del settantesimo della piena del 1951, non può che essere utile per ricordare le più grandi inondazioni del Po, quelle avvenute negli anni 1152, 1280, 1294, 1386, 1394, 1454, 1467, 1470, 1474, 1685, 1702, 1741, 1755, 1758, 1765, 1801, 1951, 1994 e 2000.  Tra le più drammatica quella del 1741, in occasione della quale vennero suonate per tre giorni le campane a martello (come segno di pericolo e richiamo). Secondo i Bandi generali del 1597, sopra le acque erano obbligati ad accorrere con badili e zappe tutti gli uomini dai 14 ai 70 anni. Per gli inadempienti, cinquanta scudi d’oro di “sanzione” e tre tratti di corsa; indulgenze invece per quelli che pregavano durante le alluvioni. 

Pillole e pezzi di storia di un fiume che, la storia, quella delle nostre terre, la scrive, in silenzio o nel frastuono di una piena, tutti i giorni. 

Nelle foto la piena a Spinadesco (foto Quiresi), poi  Polesine (Foto Bottazzi), Pieve Ottoville (foto Gaetano Mistura) e i dintorni di Cremona (Foto Quiresi)

 

Eremita del Po

Paolo Panni


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