Ottant'anni fa Cremona e Casalmaggiore diventarono Cinecittà per il film "Redenzione" su soggetto di Farinacci. L'incredibile storia del backstage
Esattamente 80 anni fa Cremona e parte della provincia (Casalmaggiore ad esempio) diventarono come Cinecittà. Si doveva girare il film "Redenzione" su soggetto di Roberto Farinacci. Il ras mette a disposizione della colossale troupe il Ponchielli come teatro di posa e concede tutte le facilitazioni e le protezioni per girare il film in città e campagna. Il nostro Fabrizio Loffi, attraverso l'analisi e lo studio di alcuni documenti inediti, ha ricostruito tutta la storia di quel film di cui pare non sia rimasta in giro neppure una copia. Vi proponiamo la ricostruzione di tutta la storia in tre parti.
Il film “Redenzione” fu un flop, e tanto più clamoroso in quanto vide coinvolto lo stesso autore del soggetto, Roberto Farinacci. Un film realizzato fuori tempo massimo, nella primavera del 1942, quando ormai risultava del tutto anacronistico il tentativo del fascismo, in crisi di identità, di rivolgere lo sguardo indietro alla ricerca della purezza nello squadrismo delle origini. Aldilà dei giudizi scarsamente lusinghieri espressi dalla critica, a gettare nuova luce su quel tentativo maldestro di riproporre in versione cinematografica un dramma teatrale scritto 15 anni prima, è una illuminante serie di articoli scritti, qualche mese dopo la fine della guerra, su un settimanale cremonese, pubblicato per poco più di un anno, sfuggito inspiegabilmente all'attenzione degli storici. Il periodico è “Oggi”, settimanale della Federazione cremonese del partito democratico del lavoro: due soli fogli diretti da Mario Mori, protagonista il 25 aprile dell'attacco alla polveriera di Ossalengo col Fronte della Gioventù, stampati dal 30 dicembre 1945 ad aprile 1946, che svelano tutti i retroscena della produzione mai raccontati prima. Ad iniziare dall'ispiratore del progetto, Lino Milanesi, l'aguzzino di Villa Merli capo dell'Ufficio Politico Investigativo, fucilato a Bergamo il 30 aprile 1945, ma dato per vivo ancora nel 1947, guarda caso proprio da Marcello Albani, regista di “Redenzione” che lo avrebbe incontrato a Roma i primi di novembre. Ma andiamo con ordine.
Siamo nel 1941. Ad una festa organizzata a Roma dalla casa di produzione Scalera Film si presenta il gestore cremonese di una sala cinematografica. Durante un banchetto a cui partecipa sente improvvisamente una signora seduta vicino a lui che si esprime in dialetto cremonese, incuriosito le chiede chi sia. E la signora conferma ovviamente le sue origini all'ombra del Torrazzo: si chiama Maria Basaglia, è nata il 12 giugno 1908 ed è figlia di Mario, un negoziante di porcellane e vetrerie, che aveva il negozio in corso Campi 9, scomparso tragicamente qualche anno prima a Mantova, nel 1917, mentre la madre, Luigia Bernini di Sospiro, gode ottima salute ma non vede l'ora di tornare a Cremona.
Maria Basaglia è sceneggiatrice del film “Ultima giovinezza”, prodotto dalla Scalera con la regia di Jeff Musso, che ha ottenuto un grande successo un paio di anni prima, quando è stato proiettato al Supercinema gestito da Renzo Cavalleri ed ora passato alle sorelle Ferrari di Brescia, ed è moglie di Marcello Albani, sposato nel 1939. I due iniziano a conversare e scoprono di avere un amico in comune, che potrebbe dare una mano nel realizzare un film a Cremona: Angelo Milanesi, detto Lino, amico d'infanzia di Maria, che attualmente gestisce una fabbrica di vernici in via Bissolati con cui fa buoni affari ed è bene immanicato con Farinacci. Alla conversazione si associano altri commensali ed il nostro impresario si convince della validità del progetto, abbandona la tavolata, inforca l'auto e si precipita a Cremona.
Milanesi è in casa, gli apre ed ascolta la sua storia, commuovendosi al ricordo della vecchia compagna di giochi. Concede all'impresario solo una telefonata a casa e i due si rimettono immediatamente in viaggio, questa volta diretti a Roma. Incontrano la Basaglia ed il marito, che in quel momento ha già diretto come regista due film, “Il bazar delle idee” e “Boccaccio” con Clara Calamai, non particolarmente degni di nota. Il tempo dei saluti ed iniziano subito le trattative: in un primo momento il capitale sociale necessario viene individuato in 600 mila lire, oltre ad altre 300 mila sottoscritte che il regista non verserebbe in contanti, ma gli verrebbero riconosciute al momento della liquidazione della società in qualità di premio, oltre ai compensi che saranno stabiliti a tempo debito per le sue prestazioni. Tutto sommato non si tratta di grandi cifre, Milanesi è pronto a versarne subito la metà, mentre le altre trecentomila mila le avrebbe versate un suo amico. Resta il problema del soggetto. Che tipo di film realizzare? Ed ecco l'idea di Milanesi: «Voi sapete- dice ai due – che con Farinacci si può ottenere tutto, soldi, raccomandazioni, facilitazioni. E poi...il nome di Farinacci, è sempre il nome di Farinacci. Perchè non realizziamo per il cinema uno dei suoi lavori teatrali?». La proposta viene accolta all'unanimità. In realtà i testi teatrali disponibili cui far riferimento sono solo due. Il primo, “La beffa del destino” del 1937, viene però giudicato inadatto al grande schermo, l'altro “Redenzione” del 1927 viene modificato e corretto ed infine adattato.
Milanesi presenta il suo progetto a Farinacci che ne è entusiasta, perchè troppo vivo è in lui ancora il ricordo di quelle lapidarie parole che Mussolini aveva pronunciato nel 1925 a proposito proprio di “Redenzione” nel corso di una riunione di giornalisti, quando aveva detto che “non è la tessera che dà l'ingegno”. Mette a disposizione il soggetto senza pretendere nulla e Milanesi telegrafa euforico la novità a Roma.
Marcello Albani parte immediatamente alla volta di Cremona, si chiude con Farinacci nel suo studio e illustra il progetto. Farinacci ascolta ammutolito ed alla fine cede il soggetto concedendo al regista la facoltà di tagliare, modificare, cambiare ed aggiungere tutte le scene che vorrà. Dopo un mese di lavoro la sceneggiatura è pronta e se ne discute ancora con Farinacci nel suo studio cremonese, fino a quando il gerarca è soddisfatto del risultato ed esclama: «Voi avete composto un capolavoro!». Le stesse parole che poi esclamerà qualche mese dopo, a riprese iniziate, il giornalista di grido del momento, Marco Ramperti. Ma intanto, però, il risultato non è quello sperato. Il ministro della cultura popolare Alessandro Pavolini non ha alcuna intenzione di concedere il contributo ministeriale alla realizzazione del film, perchè, per usare le stesse parole riferite da Albani a Farinacci, è una “solenne porcheria”. Farinacci non può crederci: «Voi volete dire la vostra riduzione...». «No – risponde piccato il regista – Pavolini ha detto precisamente il vostro lavoro...». Farinacci si alza e lancia due o tre bestemmie, con la mano sinistra vibra tremendi colpi sul tavolo scheggiandolo in più punti, chiama al telefono il capostazione urlandogli i suoi ordini, indossa il soprabito ed il cappello, scende di corsa le scale e balza sull'auto che lo sta aspettando in strada. Ha ordinato al capostazione di telegrafare a Piacenza per agganciare il suo “saloncino”, al quale ha diritto come Ministro di Stato, al rapido che tra mezzora sarebbe transitato in stazione, aggiungendo che, qualora fosse arrivato in ritardo, il treno avrebbe dovuto attenderlo. A Roma il colloquio con Pavolini è tempestoso. «Ah..tu hai detto che io ho scritto una “boiata”?». «Ma ti pare possibile...si tratterà di un equivoco», «Equivoco o no: dai il permesso per far girare la mia “Redenzione”?». Pavolini, di fronte al dilemma di scegliere, inizia a tergiversare, ma Farinacci, secondo il suo costume, inizia a raccontare al ministro una serie di cose di cui Pavolini ritiene di essere l'unico a conoscenza e che per nessun motivo andrebbero divulgate, ed infine cede alle pressioni.
Il 26 giugno 1941 viene costituita la Marfilm, società anonima per azioni con oggetto la produzione ed il noleggio di film, di cui è amministratore unico Maria Basaglia, con un capitale sociale iniziale di 50 mila lire, suddiviso in 500 azioni da 100 lire l'una (Foglio degli annunzi legali della provincia di Roma, n.72, 9 settembre 1941, p. 1700) ed Albani inizia a raccogliere la troupe per girare il film. Direttore di produzione viene nominato Lino Milanesi, privo, ovviamente, di qualsiasi esperienza nel settore, ma tuttavia ricompensato dal Consiglio di amministrazione con diecimila lire al mese. Del film si inizia a parlare, dopo mesi di preparazione, il 9 ottobre 1941 con un articolo de “Il regime fascista” che, dopo aver sommariamente descritto la trama, afferma che: “Il film – a differenza di tanti altri film – disprezzerà la finzione scenica. Personaggi veri che fanno parte di quella schiera elettissima di Eroi che immolarono la loro giovane esistenza per il trionfo del Verbo Mussoliniano; fatti veri e non scaturiti – anche nei loro minimi particolari- dalla fantasia: cornice scenica realistica – quella autentica di Cremona e di Casalmaggiore – dove il film – durante la primavera e l'estate prossima, verrà realizzato in massima parte – e non ambienti che rivelano la loro origine di carta pesta o di compensato; attori scelti fra la schiera numerosa e valorosa degli attori italiani, oculatamente, uno per uno, con aderenza perfetta ai personaggi da interpretare, degni della responsabilità che essi si assumono accingendosi a far rivivere sullo schermo uomini considerati dalla nostra gratitudine e dalla nostra venerazione come divinità; masse non di generici mestieranti, ma di reali, autentici Squadristi che verranno chiamati, dopo vent'anni, a rivivere ancora una volta, forse per l'ultima volta, per lo schermo, le ore di pericolo e di battaglia da essi vissute generosamente. Ed alla supervisione di tutta la realizzazione di quest'opera cinematografica, lo stesso Autore: Roberto Farinacci. L'Eccellenza Farinacci – affidata la regia del film a Marcello Albani – rivivrà – quale Supervisore – questa vicenda della quale egli fu l'animatore, l'organizzatore, il fedelissimo seguace di Colui che – Duce supremo – aveva votata la sua preziosa esistenza all'annientamento della potenza rossa - «Roma contro Mosca!» - alla grandezza imperiale della Patria. Un film, quindi, «Redenzione» che va atteso con serena fiducia, un film del Tempo Nostro e dalle nostra Fede”.
In realtà, dietro la retorica del regime si cela una realtà ben diversa. Clara Calamai, che per la sua partecipazione al film chiede un cachet di 600 mila lire, viene rifiutata a favore della più modesta Vera Calmi, che si accontenta di poco più della metà. Stipendi faraonici, “ma, in realtà, - scrive “Oggi” del 20 gennaio 1946 – erano tanti gli oneri che gravavano su questi stipendi che alla fine...Perchè a Roma c'era chi li sfruttava come agenzia di collocamento o qualcosa del genere; da Roma a Cremona c'erano altri che pretendevano percentuali per altre ragioni ami chiarite; al Ministero non mancavano le sanguisughe che trovavano il modo di cavar loro qualche biglietto da mille; e, fra gli organizzatori trasferitisi a Cremona, c'erano altri che pretendevano pingui utili. Così che, alla fine, la paga favolosa diventava appena sufficiente a coprire le notevoli spese. In tanti erano venuti a Cremona con il solo vestito addosso. Dopo una settimana, se non era una «Leica» o una «Contax» con obiettivo 1-2 non comperavano la macchina fotografica; e il cronometro se non era un autentico Longines o un vero Omega, lo disdegnavano. E poiché non badavano ai prezzi, c'era sempre intorno a loro un nugolo di venditori che facevano affari d'oro e che si arricchivano alle loro spalle. Dove trovavano tanto denaro? Mistero per quasi tutti, almeno. Uno era limpido nei suoi sistemi tutt'altro che limpidi. Era una specie di ispettore di produzione, morto qualche mese dopo la fine del film, incaricato di pagare le comparse. Per non complicar le cose con la produzione, era stato pensato di fabbricar dei «buoni». Ogni giorno di presenza, un «buono», valevole sessanta lire. E avevano affidato i «buoni» a quell'ispettore perchè, dicevano, era l'onestà specchiata. Ebbene, questa eccezione (ma cosa saranno stati gli altri?) si era messo a pagare i suoi fornitori privati con quei buoni. Tanti per dieci giorni all'albergo, tutto pagato, tanti per una macchina fotografica (per quelle era venuta una specie di mania, e tutti ne facevano collezione) tanto per un taglio d'abito o un paio di scarpe. Di persone d'onestà veramente specchiata, c'era lo amministratore della Società, un ragioniere specializzato in lavori cinematografici. Questo ragioniere, vedeva e sapeva tutto. Si decise a riferirne ai membri del Consiglio d'Amministrazione; i quali, digiuni di tutto, si rivolsero per lumi...proprio a coloro che rubavano. E il povero ragioniere si ebbe il danno e le beffe, e finì, scornato, col dimettersi e scappare d'urgenza a Roma”.
La troupe porta da Roma una novità che colpisce molto i cremonesi: le giacche a vento. In città non se n'erano mai viste ed il direttore della produzione, Lino Milanesi, con il direttore generale, se ne fanno confezionare subito due su misura da un sarto. Un altro aneddoto che girava in quegli anni riguarda il supervisore Roberto Farinacci. Arriva un attore del tutto nuovo che deve interpretare la parte del medico, pronunciando non più di due o tre parole. La scena è quella della morte del protagonista, Giuseppe Madidini. L'artista viene truccato, gli viene spiegata la parte, e viene posizionato davanti all'obiettivo della macchina da presa: suo compito è quello di assistere il morente che, dopo aver dato l'estremo saluto, reclina il capo da una lato ed esalta l'ultimo respiro. In quel mentre tutti i presenti salutano romanamente, ma il medico ha un dubbio, visto che nessuno gli ha detto niente a proposito del saluto: come deve comportarsi? Di conseguenza si rivolge al regista: «Debbo salutare romanamente anch'io, che sono il medico?». Il regista ha un attimo di incertezza, ed allora interviene Farinacci: «Fate voi. Dipende dal grado di fascismo del medico». Evidentemente l'attore non sa chi si trova di fronte ed esclama inviperito: «Come si fa presto a dire delle “fesserie”!». Farinacci resta ammutolito, mentre Albani, invece, inferocito prorompe in una scenata, ordinando al medico di fare immediatamente il saluto romano. L'attore esegue, poi, terminata la scena, gira lo sguardo attorno osservando gli astanti impietriti, con nei visi un'espressione inspiegabile. Ne chiede il motivo prima ad uno, poi ad un altro, ed infine qualcuno gli dice la verità. L'attore sbianca e si dispera, ne parla con altri della troupe. Non sa che fare, sente di aver fatto un tremendo passo falso. Infine prende il coraggio a due mani e si presenta paonazzo a Farinacci per spiegargli l'equivoco: «Eccellenza...io non sapevo. Eccellenza..non vi avevo riconosciuto». Trema come una foglia, e Farinacci, ovviamente lo perdona. La storiella, comunque, gira sulla bocca di tutti per almeno una settimana.
(1- continua)
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