10 settembre 2023

Ottant'anni fa moriva Carlo Vittori, il nostro Segantini. Sarebbe bello ricordarlo con una mostra e completare gli studi interrotti da Alfredo Puerari

Il 24 settembre saranno ottant’anni dalla scomparsa di Carlo Vittori, uno dei massimi artisti del Novecento, non solo cremonese, ma paragonabile ai grandi interpreti della natura padana, come Fontanesi, Segantini o Pellizza da Volpedo. All’indomani della sua scomparsa, nel 1943, il “Regime fascista” lo descriveva come un poeta che “cantava senza esitazione e traduceva divinamente i tramonti, le albe, le primavere, le alluvioni padane, i cieli spaziosi e tumultuosi, animando i suoi paesaggi di figure operose o festanti. I cavali, questi inseparabili collaboratori dei nostri uomini del fiume, dei nostri scaricatori, dei nostri ghiaiaioli, egli li ha immortalati nelle sua magnifiche tele”. Ma già tre anni dopo, a guerra finita, “Fronte democratico” esprime sulla sua opera un giudizio più profondo e realistico, ricordando “che la sua fine parve a chi lo conosce rinuncia a voler vivere ancora. Quando l’Italia si avviava ad entrare in uno dei suoi più terribili frangenti, fu come s’egli si togliesse dal mondo, così, silenziosamente pensando non essere quelli i giorni adatti al fiorire di dolcezza e bontà”. E’ tra questi due termini che si dipana il lavoro e lo stile dell’artista, nato nel 1881, nell’interpretare il mondo che lo circonda, ed in cui è immerso. Di fronte ad una società in rapida mutazione, sia dal punto vista politico che da quello artistico, Vittori sceglie di appartarsi, ritirandosi in quel naturalismo padano percorso già dal Piccio e poi dai simbolisti, raccontando il grande fiume, la sua natura ed i suoi abitanti, le sue campagne e di suoi tramonti. Tutto è percorso, però, da una sorta di inquietudine che conferisce ai suoi lavori note di profonda malinconia e, a tratti, di rifonda angoscia. Osserva Antonio Paolucci:L’argine del fiume, con i buoi all’abbeverata, le bestie umilmente pazienti alla vigilia del mercato, un tramonto sul Po dietro la trama dei pioppi, possono anche essere intesi come vie d’uscita nella quiete e nell’idillio agreste. Subito dopo ti accorgi, però, che dietro non c’è la pace virgiliana, non ci sono i versi della grande Egloga (“et iam summa procul villarum culmina fumant […] maiorusque cadunt altis de montibus umbrae…”). C’è invece l’ansiosa ricerca di momenti in cui ‘l’anima può rientrare in se stessa’ come scriveva, come sperava, Illemo Camelli. Ma il Novecento è stato un secolo difficile per le anime che tentavano di rientrare in se stesse. Questo Carlo Vittori lo sapeva bene e la sua pittura lo dimostra. Qui sta, a mio modo di vedere, il carattere distintivo della sua umbratile sofferta modernità”.

A Carlo Vittori è stata dedicata una bella mostra organizzata dall’Apic nel 1999, curata da Carlo Sisi al museo civico Ala Ponzone, “Carlo Vittori (1881-1943) Paesaggio e stati d’animo nell’arte lombarda de Novecento”, che resta fino ad ora la rassegna più completa dedicata all’artista. In tale occasione sono stati pubblicati gli appunti ancora inediti di Alfredo Puerari che restano ancora oggi l’unico tentativo di ricostruire l’opera completa dell’artista in rapporto alla sua città ed al suo tempo, rimasto purtroppo incompiuto e ricostruito grazie ad un minuzioso lavoro di ricerca di Carla Puerari e Angelo Bodini. “All’autore - osservano i curatori - mancò il tempo per scrivere un capitolo introduttivo di sintesi storico-critica, del quale spesso parlava ai familiari, per rivedere, sviluppare e concludere il lavoro, secondo il metodo costantemente adottato negli scritti precedenti. In qualche passo l’opera ne risente, presentandosi come un appunto di lavoro più che come pagina compiuta. Di certo oggi vorrebbe che giovani studiosi ne riprendessero il filo, dal punto in cui fu interrotto, per continuare a far vivere una storia che riteneva appartenere alla città”. In occasione degli ottant’anni dalla scomparsa sarebbe doveroso raccogliere questa indicazione, riproponendo l’opera di Carlo Vittori, arricchendola magari di nuovi studi. Sembra infatti incredibile che, mentre in molte abitazioni private cremonesi abbondano i suoi quadri, non si sia ancora pensato a realizzare una pubblicazione monografica dedicata a questo grande cantore della natura padana, che lo inquadri degnamente tra gli artisti più interessanti del Novecento.

Fabrizio Loffi


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